Lo spazio e il luogo sono sempre quelli di prima: Milano, la sua reputazione di eccellenza, la sua inalterata capacità attrattiva. È il tempo che è cambiato, rispetto all’ultimo Salone del Mobile dell’era pre-Covid: ora siamo nel tempo dell’incertezza.
Se prima anche il design e il sistema che attorno a esso ruota e in esso si riconosce potevano contare sulla fiducia nel futuro, su un sostanziale ottimismo e su alcune convinzioni condivise circa il ruolo e la funzione del progetto, ora invece il Salone 2022 e il correlato Fuorisalone si aprono su un ecosistema progettuale, creativo e di mercato sostanzialmente diversi.
Nessuna certezza. Nessun dogma. Nessuna fiducia che non sia bisognosa di continue e puntuali verifiche concrete. Piuttosto, molte domande: come saranno le città del futuro? E come si andranno a ridefinire i modi e le forme dell’abitare in una società probabilmente segnata da endemiche crisi sanitarie e da croniche e preoccupanti forme di conflitto? Che ruolo avrà il design nella ridefinizione delle possibilità di uno sviluppo sostenibile? Come si ridisegnerà il rapporto fra natura e cultura? Quello fra reale e virtuale nell’era del Metaverso? E quello fra macchinico e antropico in un contesto sempre più connotato dalla presenza pervasiva dell’Intelligenza artificiale?
Sono queste le domande che risuonano nella testa di molti all’apertura del Salone 2022. Ma attorno a questi mantra (sostenibilità, ripresa, rinascita, re-generation, tecnologia, qualità, circolarità, green, inclusione…) quali saranno le indicazioni prospettiche che il Salone sarà in grado di offrire?
In attesa di vedere e verificare sul campo, vorrei qui condividere alcune aspettative che potrebbero fare la differenza e offrirsi come modelli emblematici di questa edizione del Salone 2022.
Sui temi del riuso e della sostenibilità sarà particolarmente interessante e suggestivo verificare il lavoro realizzato da Paola Lenti con i fratelli Campana. Come praticare davvero il riuso? Come non sprecare? Come dare nuova vita a migliaia di scampoli, ritagli di tessuto, corde, cimose, avanzi di lavorazione? Come riutilizzare un patrimonio multicolore di filati e materiali ancora performanti e resistenti – ancora vivi – normalmente destinato alla discarica?
Paola Lenti ha cominciato a porsi questi interrogativi qualche anno fa: com’è possibile essere sostenibili – si è chiesta – quando ogni anno si producono oltre 10 tonnellate di avanzi il cui smaltimento richiede energia, personale, macchinari? E perché definirli scarti, o trattarli come tali, quando potrebbero trasformarsi in qualcosa di inaspettato? Seguendo il filo di questo ragionamento, Paola Lenti prima ha riempito decine di scatoloni di materiali diversi, minuziosamente catalogati per colore, tipologia di tessuto, misura, poi ha chiesto ai fratelli brasiliani Fernando e Humberto Campana, celebri in tutto il mondo per i loro iconici prodotti realizzati con materiali di scarto, di pensare con lei a un concreto e innovativo e anticonformista progetto di riuso.
Metamorfosi è nata così: una collezione ispirata al mondo naturale e ai suoi mutamenti. Dagli scarti e dagli scampoli i fratelli Campana hanno tratto un tappeto dall’effetto-patchwork, dei tubolari morbidi, simili a tentacoli, da utilizzare come schienali, e ancora “fiori” tessili soffici come piumini in infinite tonalità di colori, o distese di “alghe” che al tatto paiono seta con cui sono state rivestite ampie sedute che invitano al riposo. A realizzare questi pezzi unici sono stati coinvolti uomini e donne migranti e richiedenti asilo, spesso a rischio di esclusione sociale. Come per ribadire che sostenibilità e inclusione non possono mai essere disgiunti.
Un’altra parola-chiave del Salone 2022 sarà l’artwork: accanto alla grande produzione, a quella seriale e industriale, sono sempre più numerosi i designer che vogliono sperimentare, autoprodursi, cercare nuove espressioni. In questa direzione sarà particolarmente interessante vedere il lavoro realizzato da Mario Trimarchi a Palazzo Visconti con il progetto Close to the Edge: una collezione di pietre e vetri che si offrono come oggetti di confine tra l’essere umano e la natura, tra il corpo e il sé, tra la terra e il cielo. Fra ready made e objet trouvé, Trimarchi accosta e ricombina vetri, marmi e pietre, alla ricerca di un punto di incontro, o di un possibile equilibrio. La collezione si ispira all’antica arte giapponese del Suiseki, ovvero l’arte di meditare creando delle piccole sculture fatte di pietre che evocano montagne. Storicamente il Suiseki serviva a imparare a ridurre il proprio io, a relativizzare la propria presenza corporea e spirituale rispetto al mondo circostante, a farsi piccoli davanti alle montagne che ci osservano. Un esercizio di modestia, quindi, e di rispetto verso la natura e le sue forze.
Trimarchi è anche uno dei tre designer italiani chiamato – assieme a Michele De Lucchi e a Francesco Faccin – a reinterpretare l’artigianato coreano nell’esposizione Again, From The Earth’s Foundation promossa dalla Korean Foundation e ospitata alla Fondazione Feltrinelli, che per la prima volta apre le sue porte alla Milano Design Week. Qui i temi del rispetto della natura e l’esaltazione del valore dell’artigianato sono declinati in una chiave di transdisciplinarietà che favorisce e sollecita il dialogo fra culture diverse.
Altro tema centrale nel Salone 2022 è quello delle riedizioni e – più in generale – del rapporto con il passato e con le icone che il passato ci tramanda. Quest’anno si guarda al radical: Poltronova ad esempio rimette in catalogo dopo oltre 50 anni la seduta Safari degli Archizoom (con la mostra Afro-Tyrolean Kitsch alla Fondazione Sozzani in Corso Como 10). Ma uno dei pezzi più attesi, in questa prospettiva, è senz’altro la riproposizione in limited edition (solo 50 pezzi) di un’icona indiscussa come il divano Tramonto a New York di Gaetano Pesce. Con l’accordo del progettista, però, non si tratta di una riedizione filologica, bensì di una variante o di una replica che ingrandisce il divano del 10%, proprio per differenziare questa nuova tiratura dalla serie cult (a sua volta in edizione limitata) prodotta da Cassina nel 1980.
Da questa replica Gaetano Pesce ha tratto ispirazione per realizzare – sempre per Cassina – anche un Paravento in resina poliuretanica semitrasparente che evoca il tramonto sullo skyline di New York, in un caleidoscopio di colori e sovrapposizioni: un altro oggetto d’arte che ben dialoga e si accosta alle sedute-grattacielo e allo schienale-sole del mitico divano ora rieditato.
Sempre in tema di riedizioni, interessante la scelta ancora di Cassina di rieditare – a più di 70 anni dalla prima edizione del 1951 – la Leggera di Gio Ponti, mantenendo la forma della sedia ma alterando il materiale e la tecnica costruttiva: non più il legno a incastro, ma una struttura metallica in acciaio inossidabile. È una scelta che farà discutere: i puristi potrebbero arricciare il naso di fronte a una modifica che altera l’anima progettuale del concept di Ponti, ma altri potrebbero a ragione sostenere che lo stesso Ponti oggi probabilmente sarebbe più che disponibile ad aggiornare i suoi progetti ai nuovi materiali e alle nuove tecniche costruttive. Salone e Fuorisalone, in fondo, devono servire anche a questo: a porre domande e a suscitare discussioni.
In tema Green, c’è molta attesa per Disrupted Stability di TipStudio ad Alcova, un progetto che – a partire dal titolo ossimorico – dovrebbe invitarci a riflettere sul nostro rapporto con la natura e su come gli effetti di certe nostre azioni sconvolgono il tempo e lo spazio, e li destabilizzano, mettendo alla prova non solo i luoghi ma la nostra relazione con il pianeta che ci ospita. In collaborazione con Studio F, il progetto di TipStudio ad Alcova 2022 presenta una collezione che lavora sul legno di frassino proveniente da alberi caduti in seguito a eventi naturali o ad azioni distruttive dell’uomo. Legni squarciati, bruciati, scheggiati o corrosi vengono recuperati e riprendono vita in una serie di complementi d’arredo (specchi, console, tavoli, panche) in edizione limitata, con l’intento di ridare stabilità e forma e funzione a ciò che era stato alterato, disturbato o danneggiato, in una visione che punta – anche qui – a rigenerare ciò che sembrava destinato a essere scartato e rottamato.
La presenza delle donne designers dovrebbe essere ormai – dopo decenni di colpevole marginalizzazione – un dato consolidato e in netta crescita. Alcune designer sono ormai delle nuove star (penso anche solo a Elena Salmistraro, Sabina Marcelis, Sara Ricciardi, Olimpia Zagnoli…), ma io mi aspetto molto anche da Cristina Celestino che con il suo Florilegio rende omaggio e ridisegna una storica boutique di fiori nel centro di Milano, reinterpretando le preesistenze disegnate nell’immediato dopoguerra da Guglielmo Ulrich. Lavorando su uno spazio di “natura addomesticata” come quello di una fioreria, la Celestino suggerisce una nuova idea di verde all’insegna di una vita ibrida e sospesa fra interno ed esterno, tra pubblico e privato.
In modo analogo, trovo molto interessante l’iniziativa promossa da IAAD e Accademia Italiana con l’intento di realizzare un “bar” come luogo, oltre che di ristoro, di aggregazione e comunione tra individui e community: il BRA-VERY BAR. Il progetto vede il coinvolgimento delle 14 scuole di design e arte applicata del gruppo AD Education (ad-education.com), raggiungendo un bacino di 18.000 studenti localizzati, oltre che in Italia, in Francia, Spagna e Germania.
Visibile presso la Locanda alla Mano in Piazza del Cannone, nel cuore di Parco Sempione, il “BRA-VERY BAR” ha come filo conduttore il tema dell’economia circolare che verrà approfondito attraverso la progettazione e la produzione, da parte degli studenti delle 14 scuole coinvolte, con progetti di design trasversali (dalla mobilità all’inclusione all’innovazione) concepiti ad-hoc per innescare il “coraggio di cambiare”.
Coraggio che non manca a un’altra delle novità più attese di questa edizione, e cioè l’allargamento del Fuorisalone, la sua progressiva espansione anche nelle periferie e perfino fuori città, quasi a disegnare una mappa creativa che non sta più dentro i confini urbani e cerca nuovi spazi e rivitalizza luoghi e rigenera marginalità. Sono curiosa ad esempio di vedere come il collettivo belga Zaventem Atelier ha utilizzato l’ex-fabbrica Necchi di Baranzate, piccolo gioiello di archeologia industriale, per farne il cuore propulsivo di un progetto multidisciplinare ribattezzato Baranzate Ateliers.
Al di là tutto, però, c’è una cosa che spero e auspico per Salone e Fuorisalone 2022: la capacità di sorprenderci. Di stupirci. Come facevano nella golden age del nostro design i grandi maestri: anche in situazioni di crisi, sapevano sempre vedere là dove noi non vedevamo, sapevano intercettare bisogni prima degli altri, sapevano proporre soluzioni dove gli altri non vedevamo ancora neppure il problema. Avremmo bisogno di questo, oltre a tutto il resto e forse prima di tutto il resto: di un Salone davvero capace di regalarci l’inatteso.
Immagine in apertura: Florilegio, Cristina Celestino. Foto Marco Menghi