Generato nella più ampia e onnicomprensiva cornice del suo lungo progetto dedicato all’Antropocene, Prospecting Ocean è il nuovo lavoro di Armin Linke, che lo ha visto impegnato per tre anni in altrettante spedizioni nell’Oceano Pacifico. Commissionato e prodotto dalla TBA21_Academy di Vienna, che ha come obiettivo aumentare la nostra consapevolezza sulla condizione dei mari, attraverso lo sguardo dell'arte, è stato realizzato in collaborazione con l’Istituto di Scienze Marine del CNR, e curato da Stefanie Hessler. Fotografo e regista, nato a Milano ma residente a Berlino, Linke analizza nel suo lavoro la trasformazione dell’ambiente attraverso una esplorazione approfondita e multidisciplinare della cultura tecnologica e degli avanzamenti scientifici.
Prospecting Ocean. Intervista con Armin Linke
In mostra all’Istituto di Scienze Marine a Venezia, il nuovo lavoro frutto di spedizioni nell’Oceano Pacifico. Obiettivo: aumentare la consapevolezza sulla condizione dei mari.
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- Selva Barni
- 17 agosto 2018
- Venezia
Coerente col suo metodo, ha composto anche questo suo progetto come un percorso condiviso, una collaborazione con altre figure professionali, grazie alle quali ha indagato lo stato degli oceani, con un’attenzione particolare ai fondali marini, arrivando a fotografare fino a 5000 metri di profondità, e documentando cosi l’impatto dello sfruttamento delle risorse terrestri da parte di noi esseri umani.
Linke si muove sempre come uno scienziato, attingendo a una molteplicità e varietà di fonti. Immagini e filmati d'archivio provenienti da CNR-ISMAR, sono in mostra accanto a istallazioni video e a nuove fotografie, accompagnate da interviste a scienziati, biologi, geologi, politici e legali. Persone strategiche per il destino degli oceani o attive nell’immaginarne e determinarne il futuro.
Prospecting Ocean è mirato a farci capire esattamente quali sono le conseguenze dell’attuale gestione politica dei mari e dello sfruttamento della blue-economy. La mostra è ospitata nella storica sede del CNR-ISMAR di Venezia e allestita dallo studio Kuehn Malvezzi. Durante la settimana di apertura, è accompagnata da un programma di attività curate da Territorial Agency, organizzazione indipendente che opera per favorire trasformazioni territoriali sostenibili.
Il lavoro su Prospecting Ocean è durato tre anni. Ci racconti come è nato e come si è sviluppato?
Prospecting Ocean nasce da un invito della Fondazione TBA21-Academy a partecipare a un programma con lʼintento di portare artisti e scienziati a fare unʼesperienza a contatto con lʼoceano: il primo viaggio che abbiamo fatto è stato in Papua Nuova Guinea insieme alla curatrice Ute Meta Bauer e i risultati di questa prima spedizione sono stati poi presentati a Kingston, in Giamaica.
Poi proprio a Kingston, grazie allʼavvocato di legge internazionale Davor Vidas, che fa anche parte dellʼAnthropocene Working Group, ho avuto un contatto con lʼInternational Seabed Authority, lʼOrganizzazione delle Nazioni Unite che regola i fondi marini in acque internazionali. Visitando questa istituzione, è stato interessante capire come vengono gestite le risorse oceaniche sia in acque nazionali che internazionali, e come si sono sviluppate le legislazioni riguardo alla colonna dellʼacqua e al fondo marino.
Partendo dal progetto Anthropocene Observatory, unʼinstallazione allʼHaus der Kulturen der Welt di Berlino realizzata con Anselm Franke, John Palmesino e Ann-Sofi Rönnskog, ho proposto a TBA21-Academy di sviluppare un progetto attorno a questi temi, cercando di capire come operano e si posizionano le istituzioni scientifiche, legali e gli attivisti locali. Unʼaltra istituzione con cui mi interessava collaborare è il CNR-ISMAR, con cui cʼè stata la possibilità di realizzare questa mostra proprio negli ex laboratori dellʼIstituto di Scienze Marine a Venezia: questi spazi ospitano ora lʼarchivio storico dellʼIstituto, mentre i laboratori si trovano nella nuova sede allʼArsenale. In questi ex laboratori i temi della mostra dedicati ai fondi marini, che risultano così astratti e lontani, si uniscono perfettamente alle tracce dellʼattività scientifica e ai materiali storici che lʼIstituto di Scienze Marine e lʼArchivio dellʼAdriatico ci hanno messo a disposizione. Con Stefanie Hessler, curatrice della mostra, abbiamo pensato infatti di chiedere agli scienziati di scegliere dallʼarchivio i materiali che potessero risuonare storicamente con i temi della mostra.
È interessante capire come i media visivi hanno delle conseguenze storiche
C'è qualcosa di essenziale che si è rivelato nel suo svolgimento che inizialmente non avevi considerato
Partendo dalla mia pratica artistica, che si sviluppa soprattutto attraverso i media visuali come la fotografia e i film, è stato per me interessante capire come lo sviluppo negli anni ʼ70 di tecnologie di visualizzazione, come i sonar, ha permesso di creare delle planimetrie dei fondali marini.
Questo tipo di visualizzazione è stato tradotto poi in cartografie e batimetrie e, di conseguenza, è iniziata anche una strutturazione legale: se ora le nazioni possono estendere la propria zona di interesse economico facendo richiesta allʼOrganizzazione delle Nazioni Unite, è perché esiste da qualche decennio una tecnologia visiva che permette di basare queste richieste geopolitiche su immagini che hanno un valore legale. Dunque questo tipo di nuova forma di colonizzazione del fondo marino è possibile proprio perché esiste una tecnologia visiva: è interessante capire come i media visivi hanno delle conseguenze storiche di questo tipo.
Coerentemente al tuo metodo, hai costruito anche questo lavoro come un percorso condiviso con altre personalità della scienza e delle arti, e con l'Istituto di Scienze Marine del CNR. Come organizzi e gestisci un lavoro così complesso?
Sicuramente attraverso il dialogo: ad esempio, a Kingston, ho conosciuto il geologo marino Matthias Haeckel e la biologa Antje Boetius che lavorano in Istituti Oceanografici tedeschi e, visitando Marum e Geomar, ho avuto accesso allʼarchivio video delle spedizioni di ricerca che usano ROV sottomarini (remotely operated vehicle). Parlando con gli archivisti e gli scienziati che usano queste immagini, ne abbiamo fatto una scelta “coreografica”: queste immagini sono doppiamente interessanti perché sono “operative”, ovvero servono ai piloti e agli scienziati per navigare i robot sottomarini fino a 5000 m di profondità, esplorando zone particolari come i vulcani sottomarini o i sedimenti minerari e la fauna intorno a queste zone.
Sono anche immagini molto spettacolari in stile “James Cameron” che abbiamo abbinato in mostra a un quarto schermo con inseriti di testo estratti dai diari di bordo degli scienziati legati ai singoli giorni di ripresa e, leggendo bene tra le righe, si possono capire le agende geopolitiche legate a ciascuna spedizione sottomarina.
Questo è stato per me un modo molto interessante di negoziare con le istituzioni e gli scienziati, dialogando insieme sul valore culturale di queste immagini e su come trasformare delle immagini di carattere scientifico in immagini di carattere artistico.
Lʼidea era di offrire una mostra che fosse un paesaggio percorribile da tipologie di pubblico diverse
La mostra si sviluppa attraverso gli spazi della storica sede dell' Istituto di Scienze Marine in un percorso che offre più livelli di lettura. Una guida stampata orienta attraverso temi e stanze, dove generose didascalie permettono ulteriori possibilità di approfondimento. Oltre a un primo livello istintivo e puramente visivo. Quanto è importante la parte ipertestuale nel tuo lavoro?
In questo progetto la parte ipertestuale è molto importante perché i temi trattati sono molto complessi: lʼidea era di offrire una mostra che fosse un paesaggio percorribile da tipologie di pubblico diverse. Si può infatti navigare gli spazi in modo veloce, sia guardando alcune delle opere più spettacolari sia leggendo solamente alcuni testi riassuntivi, ma ci si può anche fermare per approfondire i temi e studiare le interviste video come se fossero delle lectures allʼuniversità. È stato quindi importante non solo il lavoro di editing dei video con Giulia Bruno e Giuseppe Ielasi per creare la coreografia interna del materiale, ma anche lo studio con gli architetti Kuehn Malvezzi per avere una specie di interfaccia sculturale allʼinterno della mostra.
Una decisione importante è stata quella di avere dei plinti, cioè di non utilizzare le pareti dellʼedificio, ma di presentare il luogo stesso come unʼopera dʼarte e di lasciare intatte le tracce dellʼattività scientifica senza far aderire nulla alle pareti. Inoltre, abbiamo voluto che le diverse stanze fossero navigabili come delle isole.
È stato poi altrettanto significativo il lavoro con la grafica Linda Van Deursen per fare in modo che i testi potessero essere letti con diversi strati di approfondimento: si può infatti navigare la mostra con una guida stampata, in più ogni stanza riporta una specie di capitolo riassuntivo e ogni opera ha un testo aggiuntivo.
L'allestimento dello studio Kuehn Malvezzi interpreta gli spazi e i diversi linguaggi espressivi, fotografie e video, come elementi provvisori, niente è fissato o proiettato alle pareti, ma posizionato su strutture autoportanti che nonostante la dimensione sembrano trovarsi perfettamente negli spazi che le accolgono. Come nasce la vostra collaborazione e quanto il progetto espositivo aiuta la comprensione del progetto?
Con Wilfried Kuehn insegnavamo allʼUniversità di Arti e Design di Karlsruhe e insieme abbiamo curato la mostra su Carlo Mollino allʼHaus der Kunst di Monaco, e con i nostri studenti abbiamo sviluppato l’interfaccia dellʼinstallazione Phenotypes Limited Forms che è stata ora ripresentata a distanza di 10 anni al ZKM (Zentrum für Kunst und Medientechnologie) di Karlsruhe, allʼinterno della mostra Open Codes. Si tratta di un progetto in cui il pubblico viene invitato a partecipare facendolo diventare esso stesso co-curatore, dandogli la possibilità di comporsi e stamparsi un proprio libro con alcuni oggetti e fotografie. Tra lʼaltro, di questo progetto e’ un libro che uscirà tra qualche settimana presso Lars Muller Publishers.
E poi con Giulia Bruno, Giuseppe Ielasi e Renato Rinaldi abbiamo collaborato a lungo per altri lavori come Anthropocene Observatory e Alpi, mentre insieme a Linda Van Deursen abbiamo lavorato per un progetto, prodotto da ZKM e presentato al PAC di Milano, in cui lʼidea era di avere immagini fotografiche e testo che funzionassero come un ipertesto nello spazio: perciò avevamo già sperimentato questʼidea di stratificazione di lettura dei contenuti mediatici allʼinterno dellʼallestimento.
- Prospecting Ocean
- Stefanie Hessler
- 23 maggio – 30 settembre 2018
- Istituto di Scienze Marine (CNR-ISMAR)
- Riva dei Sette Martiri 1364, Venezia