10 architetture detestate, ma che gli architetti amano

Tra brutalismo e postmoderno, e maestri come Aldo Rossi, i Bbpr e gli Smithson, un viaggio tra quegli edifici che sono sembrati controversi per tutti, tranne che per gli architetti.

“Ecomostri”, “usines à gaz”, “torte nuziali rovesciate”, “più bei punti panoramici nella città” (in quanto unici punti in cui non li si può vedere) o, apoteosi del didascalico, “ca’ Brutta”.
Questo, quando non ci si è limitati alla più semplice noia ostentata, è quanto certi edifici sparsi per il mondo si sono meritati dal dibattito pubblico, e più che altro da chiunque non appartenesse ad una specifica categoria: gli architetti.

Perché determinati edifici hanno avuto vita dura, o perlomeno controversa, mentre solo gli architetti parevano esserne innamorati?
E sia chiaro che non si va parlando di opere secondarie o nascoste, ma spesso di icone come il Centre Pompidou, o di progetti diventati cult come le visibilissime “Lavatrici” di Prà a Genova.

What the hell is that?

John F. Collins, sindaco di Boston, primi '60

Le origini del fenomeno sono diverse. Spesso la ricezione controversa degli edifici ha in realtà coinciso con la ricezione controversa di movimenti o tendenze, come il brutalismo o il postmoderno, che come pochi sono riusciti a polarizzare detrattori e sostenitori.
Altre volte sono state questioni più radicalmente sociali a rendere invisi ai più certi edifici che hanno incarnato i fallimenti di intere città davanti a temi come periferie e crisi abitative.
Altre volte si è trattato di grandi questioni culturali alle quali questi edifici hanno dato un’immagine, di volta in volta denigrata o sostenuta: troveremo perplessità da parte di Manfredo Tafuri (“diga insicura”) come di Jean Baudrillard (“oggetto mostruoso”), di Reyner Banham (“ritirata dell’Italia dal Movimento Moderno”) come degli stessi committenti dei progetti in questione (“What the hell is that?!”).

Lasciamo a voi di scoprire quale degli edifici che abbiamo selezionato si è aggiudicato ciascuna di queste critiche, tra icone postmoderne come il Portland Building di Richard Graves o brutaliste come l’Unité d’Habitation (Le Corbusier), i Robin Hood Gardens degli Smithson, adesso demoliti, o le sedi governative di Paul Rudolph presso New York. E naturalmente non mancheranno all’appello Aldo Rossi, la già citata Ca’Brutta o la Torre Velasca.

Ultima nota: persino Gio Ponti, non certo un alfiere del Neoliberty, ritenne necessario intervenire dalle pagine di Domus (381, agosto 1961) a difendere la Velasca, pur avendo da poco inaugurato una sua antitesi in cemento e vetro come il Grattacielo Pirelli. Ancora una volta era un architetto a difendere un’architettura, dicendo: “Anche se per le derivazioni formali che si vogliono riscontrare nella Velasca può parere il contrario, la Velasca è un'opera nuova ed anticonformistica, se la si pone al confronto dei conformismi in corso. (...) Ed è per questo che trovandomi davanti ad una espressione insigne, che amo all'infuori d'una situazione polemica che attorno ad essa si è determinata, io mi allieto che la Velasca esista”.

Lo stile italiano dell’altro mondo

Nata da una joint venture internazionale, Nexion coniuga i valori del Made in Italy a quelli della manifattura indiana. Un sodalizio da cui nasce la collezione di superfici ceramiche Lithic.

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