L’arte di sopravvivere a sé stessi: Tracey Emin in mostra a Palazzo Strozzi

Tra neon, pittura e scultura, l’opera dell'artista britannica, ora in mostra a Firenze, non cerca conforto, ma esistenza pura: un racconto viscerale di fragilità e resistenza, di vita e perdita.

Riguardo a Tracey Emin, negli ultimi trent’anni, si è detto di tutto. Che la sua arte è catartica, confessionale, espiatoria, autobiografica. Che i suoi dipinti sono intimi, crudi, introspettivi, controversi. In più occasioni si è gridato allo scandalo, all’inopportuno, al sessualmente esplicito o inadeguato, a partire dal quel My Bed – la riproduzione della sua camera da letto dopo quello che oggi chiamiamo "bed rotting" – che nel 1999 le valse la nomination al Turner Prize, e che la consacrò ufficialmente al mondo dell’arte. Si è parlato spesso anche di fragilità, vulnerabilità, dolcezza.

In trent’anni sono state usate sempre le stesse parole, che ancora oggi continuano a passare di bocca in bocca. E – in un modo quasi ossessivo, che rasenta la pornografia del dolore – ogni volta che si è parlato di Emin, non si è taciuto sullo stupro subito a tredici anni, su i due aborti che negli anni Novanta l’hanno segnata tanto da portarla a distruggere tutta l’arte prodotta fino a quel momento, e sul cancro che quattro anni fa l’ha quasi uccisa.

Spesso mi chiedono cosa ne penso del femminismo. E io rispondo sempre che io non penso al femminismo. Io sono una femminista.
Ritratto di Tracey Emin. Foto Ludovica Arcero. Courtesy Say Who International

Certo, sembra quasi impossibile parlare di Emin senza passare per tutto questo, o ignorando un dato biografico così preponderante. Ma la realtà è che la maggior parte di ciò che si è detto finora scalfisce solo impercettibilmente la superficie di quello che l’artista "fa" con la sua arte, con le sue emozioni, con l’esperienza stessa dell’esistenza e del dolore che le è intrinseco – perché inscindibile dall’atto di amare, che è un "dolore costante".

Tracey Emin, “Sex and Solitude”, Palazzo Strozzi, Firenze, 2025. Foto Ela Bialkowska, OKNO Studio © Tracey Emin. Tutti i diritti riservati, DACS 2025.

L’unico modo per capire qualcosa di Emin è osservare le sue immagini (“non sono immagini, sono sentimenti”, ha spesso sottolineato l’artista) e leggere le sue parole, lasciandole risuonare in qualcosa dentro di noi che esiste da prima di noi. E per farlo, la mostra “Tracey Emin. Sex and Solitude” – allestita a Palazzo Strozzi a Firenze dal 16 marzo al 20 luglio – è un’occasione imperdibile. Di seguito, un piccolo manuale per visitarla al meglio, attraverso cinque delle opere più rappresentative.

Ma prima, una precisazione sul titolo, ispirato all’installazione site-specific – una scritta in neon che reca le stesse parole – che accoglie il pubblico all’ingresso del Palazzo. Presentando la mostra, Emin spiega che “molte persone in questa stanza, e molte persone in generale, hanno avuto esperienza di cosa sia il sesso e cosa sia la solitudine: per me sono intriseche. Da giovane il sesso mi dava una spinta, mi faceva pensare, mi faceva agire, mentre ora che sono più grande, è la solitudine ad essere fondamentale per la mia arte”.

Immagine di apertura: Tracey Emin, “Sex and Solitude”, Palazzo Strozzi, Firenze, 2025. Foto Ela Bialkowska, OKNO Studio © Tracey Emin. Tutti i diritti riservati, DACS 2025.

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