Nel Regno Unito, il King’s Birthday Honors è una celebrazione annuale in cui il Re assegna riconoscimenti ai cittadini che si sono distinti nel campo delle arti, delle scienze, della medicina, dell’istruzione o per servizi resi alla comunità. Tra i nomi insigniti del riconoscimento nel 2024, insieme all'attrice Imelda Staunton e alla scrittrice Monica Ali, compare quello dell’artista britannica Tracey Karima Emin.
“Dame Tracey Emin – ha un certo fascino, no?” ha dichiarato l’artista in un’intervista con la Bbc. Orgogliosa o ironica? Forse entrambe, non possiamo saperlo. Sicuramente, questo riconoscimento è segno dei tempi che cambiano celebrando il coraggio di una carriera dedicata a sfidare i confini tra pubblico e privato, affrontando i tabù di petto e spingendosi sempre un po’ più oltre.
Tracey Emin naviga nel mare dell’arte contemporanea da oltre 25 anni. Cruda, sincera, autentica. Tanto sfacciata e onesta da essere talvolta scambiata per ribelle, con la sua opera in questi anni ha smascherato le tante falle nascoste nell’ideale romantico dell’artista aprendoci gli occhi sull’impatto del divario di genere nella vita delle donne.
“Una William Blake donna, sceneggiata da Mike Leigh”
Nata nel 1963 da madre inglese di discendenza romanichal e da padre turco cipriota, cresce a Margate, nel Kent, con il gemello Paul. All’età di 13 anni viene violentata, episodio che commenta come “quello che è successo a molte altre ragazze”. Studia arte. Ha due aborti traumatici. Pensa di mollare tutto. Negli anni ’80 diventa la bad girl della Young British Art. Poi il seminale rapporto con la collega Sarah Lucas e il gallerista e curatore Carl Freedman, fino alla partecipazione al Turner Prize. Le sue opere entrano in collezione al MoMA, alla Tate. Di recente la malattia, con un cancro alla vescica, poi la guarigione.
Sono sicura che se fossi nata 400 anni fa mi avrebbero bruciata, affogata o seppellita viva. La caccia alle streghe continua ed è crudele oggi come allora, ci sono donne che vengono ancora bruciate vive, uccise a colpi di pietra
Tracey Emin
Se di Tracey Emin sappiamo proprio tutto è perché non ha mai smesso di trasformare la sua vita in opera, a partire da quel viaggio nel 1994 da San Francisco a New York, autofinanziato grazie a sessioni di lettura del suo libro autobiografico “Exploration of the Soul” aperte al pubblico che incontrava lungo il percorso.
Opere senza filtri che le hanno conferito l’aura che la rende una specie di Joan Jett dell’arte contemporanea. Ma il segreto del suo essere rock non sta tanto nella capacità di provocare, quanto nel coraggio di mostrare la propria vulnerabilità.
Emin è tutta lì, nelle sue opere. Nuda e cruda, anche quando non mostra un centimetro di pelle. Una dama pronta a dimostrare come non ci sia arte dove c’è pudore e non ci sia vita che nella verità.
1. Tracey Emin, Tracey Emin CV, 1995
Tracey Emin CV è un’opera composta da nove fogli bianchi A4, scritti a mano con dell’inchiostro turchese. Qui, Emin elenca sotto forma di curriculum vitae tutti gli eventi significativi della sua vita a partire dal suo concepimento nel 1962, fino al primo stupro a tredici anni, il trasferimento a Londra e l'iscrizione alla scuola d’arte. Gli abusi sessuali sono raccontati da Emin senza esitazione, come anche nell’opera video Why I Never Became a Dancer dello stesso anno. L’opera documenta le esperienze traumatiche, come anche i momenti di svolta che l’hanno portata all’evoluzione e quindi, in qualche modo, anche alla salvezza.
2. Tracey Emin, My Bed, 1999
Candidata al Turner Prize del 1999, My Bed è un’installazione composta dal letto sfatto dell’artista circondato dai residui accumulati durante giorni passati a letto a causa della fine di una relazione: preservativi usati, bottiglie di liquore vuote, test di gravidanza, lenzuola macchiate di cibo, sigarette.
L’opera faceva parte della collezione di Charles Saatchi, che si dice la tenesse esposta nella sua sala da pranzo. Nel 2014 è stata venduta all’asta di Christie’s per 2,5 milioni di sterline (3,77 milioni di dollari) al collezionista tedesco Christian Duerckheim. Dal 31 marzo 2015, My Bed divide la stanza con le opere di Francis Bacon alla Tate Britain.
3. Tracey Emin, Everyone I Have Ever Slept With 1963–1995, 1995
In occasione della mostra “Sensation”, che nel 1997 esponeva la collezione di Saatchi alla Royal Academy of Arts di Londra, Tracey Emin presentò una tenda ricamata con centodue nomi di persone con cui aveva dormito dal 1963 fino al 1995. L’elenco è stato a lungo erroneamente associato a una lista dei suoi partner sessuali, mentre in realtà comprende familiari, amici, partner e anche amanti, svelando come lo sguardo del pubblico sessualizzasse sia l’opera che l’artista.
4. Tracey Emin, Is Anal Sex Legal? e Is Legal Sex Anal?, 1998
Is Anal Sex Legal è una delle prime opere luminose in cui Tracey Emin utilizza il neon, oggi riconosciute tra le sue più celebri e distintive a causa della caratteristica calligrafia. Is Anal Sex Legal è accompagnata da un'altra insegna luminosa, Is Legal Sex Anal, che riflette la prima invertendo l’ordine delle parole e il significato stesso della frase. Il tema del sesso anale è esplorato da Emin in una prospettiva femminista, criticando le aspettative sociali che limitano il piacere sessuale delle donne.
5. Tracey Emin, The Mother, 2017
Installata nel 2022 all’Inger Munch’s Pier nell’Isola dei Musei di Oslo, The Mother è una scultura in bronzo alta nove metri e pesante 18,2 tonnellate che nasce da un piccolo bozzetto modellato dall’artista in argilla. Una donna nuda che siede inginocchiata, china su un bambino invisibile. Attonita di fronte alla mancanza, fissa per sempre le braccia vuote a capo chino, in riva al fiordo.
L’opera omaggia la maternità, quella riuscita e quella mancata, ricordando la madre di Edvard Munch, Laura, scomparsa quando l’artista aveva cinque anni.
Immagine di apertura: Ritratto di Tracey Emin. Foto Ollie Hammick