Tra le mostre da non perdere in Europa, Corps et Âmes si distingue sicuramente per la qualità delle opere esposte e per il tema centrale che la attraversa: il rapporto tra corpo e anima. Un tema che non è solo un filo conduttore che lega alcune opere della collezione, ma una chiave per comprenderne l'identità, come fosse un corpo mutevole, in continua evoluzione.
La Pinault Collection è, da anni, un organismo vivente che assimila storie, tensioni e visioni, riflettendo sulle grandi questioni della condizione umana contemporanea e promuovendo l'arte come la sua forma di espressione più autentica. In Corps et Âmes, ogni opera risuona con la propria intensità, intrecciandosi alle altre in un dialogo stratificato, come in un concerto di voci.
Se pensate di visitarla entro il 25 agosto 2025, forse dovreste tornare a questa lettura dopo e godervi l’esperienza senza spoiler.
Se invece non ci riuscite, vi portiamo noi alla scoperta di questa mostra imperdibile.
Preludio: Baselitz, Appah e Cherri

Ad aprire il percorso è Meine neue Mütze (2003), un monumentale autoritratto in legno di cedro in cui un giovane Georg Baselitz stringe un teschio tra le mani, evocando un forte contrasto tra innocenza e morte. Con la sua presenza totemica, introduce lo spettatore alle figure oniriche di Gideon Appah, sospese tra sogno e memoria, e alle storiche 24 vetrine disposte attorno alla rotonda della Bourse de Commerce.
Originariamente destinate a esporre progetti commerciali, queste vetrine oggi ospitano l'installazione di Ali Cherri, che le ha trasformate in un percorso ispirato a Le Sang d'un poète (1930) di Jean Cocteau. Frasi calligrafate tratte dal film emergono sulle superfici vetrate, creando un dialogo tra passato e presente, tra realtà e finzione. I manufatti esposti oscillano tra reperto archeologico e creazione contemporanea, mettendo in discussione il valore della testimonianza storica e la sua interpretazione nel tempo.
Crescendo: il Manifesto di Jafa sotto la cupola della Bourse
Al centro della rotonda vibra un'opera dal forte valore simbolico: Love is the Message, the Message is Death (2016) di Arthur Jafa. Un montaggio di frammenti viscerali, tra filmati d'archivio e video trovati in rete, che restituisce la storia afroamericana attraverso un found footage che alterna scene violenza, ingiustizia, appropriazione culturale, simulacri ed elevazione a icone popolari.
Le immagini scorrono accompagnate da Ultralight Beam di Kanye West, un brano che, se nel 2016 sembrava incarnare un messaggio di speranza e trascendenza, oggi aggiunge un'ulteriore stratificazione di senso all'opera, portando con sé il velo di ambiguità inevitabilmente legato alla figura del suo autore.

L'installazione risuona sotto la grande cupola dell'edificio. Rimbalza sull'affresco di 1400 metri quadrati realizzato nel 1889 per la Camera di Commercio che rappresenta i cinque continenti in un'immagine fortemente legata all'immaginario espansionista della Francia di fine Ottocento guidado il visitatore al piano superiore, dove lo accolgono gli imbianchini iperrealisti di Duane Hanson, cristallizzati in un momento di pausa.
La stanza è immersa a metà nello stesso rosa intenso che domina le tele rosee di Philip Guston (Lamp, 1974; The Window, 1969): ammassi di carne da cui emergono, quasi per epifania, frammenti di forme inquiete, alla ricerca di significato in un mondo segnato dalla brutalità dell'assassinio di John F. Kennedy e Martin Luther King, delle rivolte razziali, da Chicago a Los Angeles, fino ai linciaggi del Ku Klux Klan.

Intermezzo: il trionfo della pittura
L’indagine sul corpo come segno, archivio o strumento politico ritorna nelle silhouette di Kara Walker ai disegni di William Kentridge fino agli interventi di Robin Rhode e Anne Imhof. Un ruolo centrale è affidato alla pittura, con artisti la cui opera si distingue nel panorama contemporaneo per forza espressiva come nel caso dei tre ritratti di Lynette Yiadom-Boakye, artista londinese di origine ghanese, il cui linguaggio pittorico è caratterizzato da un’immediatezza raffinata, capace di catturare sia la profondità dei soggetti raffigurati sia le sensazioni di chi li osserva e da un tratto deciso che rimanda alla tradizione di Manet, Degas, Goya.

A questo approccio si contrappongono le pitture dolorose e spasmodiche di Marlene Dumas, i corpi martoriati di Ana Mendieta e le fotografie di Wolfgang Tillmans. E poi ancora una volta, a mano a mano che si avanza nel percorso espositivo, l’atmosfera si trasforma: la dimensione intima e sospesa è trasformata da un crescendo di tensione, quasi fosse traghettata dalla barca di Peter Doig in House of Music (2023), che naviga verso il nulla, e accompagnata dal suono che sembra provenire dal grande dipinto di Michael Armitage Dandora (Xala, Musicians) (2022).
Il percorso si chiude con un gran finale che arriva sulle note di Avignon (2014), il ciclo monumentale di otto dipinti di Georg Baselitz, drammatico e al tempo stesso spettacolare che sovrasta il visitatore. Presentati per la prima volta alla Biennale di Venezia del 2015, curata da Okwui Enwezor, le tele raffigurano otto uomini a testa in giù, bloccati in una discesa senza fine. La loro caduta, così dilatata, assume un carattere quasi ipnotico, pacificato, trasformandosi in una danza senza gravità mentre nella mente dello spettatore si susseguono echi di ritratti di Pablo Picasso, Lucas Cranach, Egon Schiele ed Edvard Munch, rendendo omaggio ai Maestri della stria dell'arte che hanno fatto del corpo la chiave di accesso privilegiata per la rappresentazione dell'anima.
Coda: fino all'ultima nota
Nascosto nell'auditorium sotterraneo si compie l'ultimo movimento: un gruppo di giovani giamaicani balla dancehall sotto la pioggia battente al ritmo di bassi amplificati nel video in bianco e nero di Cecilia Bengolea. Un’immagine di resistenza e rigenerazione che chiude il percorso con un'esplosione di energia e speranza, come un'ultima nota lasciata vibrare nell'aria.
Immagine di apertura: Duane Hanson, Housepainter I, 1984-1988