Gli ambienti ricorrenti delle serie tv non hanno mai niente di casuale. Vengono inquadrati per tantissimo tempo, sono teatro di molti eventi diversi e con il passare delle ore ci parlano dei personaggi.
Se in un film molto spesso non abbiamo tempo di esplorare gli ambienti, nelle serie tv diventano un compagno di inquadratura quasi fisso. Ogni serie ha i suoi interni che alle volte sono utilizzati come strumento di racconto. Ce ne rendiamo conto con maggiore evidenza nella fantascienza, perché tutto è diverso dal nostro mondo, ma anche quando i racconti sono ambientati nel presente nessuna scelta è casuale.
L’interior design, la scenografia e anche solo le fonti d’illuminazione, quando curate bene, lavorano in maniere insospettabili per portare avanti il racconto e dire qualcosa, alle volte anche in antitesi con la trama, riguardo chi li abita o chi li ha arredati.
8 grandi serie tv raccontate attraverso I loro interni
Ancora più che nei film, le ambientazioni e soprattutto gli interni acquisiscono una importanza centrale nel racconto televisivo e seriale. Soprattutto qunando si tratta di pietre miliari come Mad Men, Breaking Bad o... BoJack Horseman.
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- Gabriele Niola
- 26 maggio 2020
Bojack Horseman vive in una casa che non lo rispecchia davvero ma rispecchia semmai l’immagine che ha di se stesso. Classica villa losangelina da attore, arroccata sul pendio con affaccio ampio e piscina, è tutta arredata in stile moderno senza impegno o fantasia, un passo più in su (nel prezzo) di Ikea.. Ci sono foto sue, quadri grotteschi che lo rappresentano (quando non sono di finta pop art) e spazi molto ampi per feste. Ma non c’è niente che ci parli di lui. E questo ci parla di lui.
Tutta la serie mira a scavare dentro Bojack per vedere, sotto gli strati di cinismo, cattiveria, meschinità e alcol, cosa ci sia in quest’uomo terribile, frustrato e pieno di traumi, vessato dal culto di sé e dall’aver perso la fama. La casa rispecchia moltissimo il mistero Bojack.
Come detto non somiglia a lui ma all’immagine di successo che ha di sé. È scarna ed essenziale là dove lui è un maniaco dell’accumulo, ha addirittura una zona ufficio con scrivania che non gli serve assolutamente. È una perfetta casa d’apparenza, che non ha né l’accoglienza di una villa personale, né il gusto di una residenza arredata con passione. È solo un oggetto dal prezzo elevato.
Poche cose sono più amare e tristi del salotto di Joyce in Stranger Things. Utilissimo nella prima stagione come stazione di comunicazione, ha tutta l’aria dimessa della sua proprietaria.
Sono gli anni ‘80 ma sembrano i primi anni ‘70, sembra la casa con cui viveva con sua madre, con le coperte sulle poltrone, una carta da parati omicida e quasi niente alle pareti.
Ovunque regna la moquette. Ha la disposizione classica del cinema di Spielberg, quella da casetta del centro sub-urbano, con il tavolino tondo in mezzo alla cucina e ambienti stretti riempiti d’oggetti per farli sembrare ancora più stretti. Oggetti ammassati senza un particolare stile, dalle lampade simil art-deco agli oggetti di elettronica di consumo esibiti come elementi d’arredo. I dettagli più fantasiosi sono quelli che non dovrebbero esserlo come i cuscini. Una mestizia infinita in una casa che è un mezzo di comunicazione con il Sottosopra.
Se non ci fossero stati decenni e decenni di cinema dell’orrore questo maniero in stile Tudor eserciterebbe un fascino incredibile. Invece fin dagli anni ‘50 questo stile architettonico è stato associato ai racconti del gotico e quindi al cinema di paura.
Chi la abita non è il proprietario ma una numerosa famiglia i cui genitori stanno ristrutturando tutta la grande villa.
In un certo senso però la casa parla benissimo della serie, racconta cosa ci troveremo e già fin dai primi episodi si fa portatrice di quel che accadrà. Le statue, gli intarsi, gli abbellimenti, le colonne, il legno e anche i pesantissimi corrimano della grande scalinata che sembra quella di Via col vento o i ballatoi massicci (l’unico dettaglio sottile e leggero sembra la scala a chiocciola in ferro battuto protagonista del finale) infondono un senso incombente di tradizione e legame con un mondo ancestrale.
Contrariamente agli appartamenti delle serie tv, la casa di Hill House non fa niente per essere mondana e di tutto per essere eccezionale, non fa niente per sembrare davvero vissuta da qualcuno ma anzi rigetta ogni intromissione, è arredata in maniera coerente al 100% come fosse un dipinto ed è ferma in un tempo che non è quello della storia. E chi ha visto la serie sa che questo dettaglio temporale è cruciale nel racconto.
L’arredamento della grande famiglia Anacleti è imbattibile e una delle invenzioni migliori di Suburra. Contrariamente ai soliti ambienti delle serie tv, questa villetta in periferia ha una personalità pazzesca che unisce opulenza e povertà in modi nuovi per la tv ma familiari per gli spettatori.
Abbondanza e soprattutto pesantezza, siamo oltre il barocco, nel territorio delle zanne d’oro come dettaglio della spalliera di un divano. L’oro è ovunque e sempre su un mobilio d’altri tempi che non sembra davvero d’altri tempi. È semplicemente tutto sbagliato ma si sposa benissimo con i costumi e gli usi della famiglia Anacleti.
Specchi, croci, intarsi, arazzi… Già è incredibile che l’ampia zona in cui si riceve, il grande salotto da cui si vedono la sala da pranzo e la cucina, sembri un piano sotterraneo. Il soffitto bassissimo aiuta a dare quest’impressione e la scarsa presenza di finestre unita all’abbondanza di colonne quasi lo confermano.
Alle pareti una collezione di quadri improbabili e coloratissimi, per terra tappeti a sfare. Spadino con i suoi abbigliamenti sgargianti poi sembra perfettamente integrato alla tappezzeria e in linea con le leggi di riverbero delle luci che imperano.
La mafia zingara è ricchissima e totalmente a disagio con questa ricchezza, piena di soldi che vengono dallo strozzinaggio ma non sa che farci, non sa nemmeno come spenderli, sa solo che può farlo e quindi lo fa. Vorrebbe vivere in un luogo che racconti la propria ascesa ma riesce solo ad accumulare materiali preziosi più che arredamenti preziosi.
Una volta finite le sette stagioni di Mad Men tutti gli oggetti di scena (rigorosamente provenienti dagli anni ‘60) sono stati venduti su internet. E non a poco. Mad Men è stato un trionfo televisivo e di costume, non ha rievocato o riportato di moda gli anni ‘60, li ha celebrati da lontano.
Non c’è un solo ufficio di Don Draper, si passa da quello molto scarno ed essenziale (ma di gran gusto) delle primissime stagioni, al cambio d’agenzia e poi al salto di qualità con uno studio arredato in maniera più modaiola e con dei colori che lo avvicinano alle stanze degli altri. Don Draper era unico, ora è diventato come gli altri.
Se all’inizio tutto era all’insegna dell’essenziale, delle camicie pulite e stirate tenute nel cassetto della scrivania e del carrello degli alcolici, alla fine ci sono disegni dei figli alle pareti (assieme agli alcolici sia chiaro), un salottino molto più fornito, oggetti regalatigli e il marchio di una vita vissuta là dove, all’inzio, c’era solo un uomo che aveva rubato la vita ad un altro e non ne aveva una sua.
Applauso per la lampada da tavolo però.
Walter White è uno dei più grandi personaggi in trasformazione della serialità. Viene progressivamente assalito dal crimine e dalla violenza ma la sua casa non cambia. La residenza White del resto sembra più che altro la casa della moglie, di suo non c’è niente ed è pensata in aperto contrasto con la personalità che sviluppa, è il simbolo più evidente di ciò che era prima di intraprendere l’attività criminale. Lungo la serie è infatti un ambiente sempre più stonato in un mondo di ambienti stonati, lo stesso nel quale il più grosso boss del crimine gestisce un fast food. In quella casa che gli va sempre più stretta ed è sempre più ridicola con le sue papere sul tavolo e le poltrone lise, con il suo bancone che dà sulla cucina e le tende plaid, Walter è un alieno. Le fonti di luce sembrano sempre scarse e non è mai davvero luminosa nonostante vivano in un luogo che scoppia di sole.
La casa verrà usata come cassaforte, come teatro di minacce e come facciata. Quello che per Gus è Los Pollos Hermanos, per lui è un villino a misura di mogliettina e vita umile.
Non parliamo degli ambienti in cui lavorano Claire e Frank Underwood quando arrivano alla Casa Bianca né degli uffici di Frank quando è senatore, quelli sono arredati ricostruendo i veri arredamenti di quel tipo di strutture governative. Parliamo dell’ufficio della CWI (Clean Water Initiave) la società no-profit che gestisce Claire e i cui piani sono rovinati subito, all’inizio della prima stagione, dalla mancata nomina del marito Frank a segretario di stato.
L’ufficio di Claire è il trionfo del gelo. La scrivania sembra una di quelle che si trovano in una suite di lusso di un hotel a 4 stelle, con gli stessi elementi di arredo dozzinali ma di gusto, con una presenza ingombrante dell’acciaio e di tutti i toni più freddi. In armonia con la fotografia plumbea della serie, che bandisce qualsiasi colore acceso, anche l’arredamento della CWI è concepito per raccontare un personaggio che non ha nessun interesse per il superfluo. Un posto concepito da una burocrate di lusso, qualcuno con più interesse a conoscere le regole per sfruttarle a proprio vantaggio che a concepire qualcosa di gentile.
Probabilmente è l’arredamento meno divertente di sempre, anche le showroom Ikea per uffici riescono ad essere un minimo più spiritose.
Nelle sit-com gli ambienti sono pochi e ripetitivi, inoltre vengono inquadrati quasi sempre da 2-3 angolature. In buona sostanza li conosciamo solo da pochi punti di vista. In Friends poi gli appartamenti sono fondamentali, più che nelle altre serie, perché sono il luogo che crea la serie: gli amici del titolo sono tali perché vivono vicini.
La casa di Monica e Rachel è un accrocco pieno di elementi eterogenei, ha una bellissima parete finestra che infatti la serie sfrutta per la gag ricorrente del vicino nudo ma poi ha divani scompagnati dalle poltrone, pareti viola e una porta verde, tavolini in uno stile e poltrone in un altro, piccoli lumi di decorazione… Tutto sembra impersonale e non ci parla direttamente di quelle due ragazze ma la densità con cui l’arredo è accumulato e la disposizione comunicano la confusione comica che serve. Lo spiega bene la cucina, che sembra stipata oltre il pensabile (per una serie in cui non si cucina quasi mai), un delirio di utensili, ingredienti e scaffalature senza sportelli.
Ma oltre a questo Friends ha nell’arredamento la sua anima più tradizionalista. Tutti i dettagli gridano mid-west statunitense eppure siamo a New York. L’America tradizionale è conservata nell’arredamento di uno show che puntava a raccontare i nuovi giovani.