“Il luogo di lavoro è come la città in un microcosmo: le persone sono attratte sia dalla prospettiva di contatto sociale sia dallo stimolo di opportunità più ampie”, scrive Norman Foster nell’editoriale del numero di ottobre della rivista. Oggi questo ambito è stato travolto da una rapida trasformazione, anche a seguito della pandemia di Covid-19, oltre che a una frangia di mecenati che – assieme ad architetti, designer e artisti, ma anche scienziati e studiosi delle discipline più disparate – hanno fatto da pionieri nel portare maggiore qualità a questi ambienti. Questo è vero anche per l’opera del guest editor 2024: dal ground scraper concepito per la sede di Willis Faber & Dumas a Ipswich (1975) al grande anello di Cupertino per Apple (2018), fino alla torre 270 Park Avenue di JPMorgan Chase a New York (2025). Con questo numero, Foster propone una serie di spunti e visioni sul tema, con la speranza che “questi esempi marginali non siano più un’eccezione, ma dominino il mainstream per formare una nuova generazione di luoghi di lavoro”.
I tre saggi espandono alcuni temi specifici e sono stati scritti dal designer ed ex chief design officer di Apple Jony Ive, dal direttore del Healthy Buildings Program di Harvard Joseph G. Allen e da Martha Tsigkari, senior partner e responsabile del gruppo Applied R+D di Foster + Partners.
Ive racconta dell’esperienza della collaborazione fra il collettivo creativo LoveFrom, che ha fondato nel 2019 assieme a Marc Newson, e Moncler, che ha fatto nascere una prima collezione la cui genesi conferma come, alla base di un progetto riuscito, ci siano le persone, le loro competenze e il rapporto di rispetto fra loro. Allen guarda alla ventilazione come aspetto cruciale per la progettazione di strutture edilizie sane, specie per i luoghi di lavoro, e racconta della transizione da un’epoca di edifici malati già in atto. Tsigkari si concentra invece sul come l’architettura può essere supportata dalla tecnologia: “Progettazione interattiva e piattaforme d’analisi (…) permettono di calcolare e confrontare in tempo reale i parametri fondamentali delle scelte degli architetti (dalla sostenibilità al benessere e perfino agli indici finanziari), favorendo decisioni intuitive ma ben informate fin dalle fasi iniziali”.
La sezione Architettura raccoglie una serie di interventi recenti che riguardano l’industria e gli spazi del lavoro, e che hanno l’ambizione di sperimentare superando le strategie progettuali più canoniche. Sofie De Caigny scrive di Royale Belge, un intervento raffinato di Bovenbouw Architectuur, Caruso St John Architects con Dds+ su un edificio per uffici tutelato, realizzato negli anni Sessanta da René Stapels e Pierre Dufau. Guanghui Ding racconta del Zgc International Innovation Center di Mad Architects a Pechino, un centro congressi che fa della copertura un elemento caratterizzante, di continuità col paesaggio e di relazione con la comunità. Su Google Bay View di Heatherwick Studio e Big s’incentra l’analisi di Mark Mack, che lo compara a interventi storici nella Silicon Valley di altri architetti, sempre per le Big Tech. Il Campus Betterware Guadalajara di Estudio Mmx e Luis Campos è commentato da Miquel Adrià. Si tratta di un complesso logistico fatto di volumi inframmezzati da aree verdi con una rigorosa gestione delle acque piovane, equipaggiato con servizi per i dipendenti, che rompe la tradizionale divisione gerarchica presente negli spazi legati all’industria. Jonathan Glancey vede in 8 Bleeding Heart Yard a Londra, dello studio Groupwork, un edificio per uffici destinato all’affitto, “una vetrina del progetto sostenibile, oltre che un successo immediato di affari e di critica”. Un esempio per i futuri progetti speculativi. Situato a Ho Chi Minh City, Premier Office – dello studio vietnamita Tropical Space – si confronta con la tradizione del mattone locale, materiale inusuale per la tipologia. Dell’intervento, Julian Worrall dichiara che “è soffuso da un’affermazione prossima al regionalismo critico, per quanto attenta a raggiungere un pubblico internazionale, e abbastanza intraprendente da controllare le forze economiche di oggi per dare sostanza architettonica anche agli edifici per uffici in affitto”.
Il luogo di lavoro è come la città in un microcosmo: le persone sono attratte sia dalla prospettiva di contatto sociale sia dallo stimolo di opportunità più ampie.
Norman Foster, Domus 1094, ottobre 2024
Per la sezione Design, Deyan Sudjic si focalizza sulla concezione dell’ufficio agile di Industrial Facility. Tulipan è l’ultimo in senso cronologico fra questi progetti, realizzato per l’azienda danese a gestione familiare +Halle, che si aggiunge alla Oe1 Workspace Collection per Herman Miller che è stata ampliata quest’anno con nuovi elementi tra cui un tavolo regolabile in altezza.
Questo mese, Norman Foster intervista la designer israelo-americana Neri Oxman sul progetto del suo nuovo laboratorio, sede dello studio chiamato Oxman. È stato concepito come un sistema vivo di interrelazioni tra ricercatori, robot e organismi, in cui l’architettura fa da strumento per l’espressione del suo approccio interdisciplinare.
In Foster sull’arte, il guest editor pone l’attenzione sulla collocazione delle opere nei luoghi di lavoro. Partendo dall’opera site-specific Citibank Installation (Curtain) di Bridget Riley per la sede londinese di Citibank (1999), passando per lavori di Conrad Shawcross, Jenny Holzer e Olafur Eliasson, Foster sostiene che il potere dell’architettura venga rafforzato dal coinvolgimento dell’arte. In Book reviews, Luca Galofaro recensisce tre libri – di Bent Flyvbjerg, Dan Gardner, di Vaclav Smil e di Marian Tupy, Gale Pooley – che insegnano a progettare partendo da fallimenti e successi. Postscript è dedicato a un “terzo luogo”, alternativo alla casa e all’ufficio, dove mescolarsi felicemente. Invece in Archivio, in Controarchitettura industriale Matthew Foreman si concentra sulla progettazione incentrata sulla risoluzione dei problemi come origine della prima architettura di Norman Foster. In Cover story, il fotografo canadese Edward Burtynsky ci porta nella fabbrica del gruppo Bmw di Rosslyn, in Sudafrica, un luogo che esprime la sinergia tra competenza artigianale umana e robotica.
Nella sezione Diario, il direttore editoriale Walter Mariotti racconta la mostra di sculture dell’artista britannico Julian Opie, a Milano. Oggetto della rubrica Human Design di Paola Carimati è Mifuko, il marchio finlandese che produce cesti intrecciati a mano in Africa che compie 15 anni e che svela “l’anima più umana” del textile design. Loredana Mascheroni racconta della mostra “Radio Design: l’evoluzione estetica degli apparecchi radiofonici” all’Adi Design Museum di Milano (curata da Davide Vercelli) e dei nuovi progetti di Daniel Rybakken per Alias. In Emerging territories, Javier Arpa Fernández racconta delle conseguenze dell’alluvione e dell’esondazione del fiume Guaíba a Porto Alegre, avvenuta nel 2024: un test per una città divisa lungo linee socioeconomiche, che sta reagendo con un forte senso di collettività. Elena Sommariva ci porta in visita a Homo Faber, a Venezia, quest’anno con la direzione artistica di Luca Guadagnino e Nicolò Rosmarini: una polifonia di talenti che di anno in anno si arricchisce sempre più di iniziative satelliti. In Germania, Giulia Ricci ha partecipato all’evento “Walk + Talk” di dieDas. La nuova accademia di design progressista è sita nel complesso della Saalecker Werkstätten (1902) dell’architetto filonazista Paul Schultze-Naumburg, che sarà rinnovato da Dorte Mandrup. Cristina Moro, in Mnemosine, racconta della sedia disegnata da Sigurd Lewerentz per la chiesa di San Pietro a Klippan, ora prodotta dall’azienda svedese Tallum. In Punti di Vista, Giulia Ricci modera una conversazione fra Manuel Cervantes (Manuel Cervantes Estudio, Città del Messico) e Yoshiharu Tsukamoto (Atelier Bow-Wow, Tokyo) sugli strumenti che l’architettura ha per intervenire a seguito di disastri naturali o sociali.