New York, anni Ottanta.
L’energia creativa e l’aura magnetica di quel circolo elitario e trasgressivo che era la Factory sono ormai in declino, tanto che nel 1984 calerà definitivamente il sipario sugli spazi di 860 Broadway. Nuovi talenti stanno emergendo, uno su tutti, Jean-Michel Basquiat, con la sua freschezza quasi ingenua e quel segno primitivo che non lascia Warhol del tutto indifferente. Ma questa è tutta un’altra storia.
Andy Warhol resta comunque fino alla morte nel 1987 il fenotipo di una nuova tipologia di artista-imprenditore: produce opere-merce con una consapevolezza feroce, trasformando il consumismo in un atto concettuale che inizia dalla produzione rapida e seriale e si conclude con la vendita all’élite newyorkese. La forza del suo Pop sta nel saper giocare con il sistema senza mai subirlo; o meglio, anche quando lo subisce, nel piegarlo allo scopo della brandizzazione di sé.
La sera del 22 febbraio 1981, alla festa di compleanno dell’avvocato Roy Cohn, si verifica quella che allora all'artista doveva apparire come una fortunata coincidenza e ora leggiamo come un incontro storico: Andy, Ivana e Donald Trump sono tutti e tre nella stessa stanza.
Alle prese con gli ultimi ritocchi alla sua Trump Tower nuova di pacca, The Donald non si lascia sfuggire l'occasione e commissiona al padre della Pop Art un’opera celebrativa del grattacielo.
Tra i due ci sono le premesse per un “matrimonio” perfetto, eppure qualcosa va storto.
A presentare l'artista e il magnate è Marc Balet, ex architetto che su suggerimento della loro conoscenza comune Fran Lebowitz fa il direttore artistico per la rivista Interview di Warhol. È Ivana a chiedergli di intercedere con l'artista e fargli realizzare una serie di ritratti dell'edificio da esporre ai lati dell’ingresso dei piani residenziali.
Dopo l'incontro Warhol, che documenta ossessivamente ogni dettaglio della sua vita dettando pagine di diario alla segretaria Pat Hackett (pubblicate con il titolo I diari di Andy Warhol, De Agostini, 1989), è tutto sommato entusiasta: Trump viene descritto come un tipo prestante, virile e, soprattutto, con un portafoglio decisamente gonfio.
“Ho dovuto incontrare Donald Trump in ufficio (taxi 5,50 dollari)“”, scrive Warhol, “Donald Trump è davvero bello”.
Un sopralluogo per fotografare la maquette del grattacielo, qualche schizzo veloce e Warhol si mette al lavoro, creando una serie di serigrafie in nero, grigio, argento e oro realizzate con polvere di diamante e glitter. La produzione includeva quattro opere in argento e quattro in oro, ciascuna venduta come set di immagini a 100.000 dollari l’una, ha spiegato a Ballet.
Ma la reazione di Trump alla presentazione delle opere fu tutt'altro che soddisfatta: quelle tonalità fredde seppur luccicanti, non tenevano conto dei colori degli interni in cui sarebbero state appese.
I Trump sono scesi. Ho mostrato loro i dipinti della Trump Tower che avevo fatto. È stato un errore farne così tanti, penso che li abbia confusi. (...) Penso che Trump sia un po’ tirchio, ho questa sensazione e Marc Balet, che ha organizzato tutta la faccenda, è rimasto un po’ scioccato
Così Warhol che non aveva richiesto alcun anticipo dovette probabilmente pagarsi un altro taxi per tornarsene a casa con tutte le opere.
Balet, di recente, ha raccontato alla rivista Gothamist di ricordare l'evento in modo leggermente diverso: “Hanno rifiutato i dipinti perché pensavano che il lavoro di Andy non fosse all’altezza degli standard di Trump. Quindi Andy se l’è presa con me”.
Qualche tempo dopo Warhol consegnò i dipinti a un mercante d'arte in Svizzera, che li vendette a collezionisti privati (da cui i due ora esposti al Warhol Museum di Pittsburgh). Ma la vendita non bastò a placarne il risentimento: nel febbraio del 1983, nonostante gli screzi, né Warhol né i Trump cedettero, presentandosi all'ennesima festa di compleanno di Roy Cohn, avvocato conservatore che costruì un'intera carriera denunciando “comunisti e omosessuali” per poi morire di Aids, negando anche sul letto di morte di aver contratto il “morbo”. Facile immaginare Andy e Ivana che finiscono a scambiarsi battutine al vetriolo su un divano. Ma la vendetta arriva un anno dopo, quando Warhol, invitato a giudicare i provini delle cheerleader dei New Jersey Generals, una squadra di football acquistata da Trump, si presenta con due ore di ritardo giustificandosi con un impellente bisogno di pregare.
Un battibecco che arriva fino ai giorni nostri, e più precisamente fino al 19 novembre 2024, quando una delle quattro opere realizzate per i Trump è stata venduta durante l'asta serale di Phillips a New York. Stima iniziale: $500,000 - $700,000. Aggiudicata per ben $952,500.
E anche se Warhol non è più qui per goderselo, gli ex coniugi ci sono eccome. Non sono state rilasciate dichiarazioni, ma possiamo immaginare The Donald mentre attribuisce il risultato d'asta alla sua rielezione come presidente degli Stati Uniti.
Come dargli torto?
Ma il mercato, specie quello dell'arte, è una scacchiera in cui qualsiasi mossa è valida, e quelle opere "pacchiane" e forse non in tinta hanno ora un nuovo valore.