Jean Tinguely torna a Milano con una grande mostra

A pochi mesi dal centenario della nascita dello scultore svizzero, inaugura una delle più significative mostre a lui dedicate. Ricordando anche la spettacolare performance in Piazza Duomo nel 1970.

Sulle pagine di Domus 493, del dicembre 1970, Pierre Restany scrive: “A dieci anni di distanza, il 27 ottobre 1960 – data di fondazione del gruppo dei Nouveaux Réalistes a Parigi – prende la dimensione di un fatto storico. (…) Questi dieci anni hanno aperto delle prospettive, delle ricerche che annunciano una nuova metodologia del linguaggio, una spersonalizzazione dell’arte a vantaggio di diversi metodi di intervento sulle strutture della comunicazione”. Si tratta dell’incipit dell’articolo che celebra il festival funebre del decimo anniversario del Nouveau Réalisme (il cui primo manifesto uscì nel 1960, per mano del critico francese), organizzato da Restany insieme a Guido Le Noci, direttore della Galleria Apollinaire.

Jean Tinguely in cerca di materiali, Parigi, 1960 © Museo Tinguely, Basel. Fotografo sconosciuto

In questa occasione, tra gli altri, Christo aveva impacchettato il Monumento a Vittorio Emanuele II in Piazza Duomo, Arman aveva distribuito per tutta la città delle accumulazioni di sacchi di plastica, Niki de Saint Phalle partecipò con i uno dei suoi Tirs, sparando a un altare con la carabina. Ma una delle performance più indelebili nella storia della città di Milano è senza dubbio quella che Jean Tinguely mise in scena sul sagrato di Piazza Duomo, intitolata la Vittoria: coperto da un solenne drappo di velluto viola con le iniziali NR (per “Nouveau Réalisme”), un gigantesco fallo dorato, decorato da grappoli d’uva e riempito di esplosivi e petardi, dopo essere stato azionato, si autodistrusse in meno di tre quarti d’ora, tra scoppi, scintille e fumo, con in sottofondo la celebre canzone O Sole Mio, forse cantata da un ubriaco.

Christo and Jeanne-Claude. Wrapped Monument to Vittorio Emanuele II, Piazza del Duomo, Milan, Italy, 1970. Foto: Shunk-Kender © 1970 Christo and Jeanne-Claude Foundation

Il funerale del Nouveau Réalisme non segnava il primo incontro di Jean Tinguely con la città di Milano, che risaliva in realtà a più di dieci anni prima. Questo legame è uno dei tanti aspetti della sua produzione documentati nella grande retrospettiva che Pirelli HangarBicocca dedica all’eclettico artista svizzero, curata da Camille Morineau, Lucia Pesapane, e Vicente Todolí con Fiammetta Griccioli, e visitabile fino al 2 febbraio 2025.

Restany, sempre nei suoi scritti per Domus, parla del capoluogo lombardo come di una “valvola culturale di Parigi” tra gli anni Cinquanta e Sessanta: i musei si rinnovano, e alcune gallerie si propongono come luoghi di sperimentazione. Non è un caso che nel 1954 l’artista e designer italiano Bruno Munari (che negli anni Trenta aveva realizzato le sue prime Macchine Inutili) inviti nello Studio d’Architettura B24 Tinguely, con il quale condivide l’amicizia di Pontus Hultén, perché presenti per la prima volta in Italia le sue Méta-mécaniques, delle sculture in filo metallico costituite da elementi geometrici e colorati, vicini alle sperimentazioni dell’astrattismo geometrico dei primi del Novecento, e dotate di movimento grazie alla presenza di piccoli motori elettrici, a cui lo scultore svizzero lavorava da qualche anno.

Jean Tinguely Requiem pour une feuille morte, 1967 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2024 Collection Fonds Renault pour l’art et la culture, France Courtesy Pirelli HangarBicocca, Milano Jean Tinguely © SIAE, 2024 Foto Agostino Osio

E non è un caso neanche il fatto che la mostra nelle Navate dell’Hangar cominci proprio dalla giustapposizione di un gruppo di macchine di questo periodo, con due opere monumentali degli anni Ottanta, Cercle et carré-éclatés (1981) e Méta-Maxi (1986), come a voler anticipare i risultati della riflessione sulla macchina, sul movimento, sul suono, che Tinguely porterà avanti per tutta la sua vita, arrivando a ridefinire il concetto di scultura.

Sono un artista del movimento. Ho cominciato facendo pittura, ma mi sono arenato, ero in un vicolo cieco. (…) Quanto potevo fare con i quadri era di aspettare che fossero esauriti e non riuscivo mai a giungere alla fine. Allora ho deciso di introdurvi il movimento.

“Sono partito da elementi costruttivisti (…): ho riutilizzato i loro elementi e li ho messi in movimento per giungere a una ri-creazione, per ri-fare un quadro infinito, che trovasse di continuo nuove composizioni grazie a movimenti fisici e meccanici collocati dietro l'opera. E così, pian piano, mi sono reso conto che il movimento era una possibilità espressiva in sé e per sé, con cui si potevano ottenere cose plasticamente diverse da quelle fatte in precedenza”.

Jean Tinguely. Veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2024 Primo piano: Sculpture méta mécanique automobile, 1954. Collection Centre Pompidou, Paris, Musée national d’art moderne Centre de création industrielle Secondo piano: Méta-Matic No. 10, 1959. Replica (2024) Museum Tinguely, Basel. A cultural commitment of Roche Courtesy Pirelli HangarBicocca, Milano Jean Tinguely: © SIAE, 2024 Foto Agostino Osio

Tinguely approda negli anni Sessanta alle sperimentazioni legate a un’idea di superamento della funzione e della funzionalità della macchina, in quanto generatrice autonoma di arte e scollegata dai suoi obblighi produttivi. Le sue opere sono realizzate con elementi metallici, mescolati a oggetti trovati del quotidiano, come peluche, vestiti dismessi, e giocattoli. Così in Ballet des Pauvres (1961), e Maschinenbar (1960-85), ogni elemento produce rumori e movimenti convulsi e ironici, da martelli che colpiscono degli animaletti, a teschi di animali che ondulano su bracci meccanici.

Lo spazio espositivo milanese, originariamente destinato alla fabbricazione di carrozze ferroviarie e locomotive, fa emergere un altro tema, quello della produttività: a un primo sguardo d’insieme, i marchingegni, gli ingranaggi, le cinghie e i rumori metallici delle opere di Tinguely sembrano riproporre uno scenario industriale che, invece, è bizzarro e disfunzionale. Un’opera particolarmente significativa in questo senso è Rotozaza No. 2 (1967): le bottiglie in vetro che scorrono su un nastro trasportatore vengono lentamente mandate al patibolo e distrutte da un martello, al di sotto del quale non resta che un mucchio di vetri infranti.

Jean Tinguely. L’Odalisque, 1989 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2024. Bischofberger Collection, Männedorf-Zurich, Switzerland Courtesy Pirelli HangarBicocca, Milano. Jean Tinguely: © SIAE, 2024 Foto Agostino Osio

L’energia del movimento, altro elemento di fascinazione per Tinguely, è raccontata dalle sculture Pit-Stop (1984), Schreckenskarrette – Viva Ferrari (1985), e Shuttlecock (1990), dedicate alla passione dell’artista per la Formula 1 e le automobili da corsa, come macchine che non portano da nessuna parte, ma il cui obiettivo è fare sfoggio della propria dimensione estetica e della propria potenza.

A catturare l’attenzione dei visitatori però, sono anche le “sculture lampada” al centro delle Navate. Realizzate a partire dall’inizio degli anni Settanta, queste si distinguono dalle altre opere in quanto il movimento risulta essere un elemento secondario rispetto alla funzione primaria di illuminare. Inizialmente pensate come lampade da terra, a partire dagli anni Ottanta Tinguely progetta anche delle soluzioni a soffitto dalle dimensioni maggiori, come nell’allestimento realizzato per la Cafeteria zur Münz di Zurigo nel 1983, per il Café Kyoto in Giappone e, infine, per il bar dell’Hotel Palace a Losanna in Svizzera nel 1991, del quale fanno parte le opere in mostra Mackay Messer, Mercedes e Vive Marcel Duchamp.

Jean Tinguely. Veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2024 Courtesy Pirelli HangarBicocca, Milano Jean Tinguely: © SIAE, 2024 Foto Agostino Osio

L’allestimento, concepito come una scenografia sonora e visiva di opere, è accompagnato da una stratificazione di suoni costante, altro ambito di sperimentazione per Tinguely. Alle cacofonie accidentali di opere come Plateau agriculturel (1978), composta da parti di macchinari agricoli che si attivano come strumenti di un’orchestra, si sovrappongono motivi musicali provenienti dai video d’archivio in mostra, che contribuiscono a creare un’atmosfera straniante.

A chiudere il percorso espositivo, oltre alle serie dei Philosophers, che Tinguely dedica ad artisti e amici veri e ideali che lo avevano influenzato, c’è Le Champignon magique del 1989, realizzata insieme alla sua seconda moglie, Niki de Saint Phalle – anche lei celebrata a Milano in questi mesi con una mostra al Mudec curata da Lucia Pesapane – con cui crea un sodalizio artistico che sarà elemento propulsivo per l’arte e la carriera di entrambi.

Jean Tinguely e Niki de Saint Phalle nel loro studio presso La Commanderie des Templiers a Dannemois, Francia, 1964 RMN-Grand Palais / Fonds Shunk et Kender / RMN-GP / Dist. Foto SCALA, Firenze

La mostra, realizzata in collaborazione con il Museum Tinguely di Basilea (disegnato da Mario Botta), ospita in totale circa quaranta opere, per la maggior parte ancora funzionanti, e permette di immergersi nella dimensione creativa e radicale dell’artista, in un’atmosfera che ricorda in qualche modo quella del suo studio di Friburgo, La Verrerie, una fabbrica di vetro in disuso di oltre 3000 metri quadrati acquistata nel 1988 e trasformata da Tinguely nell’anti-museo per eccellenza, il Torpedo Institut.

Immagine di apertura: Jean Tinguely davanti al Duomo di Milano, Italia, Novembre, 1971. © SZ Photo / Wolleh Lothar / Bridgeman Images. Foto Wolleh Lothar

  • Jean Tinguely
  • A cura di Camille Morineau, Lucia Pesapane e Vicente Todolí con Fiammetta Griccioli
  • Pirelli HangarBicocca
  • Dal 10 ottobre 2024 al 2 febbraio 2025