Con l’accelerazione del processo tecnologico, la vita quotidiana è sempre più costellata da sistemi complessi che non riusciamo a interpretare, dai big data agli algoritmi e all’intelligenza artificiale fino all’uso eccessivo degli smartphone.
Nella sua fase finale, questa datafication della realtà porta ad una distorsione globale (delle immagini e delle informazioni) che altera lo spazio-tempo culturale, rendendo impossibile distinguere tra passato e presente, tra realtà e deep-fake. Questo secondo Nadim Samman, curatore della mostra “Poetics of encryption“, che dopo il suo debutto presso il KW Institute di Berlino ha aperto al Kunsthal Charlottenborg di Copenaghen.
Cosa significa vivere in un mondo che non si può più capire? La domanda rimane ancora senza risposta, e infatti, come afferma Samman, “questo spettacolo non è una prescrizione. È una diagnosi”. Eppure, il sentimento (e la paura) dell’ignoto è qualcosa con cui gli esseri umani lottano fin dall’inizio dei tempi: come un meccanismo di difesa, “gli artisti hanno cercato di visualizzare dell’ignoto fin dall’inizio dell'arte, o hanno cercato di parlare all’ignoto, parlare dell’incognita, parlare del mistero di Dio, per esempio. La storia dell’arte, fino al modernismo, è soprattutto questo: creare l’immagine di qualcosa che è oltre la nostra comprensione”.
Ciò che è cambiato con l’accelerazione tecnologica è che, naturalmente, la tecnologia è fatta dall’uomo, e per questo motivo ci aspettiamo di capirla. E invece ci ritroviamo ad usare strumenti e dispositivi che abbiamo creato senza sapere come funzionano, e quando scopriamo che non possiamo realmente dare un senso a tutto questo, allora “si produce un’irritazione psicologica, e una sensazione di disempowerment politico”. Questo accade quando siamo locked out.
Alcuni artisti – come quelli esposti nel primo capitolo della mostra – concepiscono le loro operazioni artistiche perché sono locked in, ovvero bloccati nella tecnologia, e stanno cercando una via d’uscita; altri artisti sono invece mossi dalla condizione di essere intellettualmente bloccati fuori dai prodotti industriali e di consumo (a questa seconda categoria fa riferimento il capitolo della black box, seconda tappa del percorso espositivo). Quindi, in questa metafora, il corpo si rivela lo strumento per localizzarsi in un ambiente sconosciuto, come mezzo per riconoscere la nostra identità e ciò che ci circonda. Finché riusciamo a situarci dentro o fuori, possiamo ancora provare a colmare il divario tra noi e l’alterità.
La storia dell’arte, fino al modernismo, è soprattutto questo: creare l’immagine di qualcosa che è oltre la nostra comprensione.
Nadim Samman
“Quando ci chiediamo ‘dove mi trovo in relazione a questo?’”, spiega Samman, “utilizzando metafore spaziali e immaginazioni di embodiment”. Naturalmente, l’informazione non è davvero uno spazio fisico, e il codice non è un corpo; tuttavia ci sono due “spazi” che si sovrappongono e interagiscono: lo spazio digitale e quello fisico. E poi, “quando arrivi a quel punto in cui non puoi vedere te stesso dentro o fuori di esso o da nessun’altra parte”, conclude Samman, “allora raggiungi davvero una crisi di significato. Entri nel mondo della post-verità”. Ed è così che saltiamo nel black hole. E quando questo accade, arriva la distorsione dello spazio-tempo culturale.
Quindi, come navigare in questo caos? Come il curatore sottolinea, non possiamo vedere cosa c’è in un buco nero, ma possiamo osservare come questo distorce tutto ciò che lo circonda, dal momento che l’universo si modifica intorno ad esso. Quindi, anche se non si riesce a decifrare la complessità della realtà, si possono ancora vedere le distorsioni che ne vengono generate: creature dell’ignoto come Panorama cat di Eva e Franco Mattes, che “annunciano la soglia prima della datification totale, il punto di non ritorno”, afferma Samman. “Tutte queste distorsioni sono esemplari, e si comportano come sfingi. Sono mostri, sono gargoyle, che proteggono il varco all’ingresso, o ne annunciano la soglia.
La sfida è prendere questa proliferazione di mostri e cercare di trovare un modo per creare un legame con loro, di vivere con loro. Coinvolgerli nelle nostre narrazioni, nelle storie che raccontiamo su chi siamo e cosa vogliamo. Se non riusciamo a farlo, allora siamo davvero perduti”. La nostra capacità di creare “parentele” deve andare di pari passo con la creazione dei mostri, tenendo sempre presente che “corriamo un grande rischio nel cercare di dare un senso al memescape, perché possiamo generare cose come QAnon, l’ultima chimera della politica e della cultura meme. Quindi non è un’operazione semplice”.
Immagine di apertura: Eva e Franco Mattes, Panorama Cat, 2022. Courtesy gli artisti
- Mostra:
- Poetics of Encryption
- Dove:
- Kunsthal Charlottenborg, Copenhagen
- Date:
- Dal 28 settembre 2024 al 12 gennaio 2025