Ad essere precisi, tutte le età di Christo e Jeanne-Claude, fino dal loro incontro nel 1958, sono state età dell’oro. Negli anni ‘90, quando il loro binomio è ormai un marchio di fabbrica associato a lavori di scala urbana e di land art noti ad un pubblico vastissimo, i due artisti hanno già “impacchettato” il Pont Neuf a Parigi e il Reichstag a Berlino, e continueranno con una lunga serie di lavori capace di sopravvivere ad entrambi, con il grande lavoro collettivo di impacchettamento dell’Arc de Triomphe (2021), e la Mastaba per gli Emirati Arabi Uniti ora in attesa di realizzazione. Il ritratto che Pierre Restany pubblica in dialogo con la coppia nel febbraio 1997, sul numero 790 di Domus, è anche un ritratto di un’intera sequenza di stagioni nell’arte moderna e contemporanea.
Christo e Jeanne-Claude, Il grande velo del meraviglioso
New York, 16 dicembre 1996, ore 17: Christo e Jeanne-Claude mi ricevono a casa loro, a due passi da Canal, a Soho. Il primo livello della loro casa è il piano della comunicazione. Di fronte all’angolo della socializzazione, la parete lunga e larga sostiene i pannelli di “Over the River”, l’ultimo progetto in progress. Abbiamo fissato l’appuntamento da Milano via fax, e mi aspettano. La nicchia che mi hanno generosamente concesso nella loro agenda è uno spazio di festa: sono raggianti, lui col sorriso radioso, lei fiammeggiante nella sua chioma rossa. Dopo lo scambio dei ricordi arriviamo finalmente in medias res, l’oggetto rivestito, il tema trasversale del numero di Domus. Ho appena abbordato il soggetto quando Christo mi indica con un cenno del capo alcuni pezzi del 1958-59 posati su una stele in una bacheca di plastica trasparente. I primi “Wrapped Objects” realizzati all’epoca del suo arrivo a Parigi. Lì c’è già tutto, dico tra me e me, e il film della preistoria del Nouveau Réalisme comincia a scorrere nella mia mente: a Yves Klein il vuoto, a Arman il pieno, a César la compressione, a Christo l’empaquetage...
Il velo restituisce l’essenza.
“Fare dei pacchi vuol dire esprimersi appropriandosi del reale con i materiali di tutti i giorni a portata di mano, con un gesto rapido e definitivo, come scollare manifesti o comprimere rottami di ferro”, constata Jeanne-Claude. Christo approva ma subito alza il tiro della conversazione, passando dall’empaquetage al drappeggio: è il drappeggio quello che conta, il tessuto che si trova a rivestire questo o quel volume è rivelatore della verità profonda della forma. Jeanne-Claude mi fa sfilare davanti agli occhi decine di particolari di drappeggi tratti da ogni epoca della storia dell’arte: “Quando teniamo delle conferenze sul nostro lavoro cominciamo sempre così”. “E non dimentichiamo mai”, aggiunge Christo, “di citare il celebre aneddoto del Balzac di Rodin: la prima versione della scultura raffigurava Balzac nudo, con tutti i particolari anatomici. Nella seconda versione, quella definitiva, il corpo di Balzac è avvolto in un mantello che elimina i particolari e staglia il personaggio nel suo atteggiamento caratteristico”. Conclude Jeanne-Claude: “Il velo restituisce l’essenza”.
La discussione proseguirà a questo ritmo alternato di precisazione e rilancio, tanto che la coppia mi apparirà presto come un unico interlocutore, le due parti di uno stesso insieme, i vettori simultanei di uno stesso pensiero progettuale. Questa osmosi operativa non poteva che sfociare nella paternità comune dell’opera. Da quando firmate i vostri progetti insieme? “Dal 1994. Ma questa decisione non ha fatto che confermare una constatazione sottintesa da molto tempo”.
Ritorniamo al drappeggio e alla funzione fondamentale che entrambi i protagonisti gli riconoscono nella loro opera comune. “Il drappeggio dà la misura del carattere effimero del progetto”. La dimensione transitoria è la caratteristica della filosofia del progetto “Christo/Jeanne-Claude”, il suo vero e proprio aggancio vitalistico: “La vita non dura”. Christo e Jeanne-Claude spendono tesori d’energia, di tecnica e di denaro per rivestire il Pont-Neuf di Parigi nel 1985, impacchettare monumenti come quello a Vittorio Emanuele o quello a Leonardo, a Milano, in occasione del decimo anniversario del Nouveau Réalisme (1970), o ancora il Reichstag di Berlino nel 1995, per avvolgere quasi 100.000 metri quadrati di costa a Sidney (1969), per tendere una cortina tra due monti del Colorado (“Valley Curtain”, 1970-72), o ancora per far correre per 40 chilometri uno steccato di nylon nella California settentrionale (“Running Fence”, 1976), oppure per piantare contemporaneamente 1340 ombrelloni azzurri in Giappone e 1760 ombrelloni gialli in California (“Umbrellas”, 1991). Questi progetti non durano che pochi giorni e la seconda pelle che si è formata sul sito scompare, poiché era inesorabilmente votata alla sparizione. “Quello che vogliamo affermare nel nostro lavoro, attraverso l’epidermide del drappeggio, è una qualità d’amore e tenerezza nei confronti del transitorio e dell’effimero, che sono le leggi della vita”.
Le nostre opere autofinanziate e interamente riciclate sono espressione della più pura libertà creativa. E la manifestazione della poesia in libertà non può che essere temporanea, così è la vita!
Tutti i progetti di Christo e di Jeanne-Claude richiedono un periodo di tempo notevole nella preparazione e nell’elaborazione. Riguardano l’ambiente globale della vita, contrariamente alle opere d’arte ‘normali’ che definiscono un loro proprio spazio. E questo ambiente esterno è di estrema complessità tecnica, ecologica, semantica e simbolica, sociopolitica e finanziaria. Quando Christo e Jeanne-Claude intervengono su un luogo creano quel che definiscono una gentle disturbance. Devono convincere i proprietari, affittare i terreni interessati, prevedere le più minute conseguenze del loro gesto. Nulla è lasciato al caso, ma non sono al riparo dalle conseguenze della natura, come nel caso di “Valley Curtain” e “di Umbrellas”. Si scontrano con i formidabili ostacoli del formalismo politico-amministrativo. Concepito nel 1975, il progetto del Pont-Neuf è stato realizzato nel 1985. Ci sono voluti 24 anni per realizzare il “Wrapped Reichstag”, dal 1971 al 1995, e solo una votazione del parlamento tedesco ha permesso di sbloccare la situazione. La loro energia e la loro tenacia sono smisurate. Il progetto del Reichstag ha richiesto una miriade di iniziative, senza contare un vero e proprio lavoro politico di lobbying. Il loro stile d’azione globale sull’ambiente suscita insieme adesioni incondizionate e opposizioni irriducibili. Prima della realizzazione del progetto del Reichstag a Berlino Christo doveva indossare in permanenza un giubbotto antiproiettile, a causa delle minacce di morte ricevute. Come crederci quando si è stati testimoni, come io sono stato, dell’accoglienza trionfale della folla berlinese, di questa esplosione del meraviglioso collettivo (cfr. Domus n.775/65)?
Sì, la logistica dell’empaquetage è complessa. “Il grande problema dei critici è la lettura del nostro lavoro. Non lo comprendono a fondo, contrariamente agli architetti e agli urbanisti. É più facile costruire un palazzo che impacchettarlo! Per riuscire a piantare i nostri ombrelloni in Giappone abbiamo dovuto ottenere dal ministero giapponese il permesso di costruire 1340 case”. Un ombrellone = una casa, è una cosa che fa riflettere.
La tecnica è colossale tanto nella precisione quanto nelle dimensioni. Il pacco d’aria di Kassel del 1968 era costituito da 5600 metri cubi di immaterialità racchiusi in un involucro. Il Reichstag del 1995 ha significato 100.000 metri quadrati di polipropilene argentato, 15.600 metri di fune azzurra, 200 tonnellate d’acciaio... Il costo degli ultimi progetti è dell’ordine di decine di milioni di dollari. La copertura finanziaria delle opere è interamente garantita dalla vendita delle opere di Christo, passate, presenti e future (disegni preparatori, litografie, collages...). È la sfera d’azione della C.VJ. Corporation (Jeanne-Claude ne è presidente) che ricorre al credito bancario e si dedica a rimborsare integralmente il prestito.
L’aspetto temporaneo (ogni progetto non dura più di 14 giorni), l’aspetto ambientale, l’aspetto tecnico e finanziario sono parte integrante dell’estetica di Christo/Jeanne-Claude, della loro visione globale dell’arte. “Le nostre opere autofinanziate e interamente riciclate sono espressione della più pura libertà creativa. E la manifestazione della poesia in libertà non può che essere temporanea, così è la vita!”
“Christo e io”, aggiunge Jeanne-Claude, “attendiamo al varco l’idea giusta e quando compare scegliamo di divertirci. É in quel momento che si instaura il meccanismo pendolare dall’idea al sito e dal sito all’idea che porta alla realizzazione. In questa prospettiva esistenziale vi è certamente una divisione del lavoro: non prendiamo mai lo stesso aereo. Christo disegna per conto suo e ignora la contabilità. Ma c’è anche una visione comune: il piacere di creare in libertà”.
Ore 8. Lascio a malincuore le quinte di questa straordinaria impresa del meraviglioso quotidiano. I Christo sono entrati nel mito del nostro secolo attraverso il divertimento, e vogliono continuare a divertirsi. I prossimi progetti: la ripresa di “The Gates” (Central Park, New York), concepito nel 1979, e poi la realizzazione di “Over the River”, un progetto destinato al fiume Arkansas in Colorado, a cui lavorano dal 1992. A quando l’uno e l’altro? Non prima del 1999 oppure molto dopo. Ma nulla nel 2000. Il palcoscenico planetario sarà troppo affollato...