Si conclude la 77ª edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e tra qualche giorno, speriamo, potremmo dire senza conseguenze. È stato infatti il primo grande festival cinematografico dopo l’inizio della pandemia, tra distanziamenti fisici, certificati di tamponi effettuati prima dell’arrivo al lido e mascherine sempre presenti. Da un’idea del Conte Giuseppe Volpi, Presidente della Biennale di Venezia, dello scultore Antonio Maraini e dall’allora segretario generale dell’Istituto Internazionale per il Cinema educativo, Luciano de Feo, nell’Agosto del 1932 si svolse la prima edizione di un Festival che non aveva l’attuale fine competitivo, ma solo artistico/educativo. Stimolare l’attività artistica ed il mercato, questo il fine primo e ultimo della Biennale di Venezia, e allora perchè non dar spazio anche al cinema? Un binomio, quello tra pittura e cinema, che nel corso degli anni è diventato sempre più solido, per non dire d’ispirazione. La pellicola si è trasformata in una nuova tela, dove l’iconografia pittorica ha trovato molto spesso terreno fertile. Da Stanley Kubrick, che omaggia la Pop art nel suo più noto lavoro Arancia Meccanica, passando per Barry Lyndon, in cui richiama, in maniera quasi sfacciata, artisti settecenteschi come Johann Heinrich Füssli, William Hogarth, sino a Peter Greenaway, che attraversa quasi tutta la storia dell’arte classica.
L’arte ispira il cinema e il cinema ispira l’arte
Un’indagine che racconta come gli artisti contemporanei della pellicola hanno trasferito soggetti e tecniche delle più belle tele del panorama internazionale pittorico sul grande schermo.
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- Valentina Petrucci
- 18 settembre 2020
Lolita, tratto dall’omonimo romanzo di Vladimir Nabokov, viene presentato al publico da Kubrick come mezzo estremamente evocativo, d’indagine non solo psicologica, ma anche iconografica. Un’inedita Salomè che danza per il Battista, una nuova ninfa, una dea bambina che si afferma come simbolo di seduzione, così è Lolita per il Professor Humbert. Il regista statunitense però non dimentica di citare chi prima di lui aveva indagato, sulla tela, questa figura inebriante, ovvero il francese di origine polacca Balthasar Kłossowski de Rola, più noto come Balthus, che con i suoi dipinti eccentrici, raffinati e spudorati, racconta giovani donne, seducenti, accattivanti che conservano la loro innocenza. Erotico e scandaloso: caratteristiche essenziali, per il gusto del regista, da cui prendere ispirazione. Abbiamo citato, Greenaway, un regista più di nicchia ma di certo non meno colto, un Caravaggio contemporaneo da pellicola: posture, colori, ombre e luci studiate in maniera puntuale che si trasforma, senza mai peccare di superbia, in Paolo Veronese, passando per la pittura fiamminga dei secoli XVI e XVII, in cui l’uso degli specchi e la costruzione scenografica delle stanze, hanno un rimando più che esplicito. Chiama in giudizio anche la pittura dell’800 nei suoi paesaggi e reinterpreta magistralmente l’ultima cena di Leonardo. Una visione la sua, un’indagine millimetrica di uno degli affreschi più noti al mondo. I dettagli vengono esplorati con un crescendo ritmico e regolare attraverso l’utilizzo delle luci e delle ombre, un sinfonia d’immagini che appaiono e scompaiono per destare stupore ed incuriosire
Non solo rimandi e citazioni, ma il cinema ha anche raccontato la vita di grandi artisti come Amedeo Modigliani, Jackson Pollock, Frida Kahlo, Artemisia Gentileschi, Jan Vermeer, Michelangelo Buonarroti, Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, Edvard Munch, Vincent Van Gogh e molti altri. É stata proprio la figura di Van Gogh ad affascinare, più di molti altri artisti, registi come Vincente Minnelli, George Cukor, Julian Schnabel, Dorota Kobiela e Hugh Wlchman. Nel 1956 un affascinante, quanto somigliante, Kirk Douglas, interpreta l’artista nel film Brama di Vivere. Una biografia puntuale, dove ogni dettaglio è curato con estrema attenzione e somiglianza alle opere ed alla vita dell’artista. Un’altra storia possente, raccontata attraverso una figura femminile dell’arte di delicata psicologia, è Frida, diretto da Julie Taymor, che nel 2003 indaga, non solo la opere della pittrice, ma sopratutto la passione che questa donna ha avuto per la pittura e per il marito Diego Rivera.
In questa 77ª edizione non mancano docu-film di produzione italiana come Artemisia Gentileschi, la pittrice guerriera, che è stata la prima donna ad essere ammessa all’interno di un’accademia che, anche grazie all’aiuto del padre Orazio, ha saputo confrontarsi e misurarsi con geni e maestri della sua epoca. Una donna, una femminista ante litteram, che ha dovuto combattere non solo per la professione a cui lei era devota, ma sopratutto perchè vittima di uno stupro da parte del paesaggista Agostino Tassi, che segnò la sua vita artistica, riusci infatti a manifestare, attraverso la sua pittura e i soggetti da lei scelti, l’estremo sdegno e sofferenza per la violenza subita, come nella Giuditta e Oloferne, il dramma si trasformò nelle sue tele, dandole forza, senza mai farla arrendere.
L’arte ispira il cinema, il cinema, oggi, ispira l’arte. Diceva Elsa Morante nel suo Diario del 1938: “Che il segreto dell'arte sia qui? Ricordare come l’opera si è vista in uno stato di sogno, ridirla come si è vista, cercare soprattutto di ricordare. Ché forse tutto l'inventare è ricordare”.
Immagine di apertura: Arancia meccanica, Stanley Kubrick, 1971.