“Un’opera ardita e immensa” così il 4 Settembre del 1967 il Presidente della Repubblica Italiana, Giuseppe Saragat, definì il Viadotto Polcevera. L’Ingegnere Riccardo Morandi, grande conoscitore del cemento armato, studioso della sua forza, e artefice del grande impero dei ponti italiani ed esteri, inaugurò il suo ponte più noto.
Il 14 Agosto del 2018 però, sotto una pioggia incessante, un boato assordante squarcia la città di Genova. Un tratto di quel ponte crolla, portando con se 43 vittime e un pezzo dell’ingegneria italiana.
A quasi due anni dal crollo, il vincitore del premio Pritzker, genovese d’eccellenza, architetto e icona del mondo culturale contemporaneo, Renzo Piano, riporta alla luce il ponte. Dal Ponte Morandi al Ponte Piano, il Ponte italiano. Progettato e costruito come una cattedrale, non solo per la complessità tecnica che si nasconde dietro le linee pulite del suo sottile profilo, fatto di ferro e aria, ma perché, come le cattedrali, sarà il ritratto corale di un’intera comunità, che nella sua ricostruzione si rappresenta e si riconosce in quella metafora di riscatto e d’unione.
Soggetto privilegiato in vari dipinti, di varie epoche e stili, elemento architettonico che riserva una simbologia sconfinata, il Ponte è metafora di collegamento tra due punti, un elemento unificatore. Nella verde cittadina normanna di Giverny, Claude Monet creò un giardino che si estendeva e proseguiva oltre una grande strada che tagliava in due il terreno. Si occupò personalmente della progettazione del giardino che conteneva piccoli corsi d’acqua, uno stagno con ninfee e salici piangenti, il tutto contornato da un’innumerevole varietà di fiori e di piante. In questa magica cornice la pittura en plein air arriva al suo sommo grado, un giardino idillico, un hortus conclusus.
Immerso nella lussureggiante vegetazione, il ponte di legno, in stile giapponese, diventa protagonista di un indimenticabile ciclo di dipinti che rappresentano il soggetto in varie stagioni, con vari colori dominanti. Il ponte funge da passerella sul piccolo specchio d’acqua, adornato da ninfee, centro della sua poetica per tutti gli anni di Giverny. Lo spazio è continuo e infinito, dove la linea dell’orizzonte e la prospettiva sono totalmente assenti. Il cielo e l’acqua si confondono in un movimento osmotico che porta ad un’armonia lirica dettata dai colori puri e luminosi. Sulla costruzione lignea si mescolano le luci del sole, i riflessi dell’acqua e il verde della vegetazione circostante. I meravigliosi effetti di luce rendono possibile integrare alla perfezione l’immagine ideale, l’immagine reale e quella artificiale in un unico scenario che lascia con il fiato sospeso. Il fondo dello stagno è reso chiaramente visibile, tecnica tipica di Monet in cui unisce tre momenti in un solo istante: l’effetto della profondità dell’acqua, l’effetto del riflesso della vegetazione e l’effetto della superficie liquida.
Non fu di certo l’unico ponte che Monet descrisse, basti ricordare il dipinto conservato al Musée des beaux-arts de Lyon, Charing Cross Bridge del 1903 oppure il Waterloo Bridge, Gray Day, conservato alla National Gallery of Art di Washington, il Railroard Bridge al Philadelphia Museum of Arts, Le Pont de L’Europe, Gare Saint-Lazare, al Musée Marmottan Monet, che l’artista dipinse nel 1877.
Un anno prima fu un altro artista a rimanere affascinato da questo ponte, da poco inaugurato nei pressi della Gare Saint Lazare: Gustave Caillebotte, testimone dello sconvolgimento architettonico di una Parigi in pieno sviluppo. Il dipinto ritrae lo stesso soggetto ma la descrizione stilistica e sentimentale risulta essere completamente diversa. La prospettiva cambia, siamo sul ponte. L’artista presenta l’opera in maniera diretta, coinvolgendo lo spettatore in una visione soggettiva. Appassionato di fotografia, Caillebotte rappresenta una scena di vita quotidiana in un momento d’istantaneità, un’immagine netta e precisa, industriale, una presa d’atto di quel luogo metallico. Scostandosi dallo stile impressionista, per ritornare verso un certo accademismo, aiutato in questo da una composizione rigorosa e da una prospettiva spostata e sfuggente. Anche le ombre concorrono a dare rigore al dipinto. Numerosi studi fatti sul posto, a matita ma anche ad olio, mostrano che la genesi di questa tela è stata lunga e come ogni passaggio, ogni elemento siano stati accuratamente studiati prima di avere il loro posto definitivo.
Il Ponte di Rialto, dei Sospiri e i tanti ponticelli sui canali di Venezia hanno visto generazioni di pittori cimentarsi nella loro illustrazione, diventando a volte famosi proprio per avere scelto Venezia come sorgente di ispirazione, e il più noto di loro, in maniera quasi ovvia, è Giovanni Antonio Canal detto il Canaletto, sebbene anche lui abbia avuto il suo periodo londinese, con diverse opere che raccontavano i ponti sul Tamigi.
“Altri pittori dipingono un ponte, una casa, una barca”, scriveva Claude Monet. “Io voglio dipingere l’aria che circonda il ponte, la casa, la barca, la bellezza della luce in cui esistono”.
Immagine di apertura: Gustave Caillebotte, Il Ponte d’Europa, 1876