Riprogettare, reinventarsi. Con nuovi strumenti, nuove modalità, nuovi schemi sociali e lavorativi.
Questi i risvolti di un‘emergenza sanitaria mondiale che ha ridisegnato in ogni ambito una nuova cultura.
La tecnologia è stata una grande alleata per ogni impresa, settore, individuo, costretti ad un rapido adattamento senza un io concreto da poter raggiungere, materialmente, ma solo virtualmente. Il lavoro cambia e di conseguenza cambia la società e le sue abitudini.
Modernità e progresso erano le cifre della pittura futurista. L’esaltazione del nuovo, della tecnologia, di una nuova concezione del futuro in un’epoca, quella dei primi anni del ‘900, contraddistinta da importanti cambiamenti socioculturali. L’uomo, il lavoro, il suo ruolo, in una nuova spinta economica subirono le rivoluzioni più travolgenti. Erano cambiati i ritmi, le modalità di produzione, era cambiata la classe operaia che in fabbrica lavorava. Il proletariato assunse coscienza di sé e cominciò a comprendere il proprio potere nello stare unito per ottenere nuovi diritti. Esplosero così i primi scioperi, che cominciarono, nella loro tumultuosità e forza, a diventare fonte d’ispirazione per gli artisti. Umberto Boccioni nel 1910 dipinge La città che sale: uno sciopero cittadino, in una città, Milano, che cominciava a crescere come le altre d’Europa. Prima creazione futurista per l’artista che ne descrive la forza attraverso un groviglio pittorico dalle pennellate veloci, custodi ancora di un gusto divisionista. Le costruzioni industriali vengono inserite in uno spazio in cui la prospettiva è avvolgente, senza più le antiche regole geometriche, che diventano movimento, non solo pittorico ma anche emozionale. Un frammento di città, tormentata e rapita dalla modernità e da una realtà nuova senza precedenti. In primo piano degli uomini tentano di trattenere dei cavalli imbizzarriti, disperatamente fusi in uno sforzo dinamico, sullo sfondo, nella parte superiore, ciminiere, impalcature di nuove strutture in costruzione, una piccola folla di uomini che gridano e manifestano, una fusione che prende forma da un vortice pittorico costruito da linee direttrici di tensione per nulla statica.
Fu lo stesso Boccioni, all’esposizione di Milano del 1911, a commentare il quadro: “Le linee di forza convogliano le energie del dipinto in molteplici direzioni, trascinando lo spettatore che sarà quindi obbligato a lottare anch’egli coi personaggi del quadro”. La città moderna, la futura metropoli, plasmata sulle esigenze di un nuovo concetto: l’uomo del futuro, il progresso.
La Città Nuova deve nascere e crescere contemporaneamente alla nuova ideologia del movimento, della macchina, del lavoro, non avendo più nulla della staticità del paesaggio urbano del passato.
Una visione della città futurista, città utopica, città del lavoro e delle fabbriche, appare già nella prima pagina del manifesto di Marinetti, pubblicato su Le Figaro il 20 febbraio 1909: “Avevamo vegliato tutta la notte (...) discutendo davanti ai confini estremi della logica e annerendo molta carta di frenetiche scritture. (...) Soli coi fuochisti che s’agitano davanti ai forni infernali delle grandi navi, soli coi neri fantasmi che frugano nella pance arroventate delle locomotive lanciate a pazza corsa, soli cogli ubriachi annaspanti, con un incerto batter d’ali, lungo i muri della città. Sussultammo a un tratto, all’udire il rumore formidabile degli enormi tramvai a due piani, che passano sobbalzando, risplendenti di luci multicolori, come i villaggi in festa che il Po straripato squassa e sradica d’improvviso, per trascinarli fino al mare, sulle cascate e attraverso gorghi di un diluvio. Poi il silenzio divenne più cupo. Ma mentre ascoltavamo l’estenuato borbottio di preghiere del vecchio canale e lo scricchiolar dell’ossa dei palazzi moribondi sulle loro barbe di umida verdura, noi udimmo subitamente ruggire sotto le finestre gli automobili famelici.”
A distanza di un secolo ci attende una nuova forma di futurismo, dove il lavoro, il trasporto e le città, assumeranno, per esigenza, forme nuove ed indirizzi ancora da dettare.
Immagine di apertura: Umberto Boccioni, La città che sale, 1910-11