Rabbia: follia momentanea. Così descriveva Omero quella che oggi si riversa sui monumenti, in maniera quasi indiscriminata, di alcuni dei più noti personaggi storici, dal Presidente Jefferson a Cristoforo Colombo, o al più attuale Indro Montanelli.
Come una scultura, un’opera d’arte, può entrare nel mirino di sedicenti vendicatori della libertà? Punire la storia. Forse. Uccidere l’arte. Più corretto.
Storia, narrazione, contenuti, idee. Impossibile cancellarle, l’atto fisico si riduce solo all’oggetto in se che è narrazione stessa di un’artista, che è narrazione stessa di un’opera d’arte.
Marmo, gesso, bronzo, alabastro. Materiali che modellano e disegnano un’idea, un pensiero, esaltano l’uomo come celebrazione dello stesso.
Le statue raffigurano. Kalòs kai agathòs, ossia il bello e il buono; è in lui che si uniscono naturalezza e forza interiore. Le figure umane sono manifestazione di un ideale divino, prima, un ideale storico, poi.
La scultura, forma e senso dell’arte
Ripercorriamo la storia della scultura intesa come statuaria, oggi nel mirino delle proteste, fin dal suo periodo classico, per capirne il senso e il valore.
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- Valentina Petrucci
- 19 giugno 2020
L’inizio della statuaria vera e propria si ha durante il periodo classico, ossia durante la civiltà greca, che pone le basi, per dar spazio poi a quella romana.
Più di quattromila anni fa, comparvero nell’arcipelago delle Cicladi, gli “Idoli”. Essi raffiguravano delle figure umane stilizzate. I volti erano lisci, piatti, con l'unica eccezione del naso: triangolare e sporgente. Gli Idoli erano realizzati in marmo, un marmo bianco, koúroi (uomini) e kórai (donne) che rappresentano divinità, immagini che erano collocate nei santuari in forma di statue. Rappresentazioni di una giovane generazione in cui la polis riponeva le sue speranze e che rappresentavano il dono migliore per la divinità. Nei luoghi di culto più importanti, di alcune città, queste statue divennero numerosissime e andarono a costituire immagini ideali in onore degli dei. Significativi erano i luoghi di collocazione: la via che porta dall’ingresso dell’area sacra fino al tempio e poi attorno all’altare. Erano tragitti e luoghi dei riti comunitari, delle processioni e della presentazione dei sacrifici: i viventi vi partecipavano in presenza delle incarnazioni figurate delle loro norme e dei loro modelli ideali.
La scultura romana, prevalentemente celebrativa, si sposta sulla figura dell’imperatore, che veniva ritratto ufficialmente o in forma privata. A cavallo, a figura intera, queste erano le rappresentazioni ufficiali che tendevano ad idealizzare il personaggio e ad esaltarne le qualità morali, mentre quelle più realistiche, private appunto, ritraevano fedelmente il soggetto e ne lasciavano trasparire, attraverso peculiarità dei tratti somatici, il carattere.
L’intento celebrativo della scultura viene poi abbandonato, a partire dal XVI secolo, per dar spazio a statue ornamentali, che, nella loro realizzazione a tutto tondo, ossia una tridimensionalità fruibile che non necessitava di alcun piano di fondo, avevano come unico fine il senso rievocativo di una cultura antica mai dimenticata: muse, miti, simboli e allegorie dalle forme eleganti, romantiche e raffinate. Il pensiero religioso non verrà mai abbandonato, la committenza privata o ecclesiastica continuerà a richiedere sculture raffiguranti Vergini, Santi, Cristi, che comunque avevano un fine laudativo e devozionale.
All’inizio del XIX secolo però, gli artisti si oppongono a questo pensiero, ritenendo più opportuna la figurazione dei valori civili di quel tempo, recuperando la storia e l’identità nazionale. La scultura diventa un mezzo di denuncia contro le ingiustizie sociali, gli orrori della guerra, ed ecco che arrivano i nuovi eroi, i nuovi idoli: uomini che hanno cambiato, modificato e stravolto la storia. Il loro pensiero, le loro idee hanno dettato quello che oggi è il nostro presente e durante la loro vita, o poco dopo la loro morte, venivano ricordate, fermate, immortalate, attraverso la mano sapiente di un artista che riconosceva ed affermava la loro grandiosità, sulla quale si poteva essere più o meno concordi, compiendo un ritratto che avrebbe ricordato alle vecchie ed alle nuove generazioni, quella parte di storia.
Nel corso dei secoli la statuaria ha modificato i suoi soggetti ma mai il proprio fine: acclamare e rendere immortale un concetto, un’idea, un dio, un eroe.
Nel 2001, poco prima dell’attacco alle torri gemelle, due enormi statue di Buddha, scolpite nelle pareti di roccia nella valle di Bamiyan, furono distrutte dai talebani, non è di certo una segreto che la figura del fondamentalista rifiuta ogni tipo di rappresentazione di culto poiché ritenuta una forma di idolatria. Un gesto che fece scalpore e che vide poi, in altrettante forme ma con lo stesso fine, altre azioni simili. Vergogna, rabbia, denuncia per quel gesto così insensato, senza ragione o motivo che aveva solo distrutto opere d’arte, di forma scultorea o architettonica. Era stata distrutta la bellezza, era stata distrutta la forma più alta di una spinta emozionale che ha sempre cercato altro che l’idolatria. Perché? Perché viene punita l’arte? Perché invece di stigmatizzare un fatto, che di certo non è nuovo , vengono inventate forme inutili e controproducenti di protesta? Perché non riaprire libri e contestualizzare le idee di questi Signori, che vivevano in un tempo in cui gli usi e i costumi non erano di certo quelli contemporanei e che agivano mossi da un determinato bisogno che era obiettivamente diverso da quello odierno?
Platone, nel suo Fedro, afferma: “Invece l’iniziato da poco, lo spettatore di tante visioni dell’al di là, quando scorge un volto divino o una qualche forma corporea, che bene riproduca in sé la bellezza, dapprima è colto da un brivido, ed è invaso da uno smarrimento simile a quelli d’allora; poi, al mirar di quel volto, lo adora quasi fosse un dio (…). La sua memoria è ricondotta all’idea eterna della bellezza, e di nuovo la rivede ferma insieme con la temperanza su candido piedistallo”.
Immagine di apertura: Antonio Canova, Paride, 1822-23, European Sculpture and Decorative Arts