La mostra a cura di Célia Bernasconi aveva inaugurato il 7 febbraio a Villa Paloma – Nuoveau Musée National de Monaco, poco prima che il lockdown relegasse la visita delle opere di Frey ai soli spifferi e fantasmi. Nel frattempo, la direttrice Marie-Claude Beaud, custode delle chiavi del gioiello della principessa Carolina, ha annunciato il passaggio di testimone a Björn Dahlström, ex direttore del Museo Yves Saint Laurent di Marrakech, previsto per l’anno prossimo. Una simile occasione ha rappresentato un secondo debutto per una mostra la cui inaugurazione non ha certamente brillato per tempismo.
Passiamo a Eugène Frey. Nato a Bruxelles, classe 1864, segno zodiacale bilancia, pittore, inventore, operatore, erede e pioniere, artista e tecnico, fantasma dei palcoscenici e sconosciuto uomo del dietro le quinte dell’Opéra di Monte Carlo dal 1904 al 1924. Al timido Eugène si deve l’invenzione di una tecnica di allestimento scenico, “Les Décors Lumineux”, tema prescelto del percorso espositivo. Grandi parole per concetti confusi, con un nome che rimanda immediatamente alla sfera dell’immaginifico, del leggero, del soffuso e del paradisiaco. Niente di più lontano dalla realtà.
I Décors, infatti, fondano le proprie origini nel mondo della meccanica e degli ingranaggi unti, non sono esili, pesano e la loro esistenza dipende dalla forza delle braccia dei tecnici di scena, i quali, come scrive lo stesso Frey, hanno sempre visto più come un onere che un onore avere a che fare con una simile complessità ingegneristica.
In termini contemporanei un Décor è l’antenato degli effetti speciali, con l’aggiunta di qualche nota di unicità. Nati dal desiderio di fine ‘800 di ricreare il movimento, i Décors Lumineux sono un insieme di proiezioni a luce continua provenienti da una celata macchina mostro, che infonde vita ai disegni della quinta, trasformandoli in attori e ambienti muti pronti ad interagire con il dramma.
Nel secolo dell’evoluzione della tecnica, degli spostamenti di massa al grido di Esposizioni Universali, Frey incanala il Dio progresso plasmandolo nella dimensione di elemento decorativo.
Il dettaglio, ciò che è fievole come colore e luce, destinato a un’esistenza della durata di una scena, diventa così lo strumento necessario alla rinnovazione del pensiero sull’allestimento teatrale, creando involontariamente una nuova concezione di teatro: labile, immateriale, dinamico e irriproducibile.
Viene così messa la parola fine all’evoluzione meccanica ai fini della scienza che si fa intrattenimento, che aveva caratterizzato le stagioni dei cabaret allo Chat Noir e del Folies Bergère di Parigi. Esperienze tutte in cui il pubblico era stato chiamato ad assistere alla realizzazione di vere e proprie macchine-burattinai rappresentanti esse stesse l’intero spettacolo.
Il nuovo Teatro di Luce nasconde la sua avanguardia tecnica e fa dell’elemento decorativo e luminoso, un tempo arredo e supporto agli attori, una componente spettacolare e in costante trasformazione dell’esibizione stessa.
Questo passaggio rivoluzionerà completamente la motivazione primaria della presenza dello spettatore a teatro, insinuando nella mente di molti il dubbio su cosa lì abbia spinti in platea: il dramma, lo spettacolo luminoso, l’uno o l’altro? La loro coesistenza?
Per comprendere la spettacolarità e la complessità dell’opera di Frey sarebbe necessario risvegliarsi in quarta fila mentre l’ombra di Brunilde prende vita e sempre accompagnata dalle fide Valchirie notifica a Siegmund di essere consacrato alla morte. La musica di Wagner incanala la forza sprigionata dalle ombre che Frey anima in un clima in tempesta, mentre corde e fiati ci accompagnano in un bagno di solennità che ci restituisce al mondo disorientati. Sfortunatamente la presentazione del lavoro di Frey in mostra è limitata al materiale preparatorio al debutto sul palco, ai gobbi del sipario chiuso e inanimato: lastre di vetro, bozzetti, maquette, plastici e fotografie sono gli unici testimoni della grandezza di un’esperienza non rievocabile, perduta e, forse fortunatamente, cristallizzata nel passato. Ciò che il visitatore riesce ad apprezzare nelle sale sembra più la precisione e la minuzia di questi piccoli manufatti di oreficeria su carta che la dimensione massiva e spettacolare della tecnica di cui sono stati strumenti.
Sono invece le opere di João Maria Gusmão, presenti in mostra, i memorandum della tecnica con cui i Décors Lumineux prendevano vita. L’artista contemporaneo è stato chiamato a reinterpretare il mezzo, estrapolato dal contesto teatrale e forzato all’indipendenza, creando vere battaglie di una luce sull’altra, di un colore su un fondo, di una dimensione sulla sottostante. Nei pianerottoli, lungo le scale o inquadrate dalle lastre di vetro miniate che portano la firma di Frey, appaiono scorci di un faro la cui luce si dirama sulla costa, di un panorama in trasformazione con lo scorrere del tempo, di colline ricoperte dalla lentezza di una nevicata.
Realtà di una semplicità compositiva sconcertante, ma che mettono dinanzi all’innegabile differenza dello stato emotivo tra lo spettatore di Frey e il visitatore di Gusmao.
Se l’alba del secolo scorso aveva incanalato l’arte nella cultura del progresso scientifico, la contemporaneità ci trova, saturati dalla dinamicità dell’immagine, sterilizzati dalla frenesia del digitale, costretti a cercare pace nel culto dell’obsolescenza tecnologica e nella primordialità, facendo di “Variations, Les décors lumineux d’Eugène Frey” un’esperienza di quiete nostalgica per visitatori digitali stremati.
La mostra con le Opere di Frey, Gusmao, Paivre e numerose esperienze proto-cinematografiche ha allungato la sua permanenza nelle sale del Nuoveau Musée National de Monaco e sarà visitabile fino al 30 Agosto 2020.