Giunto al suo secondo capitolo, il progetto multimediale Hemelliggaam di Tommaso Fiscaletti e Nic Grobler prosegue nell’ambizioso tentativo di dare concretezza (per quanto l’immagine possa considerarsi concreta) a concetti difficilmente esprimibili, come il rapporto tra uomo e universo, tra gli aspetti terreni della vita e quelli celesti, e in ultima analisi tra la nostra necessità di conoscere e conoscerci e il nostro desiderio, a tratti contraddittorio, di trascendere il reale.
Come rappresentare però qualcosa di sostanzialmente invisibile? Ogni fotografia o video diventa allora il culmine di una storia, che nasce prima di tutto nella mente degli artisti, e, come in un esperimento, cerca poi conferma e attualizzazione nella realtà. Ne risultano immagini dense e stratificate, che richiedono una lettura lenta e approfondita e che creano un paradossale — quanto voluto — cortocircuito con la seconda parte del titolo del lavoro: Or The Attempt To Be Here Now.
Essere “qui ora”, infatti, ha per i due artisti una valenza ambigua, che dell’hic et nunc rimanda da un lato all’accezione imperativa e, aiutati da Heidegger, all’applicazione che ne fa l’uomo osservandosi nel suo porsi a confronto con la propria esistenza, e dall’altro a un’interpretazione più spirituale, anche se pur sempre filosofica, in cui l’essere umano è una parte impermanente del tutto, che a questo tutto anela senza tregua a ricongiungersi.
In questo esperimento la filosofia è però coinvolta solo indirettamente, perché gli strumenti principali dello studio sono la scienza e la fantascienza.
La prima pone solide basi metodologiche, e da qui nasce la collaborazione con il Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Western Cape. Il Sudafrica, dove tutto il lavoro è ambientato, è infatti uno dei luoghi del mondo più adatti all’osservazione del cosmo grazie al suo scarsissimo inquinamento luminoso: è qui che sorgerà una parte dello SKA, il più grande radiotelescopio del mondo, ed è qui che l’astronomia assurge quasi a hobby nazionale.
Ma è alla seconda che bisogna rivolgersi per veicolare con più efficacia comunicativa — e quindi rendere anche più fruibile — una ricerca che riguarda letteralmente oggetti celesti. È questa, infatti, “oggetto celeste”, la traduzione del termine afrikaans Hemelliggaam, ed è proprio dalla lingua e dalle parole di due scrittori sudafricani di fantascienza che Fiscaletti e Grobler, entrambi di base a Cape Town, partono per la loro esplorazione. E qui la cosa si fa ancora più interessante, poiché la fantascienza è da sempre una delle voci della letteratura più attive nel descrivere condizioni sociali e politiche di cui è spesso pericoloso se non impossibile parlare e, attraverso la lente della proiezione paradossale, della ben nota distopia, o di più o meno complesse sostituzioni logiche rese plausibili proprio dal ricorso alla fantasia, si è fatta più volte promotrice di domande, denunce e, nei migliori casi, cambiamento.
I testi fantascientifici di un anti–nazionalista come Jan Rabie o di un pensatore controcorrente come C.J. Langenhoven, forniscono allora un’altra solida base per il progetto, e gli permettono di acquistare anche una componente di riflessione socio–politica in questo momento decisamente necessaria: se l’uomo si pone cioè come uno dei poli dei quali l’altro è costituito dall’Universo, è all’interno dell’uomo stesso che si può ritrovare la dicotomia più dilaniante, dove l’Altro da sé — l’altro che viene visto con sospetto, che spaventa e finisce magari per essere accusato e processato — non è l’alieno di una letteratura inerme per quanto disturbante ma l’uomo stesso, il fratello con un colore della pelle diverso, il connazionale conquistato, ghettizzato e poi temuto.
Reso impossibile dalle misure anti–Covid, l’allestimento di Hemelliggaam previsto per il 2020 è intanto momentaneamente diventato una curiosa istallazione virtuale online che, se in qualche modo ne esalta lo spirito retrò, rende anche bene la complessità di un archivio di ampia portata, che vedrà nel 2021 il suo compimento con un terzo e ultimo capitolo (curato, come gli altri due, da Filippo Maggia).