I temi proposti dalla linea curatoriale della 15.Biennale di Architettura sollecitano una ampia riflessione sulla capacità dell’architettura di estendere al massimo il suo ruolo di arte sociale, dando forma all’habitat di tutti e non solo di una élite ristretta.
La Cina verso un’architettura più umana
La Cina è – per numero e dimensioni che l’impatto dell’edilizia ha nell’economia e nella società e per la rapidità ed entità dei fenomeni di modernizzazione in corso – il caso più critico e rilevante per determinare e affermare un possibile ruolo sociale e collettivo dell’architettura.
View Article details
- Spartaco Paris
- 12 luglio 2016
- Venezia
Molti lavori esposti sono intrinsecamente protesi verso questa direzione, alcuni sembrano più appartenere a quella élite di architetti, che da sempre piace ai ricchi e che si veste con i panni dell’etica più per necessità mediatica che per reale vocazione. È interessante la posizione presentata alla Biennale dalla Cina attraverso una riflessione a più voci sulle forme e sulle tecniche dell’architettura. Proprio questa nazione-continente, insieme all’Africa e all’India è – per numero e dimensioni che l’impatto dell’edilizia ha nell’economia e nella società e per la rapidità ed entità dei fenomeni di modernizzazione in corso – il caso più critico e rilevante per determinare e affermare un possibile ruolo sociale e collettivo dell’architettura.
Dal padiglione istituzionale della Repubblica Popolare Cinese, fino ai lavori di Wang Shu e Lu Wenyu (Amateur Architecture Studio), di Liu Jiakun, e di Zhang Ke (ZAO) esposti all’Arsenale nella mostra “Reporting from the Front”, sono evidenti i tentativi di presa di responsabilità dell’architettura cinese sulle sue possibilità di modificare l’ambiente costruito. Partendo da una posizione marginale rispetto alle violente trasformazioni avvenute recentemente e ancora in corso della città e del territorio cinese, è chiaro il tentativo della più alta cultura architettonica espressa dalla Cina di prendere le distanze da queste forme che caratterizzano i fenomeni prevalenti di crescita edilizia e urbana. Risulta maturo l’obiettivo di definire nuove forme e strategie, dalla pianificazione della città all’edificio fino ai modi e materiali per la costruzione, capaci di aggiornare, le specifiche capacità, tradizioni e culture materiali di un immenso popolo.
Così troviamo, nel Padiglione della Cina, una serie di esperienze sperimentali sul recupero e il rinnovo della tradizione del legno come materiale primo della costruzione e come risposta alla damnatio memoriae che la modernità recente e meno recente ha comportato sui modi di costruire. La millenaria tradizione del mujiegou è ripensata per essere aggiornata con tecnologie nuove capaci di realizzare una prefabbricazione leggera in grado di rispondere alla crescente domanda edilizia, che continua a chiedere, soprattutto nelle realtà non urbane, case basse e tipologie come scuole e servizi, compatibili con un rinnovato uso a scala estensiva di un materiale specifico della tradizione costruttiva cinese.
Il padiglione sperimentale, cui si accede nel Giardino delle Vergini è esemplificativo di questa direzione. L’uso del legno è presentato in modo da superare quella dimensione nostalgica e vernacolare che la società contemporanea cinese tende a rappresentare oggi in una cornice da souvenir turistico, e cerca nuove forme più adeguate ai tempi e a una naturale contaminazione con la cultura occidentale. Lo stesso curatore del Padiglione Cinese, Jingyu Liang, fin dal titolo del suo progetto “Daily Design, Daily Tao”, ambisce al recupero di una dimensione quotidiana del progetto di architettura, unendolo programmaticamente a quello del fashion design, più legato ai consumi, mostrando come l’esigenza di uno stile di vita moderno non implichi necessariamente l’abbandono di straordinarie tradizioni culturali quanto piuttosto il loro aggiornamento.
È straordinario il lavoro di Shu e Lu Wenyu (Amateur Architecture Studio) sulle culture materiali e su nuovi e antichi codici di linguaggio – derivati da tecniche e invenzioni costruttive con materiali locali contaminati in forme nuove: alla comunità di Fuyang che nel 2012 conferì l’incarico di un museo nazionale, lo studio ha risposto con un progetto esteso al recupero dei villaggi tradizionali esistenti sul posto, attraverso lo studio e la reinterpretazione della storia, dei materiali, dell’artigianato e delle tecniche di costruzione di questi villaggi. Stupende sono le palette tridimensionali che mostrano prove e porzioni di muri e rivestimenti, realizzati a partire dai materiali locali; esemplare è una porzione di trattamento a vista del calcestruzzo ottenuto attraverso cassaforme di bambù.
Zhang Ke lancia una vera e propria battaglia contro la tabula rasa della città cinese, attraverso la rivisitazione degli hutong, tipologie tradizionali a corte, sostituite dai grattacieli di periferia tardo modernisti, per accogliere gli enormi flussi verso le città. Le ipotesi di lavoro indagate con modelli (una costante di questa biennale) mostrano l’ipotesi di una città efficiente e con un alto tenore di vita attraverso un nuovo modello denso e non intensivo. La Cina è un laboratorio aperto, ancora in tempo per definire attraverso l’architettura una strada umana verso la sua piena modernità.
© riproduzione riservata