Abbiamo deciso di dedicare il tradizionale numero sull’Italia a un’indagine sull’evoluzione dei musei e delle istituzioni culturali. Il modo migliore, pensiamo, per chiudere un anno segnato da crisi economiche, politiche e sanitarie ancora lontane dalla fine. Del resto, l’Italia ha un primato globale sulla cultura, non solo per numero di siti dichiarati Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco (58 in totale, di cui 53 a carattere culturale e 5 naturale), ma per la sua storia, che influisce sull’economia nonostante molti continuino a negarlo.
Secondo il report “Io sono cultura” della Fondazione Symbola, in Italia ogni euro prodotto dalla cultura ne genera 1,8 in altri settori. Un circuito virtuoso, sebbene ancora prigioniero di limiti enormi, a partire dalla carenza di infrastrutture di qualità indispensabili alla condivisione, con pubblici nazionali e internazionali, di un patrimonio unico. L’idea della tutela perinde ac cadaver ha prodotto ritardi difficilmente recuperabili e, soprattutto, ha perpetuato un’idea elitista della cultura, per soli addetti ai lavori.
La cultura non è però un bene passivo o una rendita parassitaria, quanto un elemento vivo che segue la dinamica della società e la interroga nel profondo: necessita, quindi, di tutela e conservazione, ma al tempo stesso di valorizzazione, cioè di modalità di diffusione e fruizione che siano contemporanee, vale a dire in grado di contribuire alla formazione dell’identità individuale e di limitare le differenze sociali.
Domus 1074: Cultura, cuore e cervello per il Paese
Il direttore editoriale di Domus Walter Mariotti dedica il nuovo numero a un’indagine sull’evoluzione dei musei e le istituzioni culturali italiane: un asset fondamentale per il paese, che ha bisogno di più attenzione e più cura.
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- Walter Mariotti
- 06 dicembre 2022
In Europa, nel 20 per cento dei casi le persone non accedono alle attività culturali per problemi economici. In Italia, queste cifre salgono vertiginosamente, trasformando l’accesso alla cultura in uno strumento di potere, alieno, repressivo, reazionario, oscurantista. Per cambiare questa dinamica il punto nevralgico restano i musei, che in Italia tra pubblici (63 per cento) e privati (27 per cento), sono poco meno di 5.000 e di cui oltre il 70 per cento ha sede in un edificio di interesse storico o artistico.
Sebbene negli ultimi anni i visitatori di musei, monumenti e aree archeologiche statali siano aumentati, tranne che durante la chiusura per pandemia, gli accessi sono ancora frenati perché le infrastrutture sono del tutto inadeguate, perché il materiale informativo e la formazione del personale – che oggi parla inglese al 60 per cento, francese al 31, tedesco al 13,5 e meno dell’1 per cento arabo, cinese e giapponese – non sono adeguati all’audience. Senza un investimento in questi asset, sarà difficile aumentare le visite, quindi gli introiti sugli ingressi e la condivisione democratica del patrimonio.
Anche perché in metà dei musei e dei siti italiani l’ingresso è gratis, quando National Gallery e Tate Modern di Londra fanno pagare solo le mostre temporanee e il Prado di Madrid è gratuito in alcune fasce orarie, il Louvre e la maggioranza dei musei e dei monumenti francesi lo sono per i cittadini europei under 26. Nel Regno Unito, si è pensato di ridurre gli ingressi gratuiti, ma da uno studio è emerso che per ogni sterlina ricevuta in sussidi statali i musei nazionali ne fanno guadagnare 3,5.
Fra i molteplici fronti su cui operare restano centrali le architetture e il redesign degli allestimenti e della sicurezza, che sono il cuore di questo numero di Domus. Si pensi che solo il 17 per cento dei musei italiani ha avuto adeguamenti sismici e il 30,7 per cento è stato inserito nel piano di protezione civile comunale, a fronte del 34,8 che non è dotato di un piano di sicurezza ed emergenza. Parliamo anche degli apparati meta-testuali e peri-testuali, di cui gli esempi di distanza da standard all’altezza sono purtroppo infiniti. Di fronte a queste realtà, lo Stato deve intervenire in modo più incisivo di quanto fatto finora. Non solo perché è previsto dalla Costituzione, ma perché il paradosso del Paese più ricco di beni culturali al mondo che garantisce una fruibilità non adeguata deve finire. Gli investimenti in cultura ripagano sempre, sia nella crescita spirituale e sociale sia in introiti economici. Occorre una metànoia, un cambiamento di paradigma e di pensiero che spingano a investire su nuovi progetti, redesign di gloriose istituzioni, formazione del personale, digitalizzazione, deburocratizzazione. Da ultimo, ma non per ultimo, che il Ministero della Cultura ampli i contributi pubblici alla maggioranza dei musei, visto che attualmente ne usufruisce solo il 32 per cento. Domus si augura che nel 2023 la cultura abbia un impatto ancor più significativo sulla qualità della vita delle persone, sul loro benessere e sull’integrazione sociale. Il nostro quinto capitalismo potrebbe anche iniziare così.
Immagine in apertura: La sede di Napoli delle Galleried’Italia di Napoli, polo museale e culturale di Intesa Sanpaolo, oggetto di unintervento architettonico di Michele De Lucchi, inaugurata nel 2022. Foto Roberto Serra