Michele Masneri ha appena pubblicato Steve Jobs non abita più qui (Adelphi, 19 €) tutto dedicato a San Francisco e all’anno intero che vi ha trascorso nel 2017 da inviato del quotidiano Il Foglio, con molti aggiornamenti. L’autore ha un percorso atipico, da una formazione in relazioni internazionali è approdato al giornalismo economico per transitare infine a quello culturale e di costume anche se il meglio di sé lo dà quando affronta temi seri e spinosi come l’economia 2.0. Lo dimostra questo libro allegro e ricco di analisi antropologiche, urbanistiche e ideologiche.
Si può ancora essere felici a San Francisco?
L’economia di Google, Apple e di tutte le startup ha fatto di un territorio, quello della Silicon Valley, un caso unico al mondo. Un luogo dove l’architettura ha un ruolo effimero e il design non è quello di Milano, e le parole chiave sono gentrificazione e startup. Lo racconta, con lo sguardo di chi arriva dall’Italia, un libro recentemente uscito.
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- Manuel Orazi
- 19 agosto 2020
- San Francisco
Per chi è abituato alla letteratura architettonica, il tuo libro è insolitamente allegro vista la pioggia di testi allarmisti e preoccupatissimi per le difficili condizioni di vita, vedi per esempio How to kill a city di Moskowitz. Si può dunque essere felici a San Francisco?
Sì, decisamente sì. In un certo senso i prezzi alti sono un incentivo per una società, che io reputo più onesta di quella italiana: se è vero che ti danni l’anima per un bilocale da 4000 dollari al mese di affitto, è anche vero che in pochissimi subaffittano come invece accade da noi. C’è così una fortissima spinta a studiare e a trovarsi un buon lavoro in modo da potersi permettere un bell’appartamento. Tutti a San Francisco riderebbero invece della situazione italiana dove il 90% dei proprietari di casa a Roma o Milano campa di rendita di startup nate nell’800.
Ti dilunghi molto nella descrizione del territorio, contribuendo così da un lato a capire il funzionamento di questa città di mare e dall’altro a criticarne il mito guardandola da vicino senza condannarla e nemmeno celebrarla.
In molti non si rendono conto che San Francisco è una città molto piccola, con un’architettura un po’ sottotono, non esiste un grattacielo firmato da un’archistar, lo stesso concetto di design non interessa a nessuno. Quando ho intervistato David Kelley, leggendario inventore del mouse Apple con la rotella, gli ho chiesto se Milano fosse ancora la capitale del design e lui mi ha letteralmente riso in faccia! Se gli chiedevo del design del prodotto, lui non capiva la domanda: è un tema che non interessa nessuno ormai, sono tutti concentrati sul design thinking o sul design dei processi. Bisogna poi considerare che San Francisco è più una città di ingegneri che di architetti dove si fondono la cultura hippy, quella alternativa degli anni ’70 (droghe comprese) con le grandi infrastrutture digitali del XXI secolo. Si ostinano a costruire in legno in un luogo soggetto a forti venti, non c’è nessuno che non abbia in casa il santino di un familiare morto per incendio. Dunque l’architettura in generale ha un carattere effimero, all’inizio ne ero un po’ sconvolto, ma poi ho cominciato ad apprezzarlo, mi sentivo molto alleggerito senza il peso romano del classico e dell’eterno. A San Francisco non ci sono né un Richard Neutra né un Frank Gehry, in questo senso la casa di Kelley è una cattedrale nel deserto.
Per le grandi compagnie il design non è strategico, nemmeno per Apple, col suo minimalismo esplicitamente ispirato a Dieter Rams.
Ad Airbnb i due fondatori sono entrambi architetti perciò ti aspetteresti di trovare poltrone d’autore nelle loro sedi, invece zero: l’estetica è coerente col loro prodotto, un’architettura che definirei infantile. Chris Lehane, ex consigliere di Bill Clinton nonché ispiratore del capo dello staff con la faccia cattiva in House of Cards (Doug Stamper), ora è un manager Airbnb e come gli altri ha una stanzetta nel quartier generale: la sua è in stile cubano (le altre sono tedesche, italiane, messicane ecc) ed è un’architettura junkspace, da negozio in stile al centro commerciale. Tutto fa parte dell’estetica di un posto che è popolato essenzialmente da giovani quasi adolescenti, ci sono pochissimi adulti perché, se per caso hai dei figli, non ti puoi più permettere di viverci, solo l’iscrizione all’asilo costa circa trentamila dollari all’anno. Perciò tutti vivono insieme, tutti sono più o meno single come ragazzini e vivono in case da ragazzini nelle villette in stile vittoriano.
Tra le molte storie sulla gentrification, c’è quella dello stadio dei Golden State Warriors di Oakland portati in città con conseguente aumento del prezzo dei biglietti e rivolta dei tifosi.
San Francisco è molto diversa da Los Angeles, per esempio non ci sono gli artisti, e quindi anche la gentrification è diversa. Molti ne parlano a sproposito, specie in Italia dove praticamente non esiste se non in un paio di quartieri milanesi, a Roma poi funziona al contrario: Parioli è il quartiere con le buche più profonde d’Italia, nel centro storico poi c’è piuttosto una democratizzazione del degrado che a volte è superiore a quello della periferia. La struttura di San Francisco è a bassa densità con ferree regole edilizie: l’abuso edilizio semplicemente non esiste, i parchi sono tutelati a livello costituzionale e c’è un culto per il verde per cui la gentrification è indotta solo dalla tecnologia e questo è il punto debole. Mentre ero lì, andavo spesso a L.A. non solo per i prezzi più bassi, ma anche per una maggiore diversità sociale. Professori, avvocati, artisti, architetti non possono sopravvivere a San Francisco per cui dopo un po’ non sapevo con chi parlare, gli unici giornalisti presenti sono specializzati e parlano solo di soldi. È una monocoltura! Castro, lo storico quartiere gay è tutto invaso dai techies che sono sempre in cerca di nuovi quartieri da colonizzare, sempre in coliving, chi vive da solo è un eccentrico. Il direttore del museo Harvey Milk però non è preoccupato perché dice che la comunità gay si è sempre spostata nel tempo, all’inizio infatti, nell’800, era sulla Barbary Coast quando la una città era quasi per soli uomini (cercatori d’oro, marinai e galeotti ad Alcatraz).
In proposito hai scritto molto sull’architettura delle saune gay, che sono quasi piccoli villaggi nascosti molto festosi.
Le saune, che all’inizio dell’Aids furono demonizzate quando ancora non si conoscevano bene i meccanismi del virus, sono molto poche ormai però vanno viste in continuità con le feste di quartiere e il gay pride dove il turista si prova l’imbragatura di pelle sadomaso e tutto il resto con ricadute anche economiche, dal viagra biologico a km0 al merchandising rigorosamente ecologico. Ovviamente c’è un’idea demistificata del sesso, vissuto quasi sportivamente. Tutto è alleggerito e depotenziato così com’è l’America in generale.
Anche il turismo qui è unico.
Il turista qui visita la sede di Linkedin, il garage di Steve Jobs, la sede di Facebook per farsi la foto con il pollicione blu ecc. mangiando in uno degli ottimi bar e ristornati che circondano queste nuove mete di pellegrinaggio. Non solo la tecnologia, ma anche la ristorazione nella Silicon Valley è all’avanguardia: l’attenzione che c’è oggi anche in Italia per il km 0, i farmer’s market, i supermercati biologici tipo Whole Foods e Trader Joe’s viene tutta da qui. In tutta San Francisco è rimasto un solo McDonald’s scalcagnato, sicuramente ogni giorno si mangiano più hamburger a Roma mentre nella baia spopola l’avocado toast ormai molto in voga anche a Milano.
Immagine di apertura: Powell Street Station, San Francisco, USA. Foto Timo Strohmann. Immagine di anteprima: foto JD Gipson via Unsplash