Se usate in maniera inappropriata, sono un sintomo lampante di una (mancata) appartenenza sociale. Posizionate sul piatto in un certo modo, offrono ai camerieri segnali inequivocabili sul nostro appetito e sul gradimento dei piatti consumati. A tavola, dovrebbero essere disposte secondo un vero e proprio protocollo; salvo poi infischiarsene preferendo un’apparecchiatura disinvolta che, sacrificata l’etichetta, premia la vicinanza e la convivialità.
Gli assoluti: le posate che hanno fatto la storia del design
Tra continuità e sperimentazione di forme e tipologie, le posate entrate nella storia del design.
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- Giulia Zappa
- 16 gennaio 2022
Una grande ritualità ammanta dunque questo oggetto del quotidiano, che nelle sue espressioni più barocche mobilita una propensione alla specializzazione quasi perversa – i più imponenti servizi di posate raggiungono fino a 18 pezzi, salvo poi venir usati nella vita “vera” in una formula ristretta e generalista, generalmente limitata a soli tre pezzi.
A dispetto di tutte queste regole, l’utilizzo delle posate è un’abitudine abbastanza recente, in particolar modo per quanto riguarda la forchetta. Comparsa poco prima dell’anno Mille e messa al bando da papa Innocenzo III come una lussuria, si affermò in Italia a partire dal XIV secolo, per traghettare poi in Francia attraverso Caterina de Medici. La quale, tuttavia, non riuscirà ad imporne l’uso in modo definitiva: i nobili, persino il Re Sole, preferivano mangiare il cibo con le mani, rifiutando l’utilizzo di uno strumento che impone gesti controllati e che sembrava allontanarli da un rapporto più immediato e carnale con le pietanze.
Negli ultimi anni, la tendenza dell’apparecchiatura della nostra tavola si è fatta sempre più spontanea e leggera, più sensibile alla qualità che non al numero dei pezzi esibiti. L’acciaio, indistruttibile e facile da pulire, ha rimpiazzato l’argento come materiale di elezione delle tavole di tutto il mondo. Ancora, il culto della democratizzazione del quotidiano si è imposto come inclinazione alla “buona forma”, salvo poi divertirsi a sperimentare morfologie impreviste, o ad abbracciare nuovi materiali sostenibili capaci di adattarsi ad un uso delle posate che non richiede necessariamente la compresenza della tavola.
Acquisto che compiamo in maniera meditata, le posate sono presenze longeve e, almeno nel mondo Occidentale, imprescindibili nella nostra vita di tutti i giorni. In un mondo ossessionato dal protagonismo del cibo, neanche le nuove forme più ardite di food design, o i nuovi packaging del food delivery, o tantomeno le pessime abitudini di un pasto svuotato dalla socialità dal confinamento, sembrano destinate a privarci del loro ruolo di complici e mediatrici.
Immagine in apertura: Fjord Teak Flatware, Jens Quistgaard, Dansk International Designs, 1953
C’è stato un tempo, oggi per molti lontanissimo, nel quale le posate dei ricchi (e non solo) erano in argento massiccio. Con i suoi vecchi modelli ancora in catalogo, la maison francese Christofle è tra le case depositarie di questo gusto per la tavola. Un buon esempio è quello di Marly, classico tra i classici che si distingue per la decorazione vegetale dei suoi manici, tante volte ripresa da innumerevoli copie.
Le linee ampollose, riccamente decorate dei servizi ottocenteschi trovano una battuta di arresto con questo servizio, espressione del gusto della Wiener Werkstaette con cui furono presentate nell’ambito della mostra “Der gedeckte Tisch” (Vienna, 1906). A definirne il tratto, il manico allungato e leggermente svasato e la forma schiacciata del cucchiaio. Il servizio è stato riproposto dal Alessi a partire dal 2000 in acciaio, mentre la versione originaria era realizzata in argento.
Persi gli stilemi barocchi, i manici del servizio Bernadotte si vestono di linee verticali esaltando il tratto grafico di ogni pezzo. A firmarli, il reale svedese e, dopo l’abidicazione, designer industriale Sigvard Bernadotte, perfetta incarnazione di una sintesi possibile tra gusto aristocratico e casual del quotidiano.
Un manico in legno scolpito, definito da linee essenziali che esaltano le venature, caratterizza questo celebre servizio realizzato dall’artista e designer Jens Quistgaard. Dopo essere state notato al museo di Arts&Crafts a Copenhagen, Fjord sarà commercializzato negli Stati Uniti con il marchio Dansk International Designs, conoscendo un grande successo commerciale.
Celebre servizio di Ponti, rappresenta anche uno dei suoi progetti per la tavola più radicali e incisivi. A differenziarsi rispetto ad altri lavori di ispirazione più spiccatamente classicista è l’asimmetria dell’innesto con il manico e la forma triangolare di quest’ultimo. Grande attenzione è dedicata anche alla piena funzionalità del progetto: dalla lama corta del coltello, alla forchetta a denti corti e alla forma capiente del cucchiaio.
Rebbi cortissimi per la forchetta, una linea di appoggio ergonomica dell’indice sul coltello la cui lama diventa – contrariamente alla norma – più sottile del manico. E ancora, un manico completamente integrato nella posata, ricavata da un unico pezzo di metallo. Il servizio, un grande classico del design scandinavo per il quale per una volta non si spreca l’aggettivo iconico, fu realizzato per il SAS Royal Hotel – opera totale di Jacobsen – insieme ad altri prodotti entrati nella storia e nell’immaginario dell’industrial design, tra cui la Egg Chair.
Posata purista, eppure fortemente ancorata nell’uso quotidiano, Mono-A del tedesco Peter Raacke eleva a valore formale l’ambizione di disegnare oggetti normali, emblema di un design democratico anche in virtù della trasversalità e popolarità dello stile. Prodotto quanto mai longevo, e ancora commercializzato dal produttore originario, Mono-A si è arricchita nel tempo delle linee Mono-T e la Mono-E, rispettivamente con manico in teak e ebano rivettati.
Uno degli emblemi della tavola scandinava, sposa in maniera originale rigore e libertà delle linee, la quale si manifesta in particolar modo nella volumetria del coltello, animato da una torsione a 90 gradi.
Servizio in acciaio inossidabile pensato per uso quotidiano, si distingue per l’essenzialità sinuosa della forma, spesso definita come una sintesi riuscita tra funzionalità occidentale e senso delle proporzioni orientale. Disponibile anche nella versione con manico nero.
La particolarità di questo servizio non risiede esclusivamente nella forma, quanto nella predisposizione ad essere conservato e messo in mostra: l’originale cerchio bucato con cui si conclude il manico permette infatti di riporre le posate, oltre che in un cassetto, anche in un apposito supporto da lasciare a vista sul piano di lavoro della cucina.
Una posata che valse ai giovani Iacchetti e Ragni un Compasso d’Oro nel 2001 e che interpreta un vero e proprio zeitgeist di inizio millennio: biodegradabile – è infatti realizzato in Mater-Bi – fonde il cucchiaio con la forchetta in uno strumento versatile pensato per un uso informale che incorona un rito italiano da esportazione: l’aperitivo.
Servizio in acciaio inox 18/10, Cinque Stelle gioca con la proporzione degli spessori per rievocare la semplicità di forme basiche e conosciute, da esaltare attraverso un dettaglio imprevisto la morbida strozzatura alla fine del manico.
Servizio scultoreo in acciaio 18/10 e 13/10, si distingue per la presenza di una vena centrale che esalta la volumetria attraverso espressivi giochi di luce. Altri dettagli: rebbi che si puliscono facilmente, e una lama che non tocca la tovaglia, rendendo superfluo l’utilizzo del poggia coltello.
Scommettendo sull’effetto sinestetico, il designer coreano Jinhyun Jeon ripensa la forma dei cucchiai utilizzando la ceramica come materiale di elezione e sollecitando nuovi punti di contatto con le labbra, il palato e la lingua. Basterà una forma diversa a stimolare una nuova percezione del gusto?
Il piccolo marchio Jouw – fondato dagli olandesi Jouw Wijnsma e Martin Kullik – non prende l’ergonomia della tavola sul serio, e si diverte a sovvertire qualsiasi regola di utilizzo di piatti e posate. Un’irriverenza che porta i suoi frutti e che, grazie all’ironia, ci permette di rimettere in discussione i comportamenti acquisiti intorno ai rituali della convivialità.
Il designer portoghese Miguel Flores Soeiro non è il primo ad aver giocato sulla torsione de manico, ma è quello che sembra aver portato il concetto verso gli estremi. Il risultato è un manico particolarmente alto che si eleva sulla superficie della tavola e che impone alle dita una diversa presa.
Piccoli dettagli distinguono un servizio apparentemente sobrio che prende il nome dall’innesto allungato – da cui il collo, appunto – tra manico e parte funzionale della posata: la lama del coltello ha la forma di una paletta, mentre il cucchiaio si avvicina ad una circonferenza.
Con un tocco primitivista, Maarten Baas consolida il suo gusto per le forme asimmetriche ed irregolari anche attraverso questa nuova collaborazione con il marchio Valerie Objects. Il risultato fa uso dell’ironia per stupire e offrire un tocco di leggerezza: la lama assomiglia ad una sega, il bordo del cucchiaio è irregolare mentre i rebbi sfuggono al gusto per le linee parallele.
Iniziata con un pelapatate e proseguita con un intero servizio per la tavola, la collaborazione di Starck con Degrenne ci consegna un servizio di posate distinte da un curioso manico cilindrico che, come fosse una felce, si sfaccetta per ricongiungersi all’estremità della posata. Due varianti disponibili, da quella in acciaio 18/10 a quella con manico in ABS.
Pochi studi di progettazione riescono a ripensare le forme di oggetti dalle tipologie altamente consolidate come i giapponesi di Nendo. Con Skeleton, il design delle posate va direttamente all’osso, svuotando materiale là dove non è strettamente necessario. Il risultato è il primo coltello vuoto della storia dei servizi per la tavola, nonché una giuntura molto originale, anche in questo caso svuotata, tra manico e estremità da portare alla bocca.