Si dice spesso che gli oggetti più longevi siano quelli capaci di rimodulare la propria funzione, adattandola ai capricci del tempo. Un’attitudine che – ahinoi - non è stata quella della macchina da scrivere, un archetipo irrinunciabile per tutti i nati del secolo breve che è velocemente tramontato con l’ascesa del personal computer.
Eppure, a dispetto della sua scarsissima longevità, l’impatto esercitato dalla macchina da scrivere sulla vita quotidiana è stato impareggiabile. Standardizzando la scrittura e rendendola sempre più accessibile e veloce grazie alla continua implementazione tecnica dei suoi modelli, ha strutturato l’organizzazione della pubblica amministrazione, intensificato i rapporti commerciali, e aperto la porta ad una nuova forza lavoro quasi esclusivamente femminile. È intorno alla macchina da scrivere che si delineano i grandi spazi aperti dei nuovi uffici, dove un esercito di dattilografe battono all’unisono i propri testi, definendo una dimensione sonora fino a quel momento sconosciuta intorno alla pratica della scrittura. Oggetto di massa per antonomasia, la macchina da scrivere entra nella vita di moltissime famiglie come anche nella quotidianità della quasi totalità degli scrittori, che si legheranno ciascuno ad uno specifico modello, trasformandolo in un oggetto di culto laico per tutti gli ammiratori.
Sebbene diffuse in tutto il mondo – e prodotte anche oltre la cortina di ferro o nei paesi non allineati, dove si distingueranno attraverso curiose peculiarità nazionali - le macchine da scrivere rimangono soprattutto un appannaggio di aziende americane o tedesche, con qualche nota eccezione – e qui non possiamo che menzionare l’Olivetti – che ha contribuito a differenziare il design, declinandolo su modelli tanto borghesi quanto popolari. Molti i designer che si cimenteranno con la progettazione di un oggetto così squisitamente tecnico – pensiamo a Mario Bellini, George Nelson con la Editor 2, Ettore Sottsass, spesso accompagnati da meno noti ma altrettanto inventivi ingegneri – infondendogli un’identità e una visione d’uso sempre rinnovata.
Oggi, la macchina da scrivere ci appare ammantata di un’aura spiccatamente nostalgica e retrò, soppiantata da quel personal computer che ne ha ereditato la tastiera: un lascito, quello della tastiera QWERTY – il cui nome deriva dall’ordine delle prime sei lettere riportate nella riga in alto a sinistra della tastiera - che si è affermato ovunque nel mondo occidentale, con piccolissime variazioni (i paesi francofoni, ad esempio, si distinguono con la AZERTY, mentre i tedeschi adottano la QWERTZ). Eppure, l’impossibilità di gestire l’ipertestualità impostasi dagli anni ’90 e di garantire il continuo multitasking che Internet ha finito per imporre la rendono ancora attrattiva ad una piccola nicchia di utenti. Sorde al rumore mentale scaturito dalla tentazione di social network e affini, le macchine da scrivere elettroniche rimangono infatti l’ultimo baluardo a difendere la sacralità della scrittura, proteggendo quella concentrazione - e in fin dei conti dedizione - che dovrebbe accompagnarla.