Ottocento metri quadrati di “paesaggio da sogno”, dove sono i visitatori a creare le opere d’arte. Con queste parole Daan Roosegaarde – artista, architetto, geniale inventore olandese, con base a Rotterdam – introduce “Presence”, la sua prima grande mostra, aperta il 22 giugno a Groningen, 150 km a nord di Amsterdam. “La sfida più grande è stata padroneggiare la tecnologia in modo da fare emergere la poesia”, spiega. Niente dimmer, cavi, schermi o proiezioni quindi. Niente effetti speciali, né installazioni spettacolari. L’unica fonte di stupore è data da un sottile filo di luce in mezzo al buio. Materiali innovativi e principi fisici sono gli unici ingredienti alla base delle installazioni, frutto della stretta collaborazione di designer e ingegneri. La mostra è frutto di tre anni di lavoro, che ha impegnato lo studio di Rotterdam tra progettazione, ricerca, test e prototipi, e propone un concept radicalmente nuovo sotto più punti di vista. La prima rivoluzione, rispetto a un tradizionale percorso espositivo, è che senza visitatori la mostra non funziona; è la presenza del pubblico ad attivarla. Muovendosi all’interno delle cinque stanze e, soprattutto, mantenendo un atteggiamento aperto, curioso e attivo, i visitatori diventano gli autori delle opere.
Presence, la mostra di Daan Roosegaarde, è una chiamata all’azione per salvare il pianeta
Al Groninger Museum, la mostra dell’artista olandese si attiva con la presenza e l’interazione del pubblico. Partendo dal concetto d’impronta ecologica, cinque installazioni fanno riflettere sull’impatto degli esseri umani sulla Terra.
Photo Pim Hendriksen
Photo Peter Tahl
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- Elena Sommariva
- 24 giugno 2019
- Groninger Museum
- Daan Roosegaarde
- 800 mq
- Mostra
Durante il percorso, i visitatori sono invitati più volte a lasciare la propria orma, ma anche a riflettere sulle tracce che lasciano.
“Presence” ha poi anche un altro non meno importante significato sociale. La mostra, curata da Mark Wilson e Sue-an van der Zijpp, è ispirata dal concetto d’impronta ecologica e di cambiamento climatico. Ogni stanza mostra l’impatto di ognuno sul mondo che lo circonda, l’impronta che ognuno lascia dietro di sé. “Questa mostra”, spiega Roosegaarde, “è una call to action, una chiamata all’azione”. L’obiettivo è rivelare in modo tangibile e coinvolgente l’impatto della presenza degli esseri umani sul pianeta. Durante il percorso, i visitatori sono invitati più volte a lasciare la propria orma, ma anche a riflettere sulle tracce che lasciano. La libertà è massima. L’unico cartello lo si trova all’inizio del percorso e l’ha disegnato lo studio olandese: è il palmo di una mano aperta, che indica “Please touch”. Insieme con un breve testo introduttivo, è la sola indicazione per la visita che segue. Sono stati aboliti perfino i cartelli delle uscite di sicurezza: troppo luminosi perché le sale sono tutte fotosensibili. Dalla prima stanza, dove un raggio di luce scannerizza le persone, si passa a una sorta di camera oscura, dove i visitatori sono osservati e fotografati dall’opera e non – come di solito avviene – viceversa. Nella terza sala comincia il divertimento: il pavimento è coperto da migliaia di leggerissime micropalline fatte di un polimero biodegradabile rivestito da una sostanza fotoluminescente e tenute in posizione da alcuni ventilatori alle pareti. È un paesaggio alieno o un parco giochi? In entrambi i casi, la sua forma dipende da noi. La quarta sala è invasa da grandi globi fotoluminescenti che reagiscono al contatto e rivelano le nostre impronte, ma l’ultima sala il vero campo da gioco: una trentina di palline luminose – calciate, spinte, accompagnate – disegnano un bellissimo paesaggio di luce su un pavimento interamente fotosensibile.
“Non ci sono passeggeri sulla nave spaziale Terra. Siamo tutti parte dell’equipaggio”. La celebre frase di Marshall McLuhan, che Roosegaarde ha già usato in più occasioni nelle sue conferenze, chiude il percorso e condensa in poche parole l’essenza della mostra. È la prima volta che l’artista – noto per audaci progetti nello spazio pubblico urbano, come la torre mangia smog (Smog Free Tower a Beijing), una pista ciclabile dalla pavimentazione luminosa (Van Gogh Path a Nuenen, città natale del pittore), un’installazione fatta di 60 edifici retroilluminati che s’illuminano con i fari delle auto (Gates of Light, sulla diga di Afsluitdijk) – si cimenta con uno spazio interno. “Alcune stanze sembrano disegnate per la vita futura su un altro pianeta. Provo nostalgia per gli anni Sessanta e Settanta, quando gruppi come Archigram, Superstudio e Smithson provavano ad immaginare che forma avrebbe avuto il futuro. Con questa mostra spero che torni quel desiderio”, racconta Roosegaarde.
Non ci sono passeggeri sulla nave spaziale Terra. Siamo tutti parte dell’equipaggio. La celebre frase di Marshall McLuhan chiude il percorso e condensa in poche parole l’essenza della mostra.
Una mostra così tattile crea anche numerose sfide dal punto di vista pratico: tutto andrà continuamente pulito. “Questo mi ricorda Gerrit Rietveld”, prosegue Roosegaarde. “Quando aveva progettato la sua casa Utrecht, tutta gialla, rossa e blu, si è reso conto che la maniglia gialla della cucina si sporcava in fretta e quindi l’ha ridipinta di blu. Ma, così facendo, ha modificato l’intera composizione. Se sei pratico, ma lo sei in modo estremo, la praticità diventa poesia. Alla fine della mostra, potremo disegnare nuove stanze basandoci su quello che avremo imparato dalle reazioni delle persone”. È stato difficile convincere il museo a investire su una mostra così diversa dal solito? La risposta non si fa attendere: “Il Groninger Museum, per la sua posizione, decentrata rispetto ad Amsterdam, ha bisogno di statement radicali. Ha una lunga storia di mostre coraggiose: la mostra di David Bowie, per esempio, è nata qui e poi è andata al V&A di Londra. Per questo motivo, concedono sempre molta libertà. Questa mostra non sarebbe mai stata possibile in nessun altro museo”.
- Daan Roosegaarde. Presence
- 22 giugno 2019 – 12 gennaio 2020
- Mark Wilson, Sue-an van der Zijpp
- Groninger Museum
- Museumeiland 1, Groningen
- Felix Kops
La prima stanza è la “scan room”. Per i visitatori è come essere in una macchina fotocopiatrice o in uno scanner. Lo spazio ti scannerizza e ti rivela e poi ti cancella.
La griglia con grandi blocchi rettangolari della prima stanza è ispirata ai dipinti di Mondrian e all'austera disposizione del paesaggio olandese. La luce blu sembra scansionare continuamente lo spazio e i visitatori, come una fotocopiatrice. Ogni volta che la luce è bloccata, lascia impronte o tracce sul piano sensibile alla luce.
Daan Roosegaarde nella “scan room”
Un dettaglio della scan room
La seconda sala è un po’ come una camera oscura. A intervalli regolari scatta un flash e la tua immagine viene impressionata sulle pareti o sul pavimento. In qualche modo, qui è l’opera d’arte che scatta una foto ai visitatori.
Nella seconda sala, a intervalli regolari scatta un flash e la tua immagine viene impressionata sulle pareti o sul pavimento.
Nella seconda sala è l’opera d’arte che scatta una foto ai visitatori, e non viceversa. E mostra in modo molto diretto che abbiamo una relazione con il mondo attorno a noi.
Pareti e pavimento della seconda sala sono fotosensibili e un flash, che scatta a intervalli regolari, stampa l’immagine dei visitatori.
La seconda sala è un po’ come una camera oscura. Pareti e pavimento sono fotosensibili e un flash, che scatta a intervalli regolari, stampa l’immagine dei visitatori.
La seconda sala è un po’ come una camera oscura. La nostra immagine riflessa su pareti e pavimento mostra in modo molto diretto che abbiamo una relazione con il mondo attorno a noi.
La seconda sala è una grande stanza vuota dove, a intervalli regolari, scatta un flash che impressiona sulle pareti o sul pavimento fotosensisibili, la tua traccia.
Daan Roosegaarde nella seconda sala della mostra.
Nella terza stanza, il vento dà forma a una installazione di micropalline leggerissime che coprono il pavimento. Sono fatte da un polimero biodegradabile rivestite di una sostanza fotoluminescente.
La terza stanza potrebbe sembrare il paesaggio di un altro pianeta. È un paesaggio che cambia di continuo, perché la sua forma dipende dalle azioni dei visitatori.
Nella terza sala, il pavimento è coperto da migliaia di micropalline leggerissime realizzate in un polimero biodegradabile e rivestite di una sostanza fotoluminescente.
Nella terza sala, il pavimento è coperto da migliaia di micropalline leggerissime realizzate in un polimero biodegradabile e rivestite di una sostanza fotoluminescente.
Spiega Daan Roosegaarde: “Questa installazione ha richiesto due anni di lavoro e diversi prototipi, ingegnerizzazione, ricerca sui materiali. Volevamo creare qualcosa di intimo e personale. High-tech ma anche umano. Questa è stata la prima installazione cui abbiamo lavorato con l’idea di creare un paesaggio, una mappa del mondo ancora da scoprire, un paesaggio di Marte o è solo un parco giochi? Ci sono diversi livelli di lettura. E mentre ci lavoravamo è arrivata la poesia”.
Nella terza stanza è il vento a dare forma a migliaia di micropalline leggerissime che coprono il pavimento. Sono fatte da un polimero biodegradabile rivestite di una sostanza fotoluminescente.
Grandi sfere fotoluminescenti dominano la quarta stanza, il colore le “carica” e mostra la nostra impronta.
La quarta sala contiene oggetti sferici e si comporta come una sorta di planetario freestyle in cui i visitatori possono costruire il proprio sistema solare.
“Presence” può anche essere intesa come uno strumento insolito per scuotere e allargare il quadro in cui si svolgono le attività e i pensieri delle persone, anche se solo per poco.
Daan Roosegaarde sa che è possibile aumentare la consapevolezza delle persone immergendole in visualizzazioni e storie che li coinvolgono emotivamente in modo da fare loro capire quanto la Terra, e quindi loro stessi, siano preziosi e vulnerabili.
Per Roosegaarde, un’altra importante influenza artistica è stata la Land Art e l’arte ambientale degli anni Sessanta e Settanta, per esempio quella di Michael Heizer, Walter De Maria e Robert Smithson.
Nell’ultima stanza, le cosiddette Lola sono piccole sfere trasparenti che, come una specie di organismi, disegnano linee fosforescenti sul pavimento che ricordano i disegni delle caverne o forse la scrittura segreta dell’artista Cy Twombly.
Nell’ultima stanza, ci sono 25-30 palline con una fonte luminosa all’interno. Se le muovi, creano dei disegni luminosi sul pavimento. Sei tu a creare il paesaggio.
Presence è soprattutto un invito a rompere con il ruolo del visitatore istruito del museo e a entrare in un diverso rapporto con l’opera con un ruolo attivo.
I visitatori cambiano ruolo: da spettatori diventano produttori e dai produttori a parti dell’impianto, che vengono successivamente esaminati da altri visitatori.
“Volevo creare un luogo in cui ti senti connesso”, spiega Roosegaarde, “Tu crei l’opera e l’opera crea te”.