La poltrona è l’arredo che più manifesta l’evoluzione del gusto e l’espressione delle epoche storiche. Con un aspetto più simbolico rispetto alla mera funzione, ha assunto nella storia valori gerarchici: pensiamo alle poltrone delle club house maschili inglesi, o alle sedute dirigenziali da ufficio dalle ampie dimensioni, quali troni contemporanei. Come non ricordare Paolo Villaggio che, in Il Secondo tragico Fantozzi (1976) si trova al cospetto del Megadirettore sulla poltrona in pelle umana! O la classica bergère in pelle su cui siede Marlon Brando nella scena iniziale de Il Padrino (1972).
Non pochi designer, a cominciare da Alvar Aalto o Charles e Ray Eames, si sono cimentati nella rivisitazione del modello classico, rileggendone l’ergonomia e la produzione, tradizionalmente artigianale. Le componenti sono state riprogettate in chiave di modularità e di assemblaggio per parti. E sono state introdotte nuove tecniche e materiali, come il legno curvato. In Italia, Marco Zanuso, vicino ai giovani imprenditori attivi in Pirelli, ha avuto l’intuizione di utilizzare l’allora sperimentale gommapiuma per l’imbottitura nella seduta Antropus (Arflex 1949), di cui la Lady è il modello più evoluto, perché composta da quattro parti realizzate separatamente e poi assemblate. La produzione della poltrona, dunque, mutua le tecniche industriali della catena di montaggio.
Dopo il periodo del Radical Design, in cui i progettisti hanno lavorato sul concetto di destrutturazione formale e sul conseguente annullamento del valore gerarchico, si veda il celebre Sacco di Zanotta, alcune poltrone più contemporanee manifestano una ricerca su un uso più libero della seduta e sulla possibilità di sedervisi in diverse posizioni, all’insegna di un utilizzo più informale e di un valore più legato al relax e all’intimità degli ambienti.