Si accuccia. Salta all’indietro facendo una capriola in aria. Cammina su due zampe, mettendosi in posizione eretta. Corre – fino a un massimo di 3,2 metri al secondo. Scondizolerebbe anche, se avesse una coda. In compenso ha 3 prese Usb-C sul dorso più una HDMI (sì, quella del tv) e una sfilza di sensori, tra cui una fotocamera RealSense D450 di Intel che gli permette di distinguere gli ostacoli ed evitarli con precisione al centimetro. È CyberDog, il cane robot del colosso tecnologico Xiaomi, lanciato l’anno scorso (in coda a una nuova lineup di smartphone) e appena presentato in Europa al Mobile World Congress di Barcellona. In una fiera un po’ sgonfia, che molti dicono essere un miracolo se c’è, stretta com’è tra la pandemia e l’invasione dell’Ucraina, questo (potenziale) miglior amico robot dell’uomo è un assoluto protagonista.
L’arrivo dei cani robot
Il nuovo CyberDog, che costa come uno smartphone, potrebbe sdoganare un dispositivo che ci proietta dritto in un futuro postumano.
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- Alessandro Scarano
- 12 marzo 2022
Controllabile via smartphone, con l’apposito telecomando o a voce, il cervello a trazione AI del Cyberdog è il supercomputer Jetson Xavier NX, un potentissimo modulo sviluppato da Nvidia, supportato da una unità di memoria di un terabyte circa. Il cane ha una autonomia di circa un’ora prima di dovere essere attaccato alla presa. Tra le applicazioni d’uso vengono citate la sicurezza e l’aiuto ai disabili. Non si parla mai di un possibile utilizzo come arma. Il cane può trasportare anche oggetti, fino a un peso di 3 chilogrammi. Per Xiaomi, questo dispositivo è il biglietto da visita della sezione robotica dell’azienda, che possiamo prevedere diventerà sempre più rilevante nei prossimi anni.
Esteticamente, il CyberDog di Xiaomi non è nulla di nuovo e ricorda parecchio il più mediatizzato tra i cani robot dei nostri tempi, Spot di Boston Dynamics, azienda che è attualmente nel portfolio di Hyundai, dopo essere transitata da Google e dal gruppo giapponese Softbank. Anche Spot era presente al MWC, ospite dello stand IBM, non troppo lontano da quello Xiaomi.
Tra gli usi di Spot che Boston Dynamics elenca c’è l’esplorazione di aree inondate da radiazioni o nei tunnel delle miniere. Oppure l’ispezione dei cantieri e quello degli impianti manufatturieri, con un sofisticato sistema per comparare l’avanzamento dei lavori attraverso la creazione di digital twin. Ma di sicuro quelli per cui Spot è assurto agli onori della cronaca sono legati all’impiego del cane robot nelle forza di polizia del Massachussets, soprattutto in funzione anti-bomba. In un video che circola su YouTube, si vede una coppia di Spot che idugiano fuori da una casa di un sobborgo americano, probabilmente prima di fare irruzione, in modo da ispezionarla e non mettere a repentaglio gli agenti in carne e ossa.
Nel maggio del 2020, nel pieno della pandemia, il governo di Singapore impiegava Spot per fare mantenere il distanziamento sociale nei parchi, abbaiando a chi non la rispettava. Più recentemente, è stato utilizzato a Honolulu per misurare la febbre ai senza tetto. Il dipartimento di polizia di New York è tornato a sviluppare “in casa” il proprio cane robot e a Rhode Island c’è già chi chiede che ne venga vietato l’uso da parte delle forze dell’ordine. Sul confine tra Stati Uniti e Messico, i Vision 60 di Ghost Robotics, un’altra azienda di robotica, vengono impiegati per sorvegliare il confine in funzione anti-migranti. Il sito Military Times racconta del successo dei cani robot alla conferenza dell’esercito americano di fine 2021. Un po’ come è successo al MWC, insomma.
Spot, esattamente come CyberDog, non è un’arma, un aspetto essenziale per Xiaomi come per Boston Dynamics. Quest’ultima l’ha ribadito esplicitamente al magazine americano Gizmodo: “Vogliamo ribadire che nell’accordo sottoscritto dagli utenti di Spot c’è di non poterlo usare per nessuno scopo che possa fare del male o minacciare persone”. Per l’azienda di robotica è fondamentale che il cane non sia percepito come un pericolo per gli esseri umani, anche in vista del lancio del modello bipede Atlas, che segna un salto di paradigma a livello simbolico, con la sua anatomia che sembra ricalcata su quella di un essere umano. O di Terminator, a seconda dei punti di vista.
Perché l’immaginario legato a questi dispositivi è tutto terrore e distopia. Nell’episodio Metalhead della quarta stagione di Black Mirror, rilasciato nel 2017, cani robot randagi molto simili a Spot incarnano l’incubo di una società postumana in cui le macchine hanno preso il sopravvento. Ma la percezione negativizzante del cane robot è, come spesso capita, soprattutto un costrutto culturale e locale, che sarebbe ingenuo ritenere universale. Il South China Morning Post racconta che in Cina sia per strada sia sui social media i cani robot stanno vivendo un momento di incredibile popolarità, e in un articolo la giornalista Yingjie Wang si chiede se potranno in qualche modo sostituire gli animali domestici. Una popolarità che deve parecchio al CyberDog di Xiaomi, lanciato con un prezzo tutto sommato abbordabile: 9.999 yuan, circa 1500 euro, quindi più o meno il prezzo di un cellulare di alta gamma, molto distante dai circa 75mila dollari di Spot. Ma che fa anche tornare a un fenomeno degli anni passati, quando era normale pensare che il cane robot sarebbe stato il migliore amico dell’uomo del futuro.
Wired ha recentemente pubblicato un articolo intitolato Who killed the robot dog – ovvero, chi ha ucciso il cane robot. Ma più che il cane artificiale, quello che potrebbe essere morto è la sua utopia. L’autrice, Britt H. Young, ripercorre il sogno del pet artificiale nell’immaginario, passando per episodi dei Jetsons (la serie I pronipoti di Hannah-Barbera), il cane robot K9 di Doctor Who e il corto di Walt Disney del 1927 dedicato a Oswald, una mucca meccanica (The Mechanical Cow). Andando indietro nei secoli, si arriva alla grande stagione degli automi dell’età moderna. Il discendente diretto è Sparko, il primo vero cane elettrico, presentato dalla Westinghouse come fedele compagno di un futuribile “uomo elettrico” alla fiera mondiale di New York del 1930. Quindi prima ancora che si affermasse il concetto stesso di robot la metà del secolo scorso.
Nel dopoguerra diventano popolari cani giocattolo più o meno intelligenti, come Tekno the Robot Puppy o l’iDog di Hasbro e Tiger Electronics, che ballava a ritmo di iPod. Ma erano animali dall’estetica dolce, pensati per un pubblico di bambini, molto lontani dagli scheletri cromati di Spot o del CyberDog, dalle loro linee destrutturate e aggressive.
Epigono di questa storia di cani giocattolo intelligenti è Aibo, che Sony lancia a fine ventesimo secolo. Un prodotto rivoluzionario, probabilmente prematuro, che non attecchì fuori dal Giappone, ma diventò un incredibile fenomeno di costume la cui eco arrivò anche in Occidente. Quando Sony gli ha staccato la spina, prima ritirandolo dal mercato perché considerato poco profittevole e poi cessando qualsiasi forma di supporto, il tempio buddista di una cittadina giapponese celebrò il simbolico funerale di 13 esemplari. Dopo dieci anni dalla dismissione, nel 2017, Sony ha rimesso Aibo sul mercato – presentandolo tra l’altro a una Design Week milanese come stazione fonale di un intrigante percorso sull’intelligenza artificiale. Con i suoi occhioni da manga, le curve che ne accarezzano la geometria e i movimenti delicati, Aibo è un pet artificiale nell’apparenza molto più innocuo di qualsiasi CyberDog. Ma sarebbe sbagliato giudicarlo dalle apparenze. Dietro le sue dolci fattezze da giocattolo e l’estetica fortemente kawaii, Aibo ha una intelligenza artificiale raffinatissima, è costantemente connesso al cloud attraverso una sim integrata e può riconoscere fino a 100 facce e circa 50 comandi vocali.
Fa meno paura di Spot o del CyberDog, Aibo, ma dietro un aspetto da cartone animato, c’è pur sempre un cervello non umano in crescita ed evoluzione. Magari domani potrebbe essere lui a rincorrerci se l’incubo di Black Mirror si rivelerà reale.
Probabile comunque che in una forma o nell’altra un cucciolo robot entrerà presto nelle nostre vite. È già così nelle immagini che accompagnano l’apertura della mostra “Useless Bodies” del duo di artisti scandinavo Elmgreen & Dragset, dal prossimo 31 marzo negli spazi della Fondazione Prada di Milano. Una sterminata esposizione con al centro del discorso il corpo umano. E sulle strade della città campeggiano enormi poster in cui, accanto al manichino che rappresenta una cameriera bianca incinta, si vede un cane robot A1 di UnitreeRobotics. Un modello da circa 3000 dollari esteticamente non troppo diverso dal design di CyberDog o Spot, che presto potrebbe essere parte dell’arredo urbano delle strade nelle nostre città, o addirittura di quello di casa.
Immagine in apertura: Elmgreen & Dragset, Pregnant White Maid and Unitree A1 robot dog, 2017. Collection of Bancrédito, Puerto Rico Courtesy Perrotin. Foto Elmar Vestner