“Vado con grande piacere a Faenza dai ragazzi che si sono iscritti all’Isia a raccontare le vicende che riguardano la mia storia professionale e a parlare di desiderio. È una condizione che mi mette a mio agio”. Siamo nello studio di Giulio Iacchetti, a qualche giorno dell’inaugurazione dell’anno accademico dell’lstituto Superiore per le Industrie Artistiche Design e Comunicazione, il 31 gennaio, dove terrà una lectio magistralis dal titolo Design: disegnare il desiderio. Non sorprende che abbiano chiamato un professionista da sempre interessato alle connessioni tra design e artigianato, sublimate in quella realtà progettuale e produttiva unica che è InternoItaliano. È un binomio che viene sviluppato costantemente da questo istituto, nella sede di Faenza con la tradizione ceramica. La scelta del desiderio come fulcro di un discorso legato alla didattica e alla professione del designer può sembrare però dissonante, anacronistica. Va chiarita.
Giulio Iacchetti
Giulio Iacchetti. “Il progetto è una dichiarazione d’amore”
Pensiero e desiderio sono le parole chiave della lezione magistrale che inaugura l’anno accademico dell’ISIA di Faenza. Iacchetti delinea un modo tutto italiano di intendere il mestiere del designer.
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- Loredana Mascheroni
- 31 gennaio 2018
Cosa intendi con “disegnare il desiderio”? Il desiderio di chi?
Del designer. Penso che sia strategico tornare ad ascoltare quello che sono i nostri desideri reconditi, scoprire la nostra vocazione progettuale. Non si tratta di richiamare valori altissimi e spirituali, ma piuttosto discernere giorno per giorno cosa vogliamo fare della nostra vita, cosa vorremmo progettare. Invece mi sembra che spesso ci si neghi il piacere di esprimere un desiderio a livello ideale.
Questa dovrebbe essere una prerogativa dei giovani, sognatori per antonomasia.
Non lo fanno abbastanza, non nel modo giusto comunque. Mi spiego meglio: tutti sono capaci di dire che vorrebbero fare i designer o che vorrebbero progettare una sedia. È una risposta troppo vaga, non basta. Bisogna chiedersi: Quale sedia voglio disegnare? Per quale azienda? Solo se il nostro desiderio è molto dettagliato riusciremo a chiarire qual è il percorso da seguire e faremo avverare il desiderio. Nessuno ci può impedire di progettare un oggetto secondo lo stile e le modalità che ci immaginiamo. La spinta può venire dalla voglia di esprimere vicinanza a un marchio o a una tipologia oggettuale. In un secondo tempo, possiamo andare a proporre il nostro progetto a un’azienda, trovandoci in pole position perché abbiamo fatto una dichiarazione d’amore.
Credi nella forza della passione.
È fondamentale. Portare a termine un progetto che nessuno ti ha chiesto, per il piacere di fare un esercizio del tutto gratuito, è già una grande soddisfazione che ti nutre. Del resto, non esistono progetti on demand quando nessuno ti conosce e devi trovare un tuo spazio. Non è una questione di fare gavetta o di rodare le proprie capacita, quanto di essere il motore degli avvenimenti: bisogna mettersi al centro dell’azione.
Nessuno ci può impedire di progettare un oggetto secondo lo stile e le modalità che ci immaginiamo.
Quanta passione trovi nelle lettere degli studenti che, immagino, arriveranno numerose al tuo studio per chiedere di fare uno stage?
Nella maggior parte delle richieste trovo una sorta di sbilanciamento tristissimo. Sono lettere clone mandate a 1.000 studi diversi che porteranno questi studenti a regalare tre mesi del loro tempo alla prima persona che risponderà. Il criterio cardine della selezione di quello che è un momento formativo potenzialmente importante dovrebbe essere riuscire a fare un’esperienza nello studio di uno specifico professionista.
Credi che questo atteggiamento sia generazionale?
Penso che a volte si diventi più realisti del Re, che ci si tarpi le ali da soli. Si combatte già in difesa quando non c’è neppure una battaglia. Se vuoi lavorare con Ron Gilad devi entrare nella sua dimensione, trovare una strategia, senza diventare uno stalker. Se la passione è scarsa e non hai un obiettivo mandi la mail a 200 persone e ti risponderà un oscuro professionista che sfrutterà il tuo lavoro sottocosto, tu vivrai un’esperienza sconfortante e comincerei a pensare che il mondo è un posto triste e che va tutto alla rovescia.
Faccio questo quadro senza mezzi termini perché vorrei risparmiare ad altri di fare i miei stessi errori. La mia storia è stata un po’ tragica e un po’ comica, perché ci ho messo anni per capire come funzionavano le cose. Sono partito da un piccolo paese della provincia e non ho mai frequentato uno studio milanese, mi sono inventato la modalità della professione giorno per giorno. Adesso abbiamo tutti i mezzi per conoscere ed entrare in relazione con i luoghi della professione, sia fisicamente che digitalmente, mentre ai miei esordi sentivo di partecipare al mondo del progetto solo quando ricevevo lettere da associazioni di design, ogni tre mesi. Il resto del tempo lo passavo a girare sconsolato per una provincia che era totalmente non idonea ad accogliere qualsiasi tipo di progetto, non solo quelli di design.
Se la passione è scarsa e non hai un obiettivo mandi la mail a 200 persone e ti risponderà un oscuro professionista che sfrutterà il tuo lavoro sottocosto.
Chiudiamo parlando di scuola. Cosa pensi dell’offerta formativa italiana?
La nostra professione ha un motivo d’essere soprattutto in Italia. Qui da sempre il metodo didattico consiste nel non disgiungere il pensiero dall’azione, nel chiedersi il perché delle cose: essere, in definitiva, anche una palestra di esercizio mentale e culturale. L’Italia da sempre detiene questo primato dell’aspetto umanistico sul fare in maniera automatica. Ecco perché la fascinazione per certe scuole internazionali, dove c’è un’espansione imbarazzante di laboratori, mi fa un po’ sorridere. In Italia ce un’offerta formativa bilanciata. Ci sono scuole bellissime come l’Isia, una struttura statale che ha una traiettoria ben marcata perché nasce e cresce in certi distretti tipici. Inoltre credo che la ceramica sia un campo progettuale propedeutico per altri 1.000 campi. Se pensiamo all’esperienze di nostri grandi maestri vediamo come siano passati dalla ceramica come momento di nascita progettuale, perché preparava per altri mondi.