In mezzo ai flussi caotici di Art Week e Design Week 2025 c’è stato un luogo dove, invece di vedere o necessariamente fare qualcosa, si poteva entrare, e stare, per fare nulla.
Prima imprecisione: Another week, l’installazione di Matilde Cassani Studio, “c’è stata”; ma c’è ancora, a trasformare uno spazio molto sentito, dentro il grande cluster di Base Milano, anche al di là dei diversi eventi su cui la città sembra surfare senza sosta.
“Milano è una città totalmente privata, dove tutto è chiuso, e allo stesso tempo è tutta un susseguirsi di ‘settimane’”, ci racconta Cassani: “Another week vuole essere una settimana di sospensione, una settimana guadagnata senza fare niente, e dove anche non succede niente, un momento di nulla”.
È uno spazio dal carattere fortissimo ma a bassissima impositività: “uno spazio più legato al benessere, cambiato col tempo; era una palestra, poi uno spazio yoga, e alla fine è diventato molto simile a una piscina, sormontata da un sole-pesca che sale e scende – una sorta di stratagemma scenico, come nel teatro classico”.

Uno luogo capace di diverse vocazioni, come abbiamo potuto vedere attraverso With All My Strenght la performance che, parte di un lavoro più ampio dall’artista Martina Rota, ha attivato l’installazione, rendendola uno strumento potente per discutere il significato dei corpi, del valore della loro immagine e dei processi con cui questo valore si costruisce e si sostiene.
“La presenza di questi corpi è ciò di cui ha bisogno l'installazione, che è solo un contenitore di rituali che si devono susseguire” ha detto Cassani.
E infatti sul suolo azzurro della piscina-non piscina si avvicendano le pratiche di tre body builder, Massimo Palmieri, Massimiliano Palmese e Arold Triberti, che con Rota hanno lavorato sui temi più complessi della maschilità contemporanea, sulle ossessioni legate a forza e vulnerabilità attraverso il posing che sta alla base delle loro competizioni.

Tutto ciò che vuol essere fisso e solido viene destabilizzato e mostrato nella sua fragilità, compaiono nello spazio gesti e soprattutto oggetti per i quali non esisterà una codifica unica, come racconta Rota.
I performer ripetono frasi, confessioni introspettive raccolte anonimamente, e oscillando su stelle di legno a rotelle: “È un podio però chiaramente mobile, diverso dal podio che installa e crea un monumento per rimanere, per essere continuamente eretto: qui il monumento viene messo in discussione, vengono decostruiti monumenti interiori individuali e collettivi ripetendo questi ‘mantra’”.
Compaiono poi cuscini ad acqua, che per i performer assumono diversi significati, e che si mettono in movimento, creando anche una certa inquietudine negli spettatori “Sono un universo a sé” ci dice Rota, “io lavoro molto con l'acqua nella mia ricerca, e mi interessa sempre che ci sia un elemento che posso controllare fino a un certo punto: qui il cuscino ha questa funzione di ‘under control’, ma ha anche un margine di rottura molto ampio”.
La presenza dei corpi è ciò di cui ha bisogno l'installazione, che è solo un contenitore di rituali che si devono susseguire.
Matilde Cassani
Succede che i builders inizino a parlare uno dentro il corpo dell’altro, riparandosi con le mani: in punti dove si pensa sia annidato del dolore, ”cerchiamo di portare con la voce qualcosa che non abbiamo mai detto a nessuno, di porgli una domanda, non codificandolo attraverso la parola ma attraverso il suono: io ti proietto la mia voce o per smuoverti in senso positivo o per scaricare”, una valenza che continua ad alternarsi e che viene decisa dai performer.
Ed è uno di loro, Triberti, che ci lascia entrare dentro le macchine emotive della performance: “Mi sono sentito padrone di quello che sto facendo, è come se fosse sparito il contesto: lei (Rota, NdR) ci diceva di puntare una persona, oppure di muovere gli occhi. Avevo paura di non reggere gli sguardi, invece (una volta sul “palco”) più occhi riuscivo a prendere e più aumentava l'energia che davo poi a quello stesso pubblico”.

Lo spazio creato dalla pratica, dall’interagire di installazione e performance, è diventato uno spazio sicuro dove le domande si sono potute sprigionare, senza necessariamente implicare risposte univoche: uno spazio che si è aperto alla possibilità del non-finito.
Ed è questo il terreno di partenza da cui Another Week inizia la sua vita permanente dentro Base Milano.
“Si pensa che l'installazione sia fatta per questa performance perché collabora molto bene, ma in realtà noi l'abbiamo pensata come uno spazio che continua a cambiare, quindi si riempie, si vuota, si sporca.
Si pulisce: uno spazio che è disponibile”.
E tale resterà, infatti: verrà riavviata la funzione dello spazio come luogo per lo studio, ma la postura sarà diversa: non più tavoli, forse delle sdraio, un’apertura continuativa e un’interpretazione in divenire.
La visione di creare, dentro la Milano delle continue Week, uno spazio che sia luogo e non location.

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