Il designer Willo Perron firma l’esposizione di Vans in Triennale. Detta così, non suona particolarmente diversa da tante altre cose in città in questi giorni. Solo una certa stima per Perron (che avevamo intervistato qui) e il fatto che sia Tim Hecker, l’autore di Virgins e Ravedeath, 1972 a firmare la colonna sonora dell’installazione, ti fa snasare che potrebbe esserci un sapore diverso. “L’installazione immersiva trasporta senza soluzione di continuità gli ospiti dal ricco passato di Vans a un futuro visionario”, recita il comunicato stampa. Ti immagini la solita solfa, i compitini più o meno ben eseguiti che portano i brand al Fuorisalone.

Forse il problema dei pregiudizi sull’installazione di Vans è proprio la cara, vecchia Vans. L’azienda di Anaheim è stata una icona controculturale quando le controculture ancora avevano un senso. Ora il percepito è banalmente mainstream. Ma a differenza di altri brand mainstream che eppure continuano a spingere forte sull’innovazione, sia di prodotto sia di racconto, Vans sembra che viva in un passato sospeso nel tempo, in una sciatteria da calzino bianco, ha il sapore di quella noietta un po’ romantica dell’infinito auto ripetersi, la stessa di quei gruppi che continui ad ascoltare perché ci sei affezionato, ma in segreto e con un po’ di vergogna, perché sono rimasti impalati in un’altra epoca come i Pearl Jam o i Green Day e oggi sono totalmente uncool.

Date queste premesse era evidente Vans non era tra le (ricerca google) “5 installazioni più attese del Fuorisalone”. Neanche 10. E neppure 20, forse. Personalmente, sono finito a vederla per caso, dribblando in pieno l’evento stampa del lunedì mattina. Nel pomeriggio, dopo essermi sorbito Mother di Bob Wilson al Castello, faccio tappa al vicino bar della Triennale per finire un articolo e mandarlo al desk che abbiamo da Base e già che c’è poca coda mi infilo da Vans. Con poche aspettative.
Invece è una botta pazzesca.
Altro che quella cavolata di Bob Wilson che sembrava dovesse cambiarci la vita, esco pensando!

“Ho fatto molte performance dal vivo in passato”, spiega Perron a Domus. “Ma niente di simile a questa.” Quello che rende Checkered future: frequency manifest unica è che non si riesce a spiegarla a parole. E anche nei video non si capisce bene che diavolo succede. E con tutta sincerità, probabilmente non l’ho neanche capito e non lo capirei neanche rivedendola infinite volte. E come me tutte le persone con cui ho parlato.
Willo Perron prende a schiaffi tanta grammatica della Design Week data per scontata, a partire da quella dell’esperienza esplorativa. Qui sei mezzo reclinato su un gigantesco trespolo di metallo e le cose succedono intorno a te. Un viaggio di luci e di suoni. Tutto è brutale, poco confortevole, le tue percezioni sono messe a dura prova. Un sistema di specchi mobili mette in crisi la tua percezione dello spazio. L’illuminazione ti colpisce. Il suono è incombente. Non sei mai veramente a disagio: semplicemente, non sai dove sei. O forse non sei. Per spiegarla con Christopher Nolan, è Inception che incontra Interstellar. “Ci sono sicuramente alcuni momenti fantascientifici che sono emersi, quindi capisco il riferimento”, commenta Willo Perron.

Quando gli viene chiesto quale fosse il suo obiettivo principale durante la progettazione, Perron dice a Domus: “Penso che sia una meditazione sul suono e sullo spazio.” Il progetto è nato da una conversazione “su come il motivo del nuovo design della scarpa fosse ispirato dalle onde sonore”. L’idea ha due parti, rivela il designer. La prima riguarda la traduzione “dell’innovazione del motivo a scacchi in questa onda sonora”. La seconda è che “gran parte dell’interno (dell’installazione, ndr) è realizzata con il motivo a scacchi, compresi pavimento e soffitto, trasformando il bidimensionale in uno spazio tridimensionale”. *Checkered Future* rappresenta un’evoluzione del classico motivo a scacchi di Vans e l’installazione è un’esplorazione dell’intervallo di frequenze e delle iterazioni fisiche coinvolte. “Con suoni a bassa frequenza, la stanza è piuttosto contratta, illuminata da colori scuri e saturi”, spiega Perron. “E man mano che lo spazio si espande e si apre, il colore cambia verso tonalità più chiare e luminose e anche la frequenza e la tonalità aumentano di molto”.

A corollario di un’opera fortissima, c’è stata anche quella “cosetta” del dj set di Bjork nei giardini di Triennale. Con un setup di Perron “epico” (parola del guest editor 2025 di Domus, Bjarke Ingels), Bjork (“la persona più piccola con la personalità probabilmente più grande”) ha suonato dall’alto di un terrazzo (“come Ceausescu”, scherza Ingels). È stato probabilmente l’evento serale più ambito della Design Week, con liste impazzite e un risultato che ha trasceso le aspettative anche a livello di comunicazione. Molti amici però mi hanno chiesto “Ma cosa c’entra Bjork con Vans?”.
Ah, ovviamente, c’è anche una scarpa. È la Old Skool 36 Fm e in realtà è firmata Otw, Off The Wall, ispirata alle onde del suono, rivisitazione della Style 36, la seconda calzatura da skate di Vans e la prima a includere il side strip che è un po’ l’emblema del marchio. Secondo Vans, fonde “le ispirazioni del passato con le aspirazioni del futuro”. Un passo in avanti, ma non lungo come tutta l’impressionante macchina con cui Vans si è mostrata in Triennale in questi giorni. Che tra l’altro sarà costato una barca di soldi: vedremo se sarà una occasione per un reboot di Vans, come speriamo, o solo un exploit comunque memorabile.

Armonia visiva e coerenza estetica
Oggi più che mai, la progettazione d’interni è un equilibrio tra estetica e funzionalità, un dialogo tra architettura, materiali e finiture capaci di trasformare, e valorizzare, lo spazio.