Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 981 / giugno 2014
La rassegna del mio lavoro che ha inaugurato al MAXXI di Roma lo scorso 26 giugno è un’ulteriore retrospettiva, dopo quella alla Triennale di Milano del 2005 e quella al Centre Pompidou del 1996. In queste occasioni, oltre a far vedere il mio lavoro, mettevo in questione il modo di esporre.
Il tempo della diversità
Gaetano Pesce racconta i contenuti della mostra monografica che il MAXXI gli dedica, proponendo una riflessione sul significato di curatela, sull’importanza del pluralismo dell’espressione e della multidisciplinarità, e sul valore delle differenze.
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- Gaetano Pesce
- 02 luglio 2014
- Roma
Nella mostra di Parigi, per esempio, alcune opere erano visibili in certi giorni, altre lo erano in quelli successivi; mentre alcune si vedevano, altre erano nascoste. Questo per dire che una mostra è come la scoperta di una città: non si rivela in tutti i suoi aspetti con una sola visita, ma richiede ulteriori viaggi per far scoprire ogni suo angolo.
Alla Triennale, invece, avevo pensato che – oltre alla magistrale supervisione di Silvana Annicchiarico – ci potessero essere altre persone non specializzate nella materia, che potessero decidere cosa esporre per due settimane di mostra. Per questo, avevo preparato una lista di otto cosiddetti curatori (l’esposizione durava quattro mesi) – da un bambino a una casalinga, da un avvocato a un prelato e così via –, che avevano l’incarico di esaminare le opere in mostra e dire quali erano di loro gusto e quali no.
Quelle che non suscitavano l’interesse dell’occasionale giudice venivano nascoste o coperte e, anche in questo caso, il visitatore veniva provocato a tornare, per conoscere le scelte degli altri ‘curatori’. Al MAXXI di Roma, nella mostra curata da Domitilla Dardi e Gianni Mercurio, ho scelto di esporre le opere su carrelli mobili; la loro disposizione viene cambiata continuamente, durante le ore di apertura della mostra, da cinque persone preposte a questa funzione.
Gli spettatori si troveranno quindi ad assistere al continuo cambiamento della disposizione degli oggetti, il che suggerisce un’altra lettura del titolo della mostra: “Il tempo della diversità”.
La diversità, in questo caso, consiste nella mutazione di quanto proposto. Tutto ciò per dire che, rispetto al Louvre – il primo museo aperto al pubblico, verso la fine del Settecento –, dove l’esibizione era contenuta da una sala dopo l’altra, i percorsi erano imposti dal curatore e, quindi, i visitatori non avevano alcuna possibilità di variare itinerari o letture, oggi, all’inizio del XXI secolo, il ‘mostrare’ deve fare i conti con la natura ‘disordinata’ del nostro tempo, con i suoi valori mobili e contraddittori e con la loro liquidità. Le opere esposte vanno dal 1965 al 2014 e appartengono a diverse discipline o categorie: progetti e modelli di architettura, disegni e disegni tattili, prove di materiali, odori, musica, video, sculture, oggetti e luci.
In altre parole, con questa selezione cerco di richiamare l’attenzione sul pluralismo dell’espressione e sulla multidisciplinarità. Ritengo che oggi le correnti artistiche e le mono-espressioni siano fuori dal tempo. Cerco di attirare l’attenzione e invitare i creativi a riflettere sull’importanza di avere delle conoscenze orizzontali e una capacità di espressione attraverso i diversi compartimenti della cosiddetta arte. Penso che un medico che ha una conoscenza orizzontale della medicina può essere più utile al suo paziente (meglio ancora, poi, se possiede anche quella verticale) e questo vale anche per l’insegnante, il fisico, il chimico, l’architetto, il politico, l’amministratore...
Tornando alla mostra, il titolo vorrebbe suggerire che l’eguaglianza tra le persone, le cose, le culture e le identità a cui aspiravano i pensatori del XIX e dell’inizio del XX secolo è un traguardo profondamente superato. L’uguaglianza delle persone porta inevitabilmente alla noia e alla non comunicazione perché, avendo uguali pensieri e comportamenti, non ci resta evidentemente niente da dire. Se da una parte la globalizzazione è utile perché la democrazia sarà il metodo usato dalle amministrazioni di ogni Paese e la moneta unica ci aiuterà a scambiare e viaggiare con più facilità, sarebbe invece una tragedia se le diverse realtà geografiche, identitarie, di lingua e, più in generale, le diversità delle persone fossero annullate.
Con il mio lavoro, mi batto da anni per convincere chi eventualmente mi ascolta di quanto sia importante essere diversi. Ogni individuo ha valori che gli altri non hanno e questi a loro volta ne hanno altri che arricchiscono il catalogo delle qualità umane. Le diversità dei luoghi e delle città giustificano il viaggio e arricchiscono la conoscenza. Gli oggetti unici che fuoriescono da produzioni in serie ‘aleatorie’, cosa che perseguo da vari decenni, hanno la capacità di essere vendute a prezzi contenuti, mentre invece, in passato, l’arte era venduta soltanto a ristrette cerchie d’individui che possedevano la ricchezza per acquisirla. Senza dire dell’importanza di riflettere sulla diversità del tempo, che è esattamente il contrario di quello che ci comunicano gli strumenti che lo misurano. Il tempo non è mai uguale e, una volta compreso questo, si può cercare di viverlo senza sprecarlo.
Ecco perché la prima delle due installazioni che avevo ideato per la mostra, all’interno del museo, trattava proprio del tempo. Era una stanza dove la temperatura sarebbe stata di 1 °C e nella quale gli spettatori avrebbero sentito un cambio di temperatura sulla propria pelle. Una volta entrati, avrebbero osservato una massa di ghiaccio sospesa che si scioglieva lentissimamente facendo cadere delle gocce a ritmi costanti, ma diversi, su un recipiente posato a terra. Il rumore delle gocce che cadono sarebbe stato amplificato da piccoli microfoni per documentare la natura diversa del tempo. Inoltre, la massa di ghiaccio era di volume tale da sciogliersi entro i quattro mesi di apertura della mostra. Per ragioni tecniche probabilmente questa installazione non ha potuto essere realizzata.
Alla fine del percorso espositivo, all’esterno del museo, si può invece visitare un’altra installazione: la realizzazione macroscopica di un oggetto-poltrona che ho pensato e messo in produzione 45 anni fa. Molti ricordano la poltrona UP5&6, perché è ancora in produzione (è prodotta da B&B Italia, ndr). Le sembianze di questa seduta sono quelle di un corpo femminile al quale è legato con una catena un pouf, che ne rende più comodo l’utilizzo.
Nel caso della mostra di Roma, questo oggetto è stato ingrandito fino a 7 m di altezza con la possibilità per gli spettatori di entrarvi e scoprire un’atmosfera “di prigione”: su più di 40 monitor si potranno leggere delle domande sulla condizione della donna nel mondo, che – com’è noto – patisce a causa dei pregiudizi e delle paure dell’uomo. Questo non solo nei Paesi meno sviluppati, ma anche in quelli più avanzati.
Nella palla di circa 4 m di diametro è proiettato un film su Malala Yousafzai, la bambina pakistana che, nel 2013, ha tenuto un discorso storico alle Nazioni Unite di New York sul diritto delle donne di essere istruite alla pari degli uomini. Tutto questo è un modo per dire che l’arte dovrebbe essere un commento dell’autore sulla realtà: una presa di posizione, uno strumento per migliorare la nostra vita, per servire il progresso e lottare contro i pregiudizi, l’ignoranza e lo spirito conservatore. In questo modo, l’espressione artistica torna a essere un servizio ancora più utile di quello che è stata – e che è – senza abdicare al suo ruolo di provocazione, sfida, scoperta e strumento di costante trasformazione del futuro in presente.
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26 giugno – 5 ottobre 2014
Il tempo della diversità
Galleria 1 e Piazza del MAXXI
a cura di Gianni Mercurio e Domitilla Dardi