L'appuntamento del 9 marzo 2012 organizzato da Riccardo Luna negli spazi dell'Acquario Romano ha messo in primo piano un fluire di energia contagiosa, una fitta progressione di storie e persone che sa di miracoloso.
Storie vere, di persone che hanno fatto della loro passione un lavoro al di fuori degli schemi e delle regole aziendali e di mercato; storie di chi investe nel proprio futuro e guarda senza paura alle nuove tecnologie; storie di vecchie tradizioni artigiane che sanno reinventarsi.
World Wide Rome ha reso palpabile la creatività diffusa sul territorio, l'entusiasmo inarrestabile che aspetta solo un segno per esplodere in rivoli infiniti e insospettabili.
Moda, design, architettura, artigianato, marketing e tecnologia. Sono gli ambiti in cui si muovono i makers made in italy. Manager, artigiani, imprenditori, designer, professionisti di tutte le età: innovatori e visionari capaci di scrivere nuove pagine di successo, all'insegna della creatività, generatori di nuovi prodotti e supporti, ma soprattutto di nuovi modelli di business partendo dalla fabbricazione digitale, dall'open source e dalla collaborazione tra persone. La conseguenza del loro avanzare è la ridefinizione in atto del rapporto tra produzione materiale, tecnologia, design, innovazione e società.
I ruoli diventano fluidi, quasi intercambiabili tra imprenditore, artigiano, designer e cliente; il consumatore diventa sempre più consapevole e attivo.
A Roma non si è assistito alla morte dell'industria, né alla delegittimazione della professionalità del designer. Ma alla orgogliosa riscoperta del fare con le proprie mani e la propria testa.
Il DIY nelle sue versioni eco e tecnologiche da fenomeno di nicchia per nerd annoiati e intraprendenti sta diventando sempre più tema di riflessione condiviso da tutta la filiera della produzione.
World Wide Rome
Con l'evento organizzato da Riccardo Luna, la parola makers entra di diritto anche nel dizionario italiano.
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- Luisa Castiglioni
- 13 marzo 2012
- Roma
Il movimento dei makers, in Italia, trae vigore dall'eredità dei distretti industriali e manufatturieri e delle sue eccellenze spesso di nicchia, ma invidiate nel mondo.
Il pensiero va alla storia di Riccardo Marchesi, imprenditore di macchine tessili che con il progetto fiorentino Plug and Wear e con Inntex ha reinventato il proprio lavoro, dando vita a tessuti intelligenti (per esempio luminescenti e sensibili all'acqua) che trovano applicazione nei campi più svariati, dall'interior design alla moda fino al medicale. Oppure a Enrico Dini, che con D-Shape vuole rivoluzionare l'edilizia: tutto grazie a una stampante 3D che mescola sabbia e sale per farne roccia. Il suo sogno? Costruire case sulla luna. Per ora si dedica a opere di idraulica marittima per la salvaguardia delle barriere coralline.
E il design? Scorre sotterraneo in tutte le presentazioni.
Emerge con forza prorompente nelle argomentazioni dei leader di questa nuova rivoluzione industriale.
A partire da Chris Anderson, direttore di Wired US
nonché maker e imprenditore di successo con 3D Robotics.
"Non c'è nessuna nazione al mondo dove la parola design abbia un significato così forte come qui. E questo è il momento giusto per l'Italia per diventare portabandiera del design democratico", ha detto Anderson.
Generatori di nuovi modelli di business partendo dalla fabbricazione digitale, dall'open source e dalla collaborazione tra persone.
Anche le grandi aziende dovrebbero accogliere l'influsso dei makers accogliendone la filosofia aperta e comunitaria.
Lo hanno affermato Simona Maschi e Dario Buzzini, tra i pochi rappresentanti a Roma dell'universo dei cervelli in fuga.
La prima ha portato a modello la sua esperienza al CIID, istituto di Interaction Design di Copenhagen votato all'istruzione, alla ricerca e alla consulenza. La bellezza applicata alle esperienze e la cultura della prototipazione permeano i progetti che si sviluppano in un fertile dialogo tra studenti e aziende. Abbracciare la logica del making ha anche i suoi vantaggi per i big brand: assottigliare la soglia tra pensare e fare riduce i tempi e i costi di R&S.
Dario Buzzini, Design Director della sede newyorchese di IDEO, ha affermato di applicare la filosofia del fare (cose-persone-futuro) alle grandi aziende che si rivolgono alla società di consulenza internazionale per modificare e migliorare il proprio approccio.
E anche Arduino, il cuore italiano di questa rivoluzione (seconde le parole di Riccardo Luna), è nato in un contesto fertile come quello del sempre rimpianto Interaction Design Institute di Ivrea come strumento per studenti e designer. Negli anni il ruolo di questa piccola scheda elettronica è cambiato molto: grazie a Giorgio Olivero e allo studio ToDo, Arduino (insieme al suo packaging) si è tramutato in un vero e proprio oggetto di design.
Molti dei tantissimi progetti presentati all'Acquario Romano devono molto alla tecnologia e alla filosofia open di Arduino. Le stampanti 3D di Kent's Strapper, i sistemi di connessione e integrazione fra tecnologie diverse sviluppati da Paraimpu, la moda openwear proposta da Zoe Romano, la piattaforma di commercio sociale Blomming sono tutte iniziative che condividono con il progetto di Massimo Banzi la passione per la conoscenza in versione open source e una gran voglia di accorciare la distanza che separa ideazione e fabbricazione (Make things, not slides – secondo il motto di Vectorealism).
Durante il Salone del Mobile, vedremo altri risultati della rivoluzione in atto: i vincitori del concorso
Autoprogettazione 2.0 in mostra a Palazzo Clerici a Milano dal 17 al 22 aprile.