Quali sono i luoghi e le occasioni che permettono di affinare la nostra coscienza della crisi ambientale che ci colpisce? Soprattutto in Italia, la politica sembra evitare il discorso, lasciando senza risposta gli appelli della scienza. I media alternano annunci catastrofici e indifferenza, privilegiando l’impatto della notizia e trascurando la spiegazione di cause ed effetti. Allora, il museo prende la sfida di petto, proponendosi come luogo del dibattito, oltre che dell’informazione. Negli ultimi anni, abbiamo assistito al moltiplicarsi di esposizioni ed eventi proposti da grandi e piccole istituzioni museali con il tema della questione della crisi ambientale.
La nuova coscienza ambientale sta nascendo nei musei?
Dalle mostre di Formafantasma a “BioGrounds” del Maxxi, è un luogo antico, il museo, quello forse più attivo nel racconto di un tema di grande attualità: la crisi ambientale.
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- Emanuele Quinz
- 21 giugno 2023
Presentando lavori di artisti che di tale tema hanno fatto il soggetto delle loro opere, ma anche documenti e archivi scientifici, testimonianze e indizi, i musei si sono fatti cassa di risonanza di controverse critiche e denunce, ancora troppo poco ascoltate dalla società. Affrontando di volta in volta i molteplici fronti della crisi, dal riscaldamento globale alla riduzione della biodiversità, dalle deforestazioni ai cambiamenti atmosferici, i musei hanno assunto sempre di più il ruolo di spazi di presentazione della critica, più che dell’arte, il cui obiettivo non è tanto (o solo) suscitare delle emozioni estetiche ma soprattutto delle forme di coscienza etica.
Video C41.
Video C41.
Foto Gregorio Gonella.
Foto Gregorio Gonella.
Foto George Darrell.
Foto George Darrell.
Foto Gregorio Gonella.
Foto Gregorio Gonella.
Foto Gregorio Gonella.
Foto Gregorio Gonella.
Foto Gregorio Gonella.
Foto Gregorio Gonella.
Foto George Darrell.
Foto George Darrell.
Foto Gregorio Gonella.
Foto Gregorio Gonella.
Foto George Darrell.
Il duo di designer Formafantasma (composto da Andrea Trimarchi e Simone Farresin) è indubbiamente fra i protagonisti di questa trasformazione. Considerando che il ruolo del design si radica al di là della concezione dell’oggetto, nella complessità dei sistemi (economici, estrattivi, manifatturieri o industriali, etc.) di produzione e di diffusione, i due designer, formati e oggi professori alla Design Academy di Eindhoven, hanno cominciato qualche anno una serie di inchieste su alcuni materiali specifici, legati al design e all’impatto ecologico delle pratiche umane.
Il loro progetto “Cambio”, iniziato nel 2020 alla Serpentine di Londra e poi migrato in altri musei europei, ha dato il la, con un’esplorazione a tutto raggio sul legno. In questo momento, al Nasjonalmuseet di Oslo, la loro nuova esposizione, “Oltre Terra”, mette in avanti la lana e il rapporto secolare che unisce uomini e pecore. Il visitatore è accolto da un dispositivo scenografico di grande raffinatezza, al centro di un’enorme sala, su cui si alternano oggetti, documenti e video. Poi, accompagnato dai potenti testi scritti dal filosofo Emanuele Coccia, segue un percorso composto da 8 sezioni che affrontano da diversi angoli di vista la concatenazione complessa tra esigenze umane e animali, tra natura e cultura, tra economia, mitologia e folklore.
L’immagine che apre l’esposizione è emblematica: una pecora merinos fuggita da un gregge in Australia e ritrovata dopo un lungo periodo completamente immobilizzata dalla sua stessa lana, che, non tosata, era cresciuta in modo spropositato.
Quest’episodio dà la chiave di lettura dell’esposizione, che mette in luce i processi di co-abitazione e di cooperazione tra uomini e animali. Molti punti polemici appaiono in filigrana, dalla standardizzazione delle lane all’accumulazione di scarti dell’industria tessile, dal clonaggio che fa delle pecore dei prodotti industriali all’introduzione forzata di pascoli che distruggono ecosistemi locali.
Se il legame con la crisi ambientale appare in modo chiaro, quello con il design è più sottile. Come spiegano Farresin e Trimarchi, “il formato della mostra (un ibrido tra un museo antropologico/storia naturale/arti applicate) serve a sottolineare la mancanza totale di contesto nel modo in cui il design è raccontato e rappresentato nei musei d’arte applicata. In questo senso per noi è importante che Oltre Terra sia letta come una mostra di design”: ma un design che non è solo oggetto, ma appunto eco-sistema, o processo di “co-evoluzione”, che implica, in una radicata interdipendenza, soggetti umani e non-umani.
Come l’immagine iniziale anche quella che chiude il percorso espositivo è simbolica: non più una pecora che ha perso il contatto con l’uomo ma una donna che accarezza una pecora. Il film Tactile Afferents, realizzato dai Formafantasma con l’artista Joanna Piotrowska, sottolinea in modo poetico la reciprocità del contatto, di una dimensione tattile e affettiva che si oppone alla visione unilaterale della domesticazione e dello sfruttamento.
“Per una nuova coscienza ambientale” è il sottotitolo-manifesto di un’altra esposizione in corso in questo momento: il progetto “BioGrounds”, curato da Domitilla Dardi per il Maxxi, e presentato all’occasione dell’attuale Biennale di Architettura di Venezia. Invece che in un white cube di un museo, le opere commissionate a dei binomi di artisti e curatori-pensatori, infiltrano il paesaggio lagunare dell’Isola della Certosa, composto di radi boschi e radure, di antiche rovine e di architetture moderne. Più che di oggetti o installazioni che occupano lo spazio, il progetto mette in scena delle azioni che animano il giardino e chiostro della Certosa, cercando di implicare il pubblico in un dialogo con gli esseri viventi che lo abitano.
Ritroviamo Emanuele Coccia e lo Studio Formafantasma, che danno letteralmente voce ad un pioppo, o il designer Andrea Anastasio che, con la critica e curatrice Angela Rui, dissemina nel bosco dei vasi in terracotta contenenti dei messaggi, che, piano piano, diventano tane per gli animali. O lo Studio Ossidiana, che immagina un recinto che protegge un giardino composto da semi gettati dagli spettatori. O ancora gli architetti e video-artisti Beka & Lemoine, che, in collaborazione con il botanico Stefano Mancuso, autore de La nazione delle piante, programmano una serie di performances in tributo a un altro albero, il bagolaro, chiamato spaccasassi perché cresce tra le pietre. Il giorno dell’inaugurazione, un coro ha intonato dei canti popolari.
Come spiega Domitilla Dardi, “tali azioni, invece di produrre ennesimi oggetti, definiscono l’architettura come uno spazio emozionale. Riempendo di corpi e di suoni uno spazio architettonico antico, hanno evocato memorie ataviche, che ci toccano tutti. Contrariamente a ciò che sempre di più propongono i musei, ovvero dell’opere-immagini, instagrammabili, l’esperienza di tali rituali collettivi è fondamentalmente irraccontabile”.
La stessa scelta di fare uscire l’arte dal museo, o, meglio di “fare museo” altrove, in situ, permette di uscire dalla retorica della crisi climatica, per confrontarsi direttamente con gli elementi naturali – come la tempesta violentissima che ha colpito la regione durante il montaggio del progetto. “Ci si deve affidare all’inaffidabile”, ripete Dardi, per poter suscitare una vera coscienza. Comprendere la crisi climatica è capire la nostra fragilità, non solo o non tanto attraverso la ragionevolezza dei dati e dei documenti, ma attraverso l’affettività dell’esperienza.
È questa una delle sfide più grandi che aspetta il museo di oggi e di domani.
Immagine di apertura: Lo Spaccasassi di Beka & Lemoine con il botanico Stefano Mancuso