“I’m a generalist”: così si definì David Bowie parlando con Rory MacLeane, assistente sul set di Just a gigolo. Intendeva dire che si considerava un uomo del Rinascimento, la cui natura è la poliedricità e l’eclettismo. Ed è tornato sull’argomento in varie occasioni, per esempio in un’intervista dell’era Diamond Dogs nella quale affermava: “I’m only using rock’n’ roll as a medium. (...) I wanted to be the instigator of new ideas. I wanted to turn people on to new things and new perspectives. I always wanted to be that sort of catalystic kind of thing”. David Bowie era universalmente noto per la bulimia culturale ed espressiva: non fu solo rockstar, ma anche attore, mimo, pittore, critico d’arte... Un artista visivo almeno nella stessa misura in cui si dedicò a musica e parola. Non stupisce quindi che, se furono i Beatles a donare al videoclip promozionale una dignità cinematografica ingaggiando Richard Lester, Bowie fu tra i precursori del video musicale come forma d’arte autonoma. Ecco cinque momenti video particolarmente significativi nella parabola dell’Uomo che cadde sulla Terra.
Starman (live at “Top of the Pops”, 5 luglio 1972)
Non fu soltanto il lancio di Ziggy Stardust e quindi della carriera da superstar del suo autore, il bizzarro alieno androgino atterrato sul palco con una tuta arcobaleno. Fu una chiamata alle armi. Molti ricordano di essersi sentiti reclutati personalmente nel momento in cui Bowie guarda fisso in camera puntando l’indice e canta “I had to phone someone so I picked on you”. E un gesto semplice, il braccio appoggiato mollemente sulla spalla del chitarrista Mick Ronson, ebbe un’eco impossibile da misurare nei nostri tempi post-sexual. Sei mesi dopo la famosa intervista a NME in cui dichiarò “Sono gay”, fu un guanto di sfida a un’Inghilterra ancora post-vittoriana dove l’omosessualità era stata depenalizzata soltanto da cinque anni, dividendola tra lo scandalo e la liberazione. Fu una performance polarizzante, che definiva un campo di azione politica attraverso modalità spettacolari e glam lontane anni luce dall’ideologizzazione sessantottina, ma altrettanto radicali e fece detonare la faglia tellurica tra i giovani e gli anziani e le loro opposte visioni del mondo in ambito estetico e etico. Quella sessuale era solo una delle tante identità che venivano sovvertite e portate a forme dai confini molto più labili. Inutile a dirsi, nel giro di pochi mesi anche i minatori eterosessuali cominciarono a farsi vedere nei locali con make-up, zeppe e boa di struzzo.
Boys Keep Swinging, regia David Mallet (1979)
Siamo nel periodo più avventuroso e seminale della carriera di David Bowie: la trilogia berlinese dalla quale discenderà quasi tutta la musica del decennio successivo. L’album è Lodger, un capolavoro sottoesposto dal tono picaresco e futurista. Il video di Boys keep swinging è apparentemente un mezzo ritorno all’ordine rispetto alle immagini rutilanti del periodo glam rock. Se nella seconda sezione Bowie si fa in tre interpretando en travesti le tre età della donna o più precisamente della cantante di cabaret berlinese, la prima parte appare quasi una tradizionale esecuzione a favore di camera. David è vestito e acconciato da mod, lo stile di ripresa è molto dinamico e alterna primi piani a totali del palco. Non accade nulla eppure la mimica, le mosse, l’interpretazione magnetizzano e mesmerizzano. Nessuno riempie la scena come David Bowie, nessuno possiede il suo carisma.
Ashes to Ashes, regia David Mallet (1980)
È probabilmente il suo video più famoso e il più paradigmatico e riassuntivo. Si ritrovano tutti gli elementi ricorrenti dell’opera di Bowie: la sperimentazione tecnologica (l’inversione cromatica tramite la tecnica Paintbox), il travestimento (il costume da Pierrot iconico del periodo Scary Monsters), i temi preferiti (l’alienazione e lo spazio cosmico come suo correlativo oggettivo, la contaminazione tra tecnologia e organico, il presagio di un futuro violento evocato attraverso rituali, la malattia mentale). Si possono rintracciare citazioni da H.R. Giger, Albert Camus, Lindsay Kemp. Uno degli innumerevoli esempi della spregiudicatezza intellettuale e dell’eclettismo di David Bowie, la più colta delle rockstar.
The Heart’s Filthy Lesson, regia Sam Bayer (1995)
Diretto dal regista del clip del decennio, Smells like teen spirit dei Nirvana, introduce al mondo di Outside in un’atmosfera a metà tra l’Orgies Mysterien Theater di Hermann Nitsch e le fotografie di Joel Peter Witkin. Bowie sovrintende all'assemblaggio di un minotauro in un glissando continuo dalla body art al body horror e ritorno che rispecchia fedelmente i temi dell’album e del racconto ipertestuale che lo accompagna e completa: la storia dell'omicidio e smembramento rituale “a fini artistici” della tredicenne Baby Grace. Bowie, nell’approssimarsi del nuovo millennio, individuava una corrente sotterranea di neomillenarismo e il ritorno di fenomeni primitivi e ancestrali a base di morte, violenza e caos propiziato da internet e dalla tecnologia che hanno decretano la morte del principio di autorità e gerarchia nell'interpretazione e promosso un presente perpetuo.
Lazarus, regia Johan Renck (2016)
Qui ci limitiamo alla cronologia. Lazarus viene girato a New York nel novembre 2015. Poche ore prima i medici hanno comunicato a Bowie, malato di tumore al fegato, d’interrompere le cure, che non c’è più nulla da fare. Sarà in assoluto l’ultimo impegno artistico del Duca Bianco e la penultima volta in cui uscirà di casa. L’8 gennaio 2016, giorno del suo sessantanovesimo compleanno, viene pubblicato Blackstar preceduto di un giorno dal video di Lazarus. L’11 gennaio il mondo si sveglia paralizzato dalla notizia: David Bowie è morto. È facile leggere le immagini del suo ultimo video come una metafora mortuaria. Eppure, pare che l’idea della scomparsa finale nell’armadio sia venuta a qualcuno di non meglio precisato sul set. E pare che Bowie abbia fatto un grande sorriso e abbia commentato “ma sì, questa cosa li farà tutti scervellare”.