“Abbiamo in comune l’ovvio”, lo dice Rem Koolhaas riferendosi a Francesco Stocchi, curatore di stanza a Rotterdam al Museum Bojimans Van Beunigen che aggiunge “amiamo le acciughe”. Entrambi si sono dedicati negli ultimi due anni alla curatela dell'esposizione “Sol LeWitt. Between the lines”, dedicata all'artista concettuale americano e collocata alla Fondazione Carriero, un edificio privato di Milano del Quattrocento (è interamente in cotto, interni riadattati da Gae Aulenti nel 1991). Sono due anime complementari, e lo si vede da questa intervista (poco editata). Koolhaas gentile, apparentemente istintivo e frettoloso. Stocchi formula i concetti mentre parla e li cerca, quasi pensasse ad alta voce: per carattere, collaborativo. L’uno incisivo, l’altro diplomatico. E come co-curatori si completano. La forza dell’esposizione sta nel rapporto delle opere d’arte con il contesto. Lo dice Stocchi: “Il luogo è importante come l’opera stessa: abbiamo adattato l’opera razionale, la precisione, la non emotività, il silenzio di LeWitt agli spazi irregolari della fondazione: abbiamo sostituito al silenzio la musica”. Koolhaas spinge il ragionamento: “Abbiamo ricontestualizzato e decontestualizzato il lavoro di Lewitt, dando un senso nuovo” quasi assoluto “che valica i confini dell'occidente”.
Koolhaas e Stocchi, il nostro LeWitt guarda oltre l’Occidente
Alla Fondazione Carriero, “Sol LeWitt. Between the lines” è la mostra che riporta l’artista americano ai nostri giorni.
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- Olga Mascolo
- 16 novembre 2017
- Milano
Olga Mascolo: Spiegatemi meglio la contestualizzazione/decontestualzzazione dell’opera d’arte. Dite quello che volete liberamente.
Rem Koolhaas: Libera associazione...
Olga Mascolo: Sì.
Francesco Stocchi: Siamo partiti dal paradosso di LeWitt per le proporzioni. Le sue strutture e molti dei suoi disegni sul muro possono sembrare privi di misure. Non è così: l’artista è molto sensibile alle proporzioni. Lo spazio della Fondazione Carriero, con tutte le sue irregolarità, è stato cruciale nella costruzione di una esibizione che mettesse in luce questo paradosso. Se inserisci delle irregolarità in un ritmo definito, queste vengono fuori.
Olga Mascolo: Viene fuori LeWitt o il palazzo ?
Rem Koolhaas: Questo è il punto: emerge la loro combinazione. Ed è stato possibile perché conosciamo molto bene gli spazi (Stocchi ha curato cinque esposizioni qui, ndr).
Francesco Stocchi: Volevamo che il lavoro di LeWitt accogliesse gli spazi, non viceversa. Ed è paradossale se si pensa ai disegni alle pareti (sette nell’esibizione, ndr). Abbiamo sfidato qui la specificità del luogo, senza andare contro Lewitt.
Rem Koolhaas: È stato interessante pensare liberamente e non farci paralizzare dal “rispetto” per l’artista. Però c’è sempre stato un momento in cui ci dicevamo “forse stiamo esagerando”. Eravamo preoccupati di un esito poco ricercato. Abbiamo prima agito liberamente, poi ci siamo autointerrogati.
Olga Mascolo: Avevate un’idea di partenza? Un piano?
Francesco Stocchi: Abbiamo cominciato la discussione a partire dalla Fondazione Carriero. Abbiamo pensato di potere avere qualcosa in comune da dire su LeWitt che potesse essere ospitato in modo critico da questo edificio.
Rem Koolhaas: No, niente piano per me.
Francesco Stocchi: È cresciuta in modo organico.
Olga Mascolo: E che cosa avete in comune da farvi pensare di potere lavorare insieme?
Rem Koolhaas: Tutto l’ovvio: siamo vicini, ben educati, viviamo in Olanda, siamo orientati in modo internazionale, io ho un’empatia per l'Italia, curiosità, volontà, facciamo colazione tra le otto e le nove di mattina... Possiamo dire al cameriere di smettere di portare cibo?
Olga Mascolo: La curatela è un arte? Rispondete tutti e due, soprattutto Koolhaas che dicono che sia la prima volta che curi una mostra.
Rem Koolhaas: No, non è la prima volta! Ho curato tantissime cose: la Biennale di Architettura di Venezia nel 2014...
Francesco Stocchi: No Rem ma forse lei intende le arti visive...
Olga Mascolo: Sì.
Rem Koolhaas: Valuteremo se perdonarti. Direi di sì, ma non solo. L’arte è una parte importante ma non è tutto: la proporzione è 27% politica, 15% economia, 21% storia, e il resto arte e anche antropologia un po’.
Francesco Stocchi: Non è un’arte, non è “un’opera d’arte”. Gli artisti non sono curatori come nell’attuale Biennale di Istanbul. Noi non vogliamo utilizzare l’opera d'arte come mezzo per esprimere delle nostre idee. Un artista può fare quello che vuole. Bisogna radicalmente distinguere il lavoro del curatore da quello di un artista. Questo non significa che il curatore non abbia caratteristiche aristiche o…
Rem Koolhaas: Ambizioni.
Olga Mascolo: L’arte, la curatela, il fatto di decontestualizzare un’opera d'arte: in Europa, nella nostra cultura, può essere un atto politico?
Rem Koolhaas: Tu cosa ne pensi? (riferito a Stocchi)
Francesco Stocchi: Tutta l’arte è politica. L’arte che parla di politica è quello che mi interessa meno. L’arte che condanna Trump, per dire: finisce per diventare cronaca, e questo appartiene ad altri campi. Questo lo dice anche Koolhaas: la reazione politica ai metodi di LeWitt nel 1968 che finisce per avere più importanza adesso che ci sono più turbolenze.
Olga Mascolo: Appunto decontestualizzare... dare sempre significati altri alle opere d’arte che restano tali.
Rem Koolhaas: Non è decontestualizzare, è di più aprire ad altri modi di vedere il lavoro di un artista. Non semplicemente affidarsi a una interpretazione. Un’opera genera discussione quando viene realizzata, e le discussioni possono cambiare: si tratta di “riaprire un caso”, terminologia che si usa nella giustizia, nel linguaggio di una corte giuridica. Ed è stato quello che abbiamo fatto qui con LeWitt.
- Sol LeWitt. Between the lines
- 17 novembre 2017 – 23 giugno 2018
- Francesco Stocchi e Rem Koolhaas
- Fondazione Carriero
- via Cino del Duca 4, Milano