Un titano che ha afferrato il XX secolo per la gola e lo ha scosso finché non ne sono usciti cubi, colori violenti e grida di dolore: Picasso. Nato a Málaga, nell’Andalusia bruciata dal sole, il 25 ottobre 1881, Pablo Diego José Francisco de Paula Juan Nepomuceno María de los Remedios Cipriano de la Santísima Trinidad Ruiz y Picasso – un nome che è già un destino, un’epica in miniatura – portava in sé il seme della rivoluzione.
Figlio d’arte, il piccolo Pablo respirava trementina e sogni di gloria. Il padre, José Ruiz Blasco, insegnante di disegno, lo inizia ai misteri della forma e del colore. A tredici anni, il prodigio supera il maestro. Barcellona, poi Madrid, lo accolgono nelle loro accademie, ma il giovane Picasso scalpita, anela a un’arte che non sia mera imitazione del reale.
Parigi, la Ville Lumière, lo chiama a sé. Qui, nei primi anni del Novecento, si consuma la sua “epoca blu”, malinconica e struggente come un canto di flamenco. I poveri, gli emarginati, i saltimbanchi diventano i protagonisti di una pittura scarna, essenziale, intrisa di un profondo senso di umana compassione.
È il tempo del “periodo rosa”, più sereno, più sensuale. Le figure si fanno più solide, i contorni più morbidi. Arlecchini, acrobati, danzatrici popolano le sue tele, immerse in un’atmosfera di malinconica poesia.
E poi, la svolta. L’incontro con l’arte africana, primitiva e potente, e con le geometrie di Cézanne, scuotono l’anima di Picasso. Nasce il Cubismo, una rivoluzione che frantuma la prospettiva tradizionale, scompone la realtà in mille sfaccettature, la ricompone secondo un ordine nuovo. “Les Demoiselles d’Avignon”, opera scandalosa e magnifica, dove lee figure femminili, deformate, spigolose, sono ridotte a volumi geometrici. Lo spazio è frantumato, i piani si intersecano, la prospettiva implode e segna l’inizio di una nuova avventura.
Sperimenta, innova, distrugge e ricostruisce. Collage, sculture, ceramiche, scenografie, niente gli è precluso. La sua arte è un fiume in piena che travolge ogni argine, un labirinto senza fine dove lo spettatore si perde e si ritrova.
La guerra civile spagnola, il bombardamento di Guernica, lo segnano profondamente. “Guernica”, immenso grido di dolore, è la sua accusa contro la barbarie, un monito per l’umanità intera.
Negli anni del dopoguerra, Picasso continua a creare con instancabile energia. La sua arte, ormai consacrata dal mito, si fa più serena, più giocosa. Donne, tori, fauni, popolano le sue tele, immerse in un Mediterraneo di luce e di colori.
Fino all’ultimo, Picasso non smette di cercare, di sperimentare, di sfidare i limiti della forma e del colore. La sua eredità è immensa, un tesoro inesauribile. Un uomo che ha vissuto mille vite, un artista che ha reinventato l’arte, un genio che ha lasciato un segno indelebile nella storia dell’umanità.
Picasso è stato un’esplosione di luce nel cuore del secolo, un uragano che ha spazzato via le vecchie certezze, un genio che ha plasmato la materia del mondo a sua immagine e somiglianza.
Immagine di apertura: Pablo Picasso (1881 - 1973), La Baie de Cannes, Cannes, 19 aprile 1958 - 9 giugno 1958. Olio su tela, 130 x 195 cm. Musée national Picasso-Paris. Dation Pablo Picasso, 1979. MP212 © Succession Picasso by SIAE 2024. Photo © RMN-Grand Palais (Musée national Picasso-Paris) / Mathieu Rabeau
Le immagini delle opere che trovi in questo articolo sono quelle della mostra “Picasso Lo Straniero” in corso al Palazzo Reale di Milano fino a febbraio 2025.