Durante una trasferta della nazionale di calcio inglese, con buona probabilità, vedrete adulti travestiti da San Giorgio, cantare canzoni della Seconda Guerra Mondiale bevendo lager europee in abiti prodotti in fabbriche orientali a mollo nelle fontane di piazza storiche.
Corbin Shaw racconta questa Inghilterra sospesa tra il piccolo mondo antico dell’Impero che fu e le incertezze di una nazione in cerca di un’identità nel dopo-Brexit. Lo fa aggrappandosi a simulacra vernacolari, dalle tradizioni folkloristiche alle tazze da tè delle catene di sportswear, ma guai accusarlo di romanticizzare la nostalgia.
“Il mio rapporto con la Gran Bretagna è complicato. È una forma di odio-amore,” spiega Shaw riflettendo su come sia conflittuale vivere in una nazione che “ama mantenere le sue tradizioni nonostante le persone fatichino a riscaldare le proprie abitazioni”.
Si potrebbe sostenere che Shaw sia uno degli artisti di spicco della Post-Brexit art, più che una scena, un gusto estetico ed un sentire comune alla generazione di artisti e creativi nati a cavallo tra ‘90 e ‘00 e diventati maggiorenni a ridosso dello storico referendum.
Irriverente e giocoso nella forma, Shaw dimostra però una forte coscienza politica nella ricerca sulle radici dei miti iconografici del Regno Unito, a casa e ancor di più all’estero; ma anche nella volontà di creare multipli economicamente accessibili, per democratizzare l’arte.
Quello dell'artista – classe 1998, natio di Sheffield, la steel city del grande nord industriale che fu – è un percorso di studio e critica di un’Inghilterra profondamente cambiata, in cuor suo sempre inamovibile nelle sue piccole grandi certezze iconografiche. Shaw le mette in dubbio e si interroga sulla sua identità e quella della nazione, per ritrovare “un senso di casa, e per provare a sgonfiare l’ego dell’Inghilterra”. Nel suo nord, i depositi di Amazon e DHL hanno colonizzato i campi o occupato le vecchie fabbriche; a Londra edifici georgiani ospitano catene di sigarette elettroniche e caffetterie dalle insegne di dubbio gusto laddove c’erano tradizionali cafs e greasy spoons, le vecchie tavole calde dai pavimenti a scacchi bianconeri e le mattonelle smaltate.
Non riesco a trovare conforto in molte cose del passato perché mi sono così distanti ed aliene: il mio conforto e la mia cultura sono i supermercati e quegli edifici lì.
Corbin Shaw
“Dove è finito l’artigianato?,” si interroga Shaw, riflettendo sulle teorie di William Morris e Ruskin rispetto all’industrializzazione del paesaggio e alla velocità apocalittica di quello di oggi, dal cibo alla moda. “Dove sono quei mestieri e quelle tecniche che raccontano alle persone delle civiltà che sono vissute in un certo luogo? Forse per raccontare la storia della Gran Bretagna del 2024 useranno i fossili dei giochi del McDonalds.”
I ricordi d’infanzia degli ultimi afflati di un’Inghilterra genuina a cavallo tra ‘90 e ‘00, vissuta tra pub e partite di calcio, si amalgamano con la quotidianità del paese reale. “Molti dei posti in cui sono cresciuto o dove ho trascorso tempo con la mia famiglia sono edifici nuovi, case popolari e centri commerciali. Non riesco a trovare conforto in molte cose del passato perché mi sono così distanti ed aliene: il mio conforto e la mia cultura sono i supermercati e quegli edifici lì”.
La nostalgia non sfocia così mai in una dimensione conservatrice, ma di una post-ironia abrasiva, che va dritta al cuore di chi è cresciuto sulle macerie dell’Impero di Sua Maestà; come già cantavano i Kinks all’indomani del tramonto della Swinging London in Arthur or the Decline and Fall of the British Empire. Le tazze-souvenir di re Arthur sulla copertina della band ricordano le ceramiche su cui Shaw riproduce il logo della Stella Artois, che nei pub ha soppiantato le tradizionali ale e bitter inglesi. O per citare il più recente Slowthai, nudo alla gogna nel cortile di un council estate, Nothing Great About Britain.
Ecco che la bandiera con la croce di San Giorgio portata in trasferta dai tifosi della nazionale diventa veicolo di messaggi ora sociali ora di humor; i supermercati vengono restituiti con le antiche tecniche del tapestry, fondative per la cultura britannica; Paul Gascoigne, i gratta e vinci e le pagine dei tabloid si ergono a icone pop come le Marilyn e gli Elvis di Warhol. I riti pagani del maypole dance diventano oggetto di riflessione per opere e performance; loghi di automobili adornano cinture per wrestler da parcheggio del Tesco; toppe e spille – merchandising dimenticati – raccontano una generazione inglese che non vuole perdere la sua identità, ma che altresì vuole trovare il suo ruolo e identità iconoclasta nella nazione.
Il brutto della quotidianità elevato a lirismo, perché in fondo è parte di noi e gli vogliamo bene, come nelle poesie di Guido Gozzano. Quello di Shaw è un equilibrio, tra canzoni da pub al karaoke e rave, che deflagra nell’Eurotrash, manifesto dell’artista che oggi, nel dopo-Brexit, assume un valore semiotico ancora più pregnante.
“È un termine gergale, sullo stile [della musica] Eurodance, che è nato all’indomani dell’uscita dall'Unione Europea riflettendo sul nuovo status quo del Regno Unito, e pensando come fossimo diventati l’Eurotrash, lo scarto dell’Europa. Gli inglesi userebbero il termine rubbish, non trash, mi piace quindi come suona perché penso che molta cultura britannica sia sempre più americanizzata.”
Un’iperbole culturale che, come osserva Shaw, ha portato a vedere addirittura bandiere Trumpiane durante le marce dei nazionalisti inglesi. “Solo 20 anni fa se avessi parlato con un nazionalista non avrebbero mai e poi mai assimilato nulla di americano.”
Eurotrash è anche il titolo della mostra, la prima personale in Italia, che Shaw porta a Milano dall’8 all’11 novembre presso Spazio Maiocchi su iniziativa di Slam Jam. “Un ritratto immersivo di una nazione intrappolata tra un grandeur evanescente e un senso di appartenenza ormai sfilacciato, ponendosi a confronto tanto con il paesaggio Britannico tradizionale quanto con le sue divisioni politiche contemporanee”.
- Mostra:
- Eurotrash
- Dove:
- Spazio Maiocchi, Milano
- Date:
- dall'8 all'11 novembre