Decidere di entrare nel padiglione egiziano, quando fuori il giorno risplende è già un’esperienza. L’ingresso è costituito da un’architettura vernacolare in terra e si accede attraverso una tenda nera.
The mountain
Il padiglione dell’Egitto alla Biennale Arte 2017 a Venezia ospita la favola video di Moataz Nasr, girata in un villaggio della campagna egiziana racconta la paura che inibisce l’azione, un sentimento comune a tutti gli esseri umani. #BiennaleArte2017
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- Simona Bordone
- 31 maggio 2017
- Venezia
L’odore è la prima cosa che colpisce nell’oscurità: odore di stallatico e terra battuta, un odore che si sente nelle campagne assolate in Egitto ma anche in tutte le regioni che si affacciano sul Mediterraneo. Si riconosce subito e avvicina chi guarda a quel che avviene nella proiezione su cinque schermi. Probabilmente l’odore sarebbe bastato: non sembra proprio necessaria l’intera struttura, Moataz Nasr è bravo abbastanza da non aver bisogno della scenografia per essere convincente.
La favola di Nasr The mountain dura 12 minuti, e, se è vero che le opere in video chiedono tempo, qui è ben speso. Siamo – l’odore ci ha portati – in un villaggio agricolo dove la vita scorre lenta, nulla sembra accadere durante il giorno ma la notte tutte le case sono chiuse, nessuno percorre le strade. C’è qualcosa di non detto che si percepisce. Cambio scena: due donne sono sedute l’una accanto all’altra su un autobus. Una delle due è diversa dagli altri, ha l’aria della cittadina. Viene riconosciuta dalla sua vicina: è proprio Zein la bambina che lasciò il villaggio per studiare. Flashback, una bambina gioca per le strade del villaggio con un coetaneo, vuole andare a scuola, la madre difende la sua scelta, ma la bambina dovrà rinunciare alla sua treccia. Dovrà rinunciare alla sua femminilità o forse all’infanzia, ai suoi capelli, o ancora fare un dono ai demoni che infestano il villaggio.
È una donna a incarnare la libertà. Una libertà sofferta, che implica di allontanarsi, perdere parti di sé per ritrovarne altre. Ma ora è tornata e porta con sé una visione diversa: ha il coraggio di spezzare la paura. Parla della sua intenzione di cambiare le cose e di sfidare il demone della montagna. Dichiara le sue intenzioni a capo scoperto, rivendicando con ciò la sua modernità, davanti agli uomini riuniti insieme al padre per festeggiare il suo ritorno. Gli uomini disapprovano, suo padre si ritrova emarginato, ancora una volta la madre la difende. È notte, Zein prende il bastone del padre, simbolo dell’autorevolezza famigliare, e il velo della madre ed esce. Ha sfidato tutte le convenzioni e tutte le paure. L’amico d’infanzia la segue. Poi le porte si aprono, tutto il villaggio esce nella notte. Lei con forza pianta il bastone nel cuore della montagna e cade riversa a terra. L’amico chiede “È morta?”, e il padre “È viva?”. La favola finisce qui. Uscendo, quando gli occhi sono abituati alla semioscurità si vede la piccola scultura di un orecchio incastonato nella parete.
La paura di cui parla Nasr è certo quella universale che inibisce l’azione, una dimensione psicologica che può essere condivisa da ogni essere umano. Ma quando diventa un sentimento collettivo, si fa dura come la montagna e diventa pregiudizio. Questo sembra dire la favola di Moataz Nasr, che nel suo lavoro ha sempre mescolato lo sguardo antropologico con la sociologia, ma forse c’è anche dell’altro. Chi è che ascolta, di chi sono le orecchie che compaiono anche nel video? Sono i demoni? O il “grande fratello”? O le orecchie di uno stato di polizia che approva la modernizzazione, ma schiaccia nel sangue la libertà di pensiero?
fino al 26 novembre 2017
Moataz Nasr – The Mountain
Padiglione dell’Egitto
57. Esposizione Internazionale d’Arte
Giardini della Biennale
Venezia