Futurismo al Guggenheim

La mostra curata da Vivien Greene ha l’indubbio vantaggio di essere estremamente didattica e altrettanto inclusiva, per fare apprezzare al pubblico statunitense un’avanguardia spesso negletta.

“Futurism, 1909-1944: Reconstructing the Universe” è la mostra curata da Vivien Greene per il Guggenheim di New York, il cui titolo racchiude da un lato l’eroica ambizione totalizzante del Futurismo e dall’altro ne traccia l’estensione nel tempo, dalla stesura del manifesto alla morte di Marinetti.

L’esposizione possiede l’indubbio vantaggio di essere estremamente didattica e altrettanto inclusiva, nel tentativo di fare apprezzare al pubblico statunitense un’avanguardia spesso negletta. Nonostante le opere futuriste siano da tempo conservate nelle collezioni dei musei americani, questa è per gli Stati Uniti la prima retrospettiva comprensiva di questo movimento artistico. Si tratta di un sussidiario ben curato dell’attività, che mette in campo la totalità di fasi storiche e campi artistici e ideologici in cui si sono mossi i suoi protagonisti, compresi i momenti di esplicito ammiccamento al fascismo e le espressioni artistiche di minore impatto estetico.

Vista della mostra "Italian Futurism, 1909–1944: Reconstructing the Universe", Solomon R. Guggenheim Museum, New York. Photo Kris McKay © SRGF

La mostra seleziona e riordina, ma limita la censura. E, forse proprio per questo, riapre il dibattito sulle contraddizioni e le ambivalenze del Futurismo. Roberta Smith del New York Times giudica la mostra “epica”, nonché un ulteriore aiuto alla comprensione di un movimento “simultaneamente macchia e punta d’orgoglio dell’arte moderna”. [1] Nonostante i legami politici dichiarati, afferma, il Futurismo non può essere negato. E, anzi, incalza l’inglese The Economist, una riconsiderazione del Futurismo è indispensabile per revisionare la narrativa convenzionale dell’arte del XX secolo, riferendosi al debito di alcune correnti artistiche contemporanee nei confronti dell’arte futurista. [2]

Vista della mostra "Italian Futurism, 1909–1944: Reconstructing the Universe", Solomon R. Guggenheim Museum, New York. Photo Kris McKay © SRGF

Il New Yorker, lucido nell’esporre i suoi poco condivisibili valori – misoginia, nazionalismo, esaltazione della virilità e della guerra – che ne hanno fatto il movimento “più trascurato ma anche più imbarazzante dell’arte moderna”, [3] propone una critica ben argomentata delle qualità non eguali di tutte le opere e fasi del Futurismo, sottolineandone gli esiti artistici limitati rispetto sia alle altre avanguardie che alle ambizioni del suo stesso manifesto. Segue il Wall Street Journal con una recensione intitolata Backward to the Future, secondo la quale “i futuristi si nutrivano di quella stessa tradizione artistica del passato che dichiaravano di negare”. [4]

Riceve invece consenso l’opera poliedrica di Fortunato Depero. Il New Yorker si unisce al coro dichiarandosi felicemente sorpreso dal virtuosismo dell’artista, forse una delle figure più interessanti del secondo Futurismo. In generale, esclusa qualche punta di delusione per la presenza sottotono di Sironi (WSJ), la cura della mostra raccoglie lodi e apprezzamenti, un “lavoro superlativo nel tracciare la nascita del movimento e la sua traiettoria di vita”. (Financial Times), [5] “un’eccezionale esperienza museale e una brillante ricostruzione della caotica stanza dei giochi dei futuristi” (New Republic).[6] Infine, conclude il Wall Street Journal, “comunque la pensiate sul Futurismo, la mostra ha il potere della sfida e della delucidazione”.

Vista della mostra "Italian Futurism, 1909–1944: Reconstructing the Universe", Solomon R. Guggenheim Museum, New York. Photo Kris McKay © SRGF

Come rivela l’utilizzo dei tanti ma, nonostante e tuttavia nelle recensioni della stampa americana, il Futurismo è ancora un mondo sotto esplorazione e di non univoca interpretazione. Per questo, probabilmente, è necessario affiancare la mostra a una discussione, sia che trapeli dalle prime reazioni della stampa, o dei contributi critici del denso catalogo stampato dal Guggenheim. Sulla scia di una tale esigenza di dibattito, che non possiamo che constatare con una nota positiva, l’Italian Academy for Advanced Studies di New York ha organizzato, a pochi giorni dall’apertura, la tavola rotonda “Futurism at the Guggenheim”, moderata da Ernest Ialongo, e animata dal confronto tra Vivien Greene, Giovanna Ginex, Romy Golan, Marianne Lamonaca, Adrian Lyttelton, Christine Poggi e Lucia Re.

Vista della mostra "Italian Futurism, 1909–1944: Reconstructing the Universe", Solomon R. Guggenheim Museum, New York. Photo Kris McKay © SRGF

Dopo una presentazione introduttiva da parte della curatrice, i primi commenti hanno sottolineato la felice combinazione tra il soggetto della mostra e la spirale espositiva del museo. Poiché, di fatto, Marinetti detestava i musei, e li avrebbe addirittura voluti distruggere tutti. Ma, viene detto, il Guggenheim è di sicuro il museo che avrebbe odiato meno. Superate queste prime osservazioni che alluderebbero a un’attitudine futurista del progetto di FLW, il dibattito avanza sulle ambivalenti e paradossali caratteristiche del Futurismo. Tra nazionalismo e cosmopolitanesimo, tra misoginia dichiarata e ruolo delle futuriste donne, tra fenomeno collettivo e individualismi, tra arte rivoluzionaria e arte di regime. È condivisa la volontà di mostrare senza censura il fenomeno, includendo le opere di propaganda e quelle di artisti meno noti, tra cui le futuriste. Queste, spiega Lucia Re, costituivano un tipo d’intellettuale al femminile mai esistito prima in Italia: pur contestandone l’atteggiamento misogino, erano attratte dalla critica anti-borghese e dalla sessualità liberatoria dei loro colleghi. La discussione ritorna però continuamente sulle difficoltà di interpretare la relazione tra Futurismo e fascismo: il simposio mette in guardia dalle interpretazioni semplicistiche e la nota dello storico Adrian Lyttelton è la più acuta.

Luigi Russolo “L’arte dei rumori: Manifesto futurista”, Milano Direzione del Movimento Futurista, 1913, 29,2 x 23 cm. Wolfsoniana - Fondazione regionale per la Cultura e lo Spettacolo, Genoa. Per gentile concessione degli eredi degli artisti. Photo Courtesy Wolfsoniana - Fondazione regionale per la Cultura e lo Spettacolo, Genova

La questione rilevante, sostiene, non è tanto dimostrare fino a che punto il Futurismo sia stato un movimento artistico al servizio del regime – atteggiamento innegabile nella sua secondo fase – quanto capire come questo abbia incubato quel substrato culturale – la definizione di un rinnovato stile di vita, l’ossessione per virilità e fisicità, l’insistenza sull’interventismo – che il regime condividerà. Il fascismo, conclude in modo provocatorio, “non sarebbe potuto esistere senza Futurismo o sarebbe stato qualcosa di molto diverso”. Lyttelton, conscio del dilemma alla base di una riconciliazione con l’arte futurista, incita non tanto a cadere nell’operazione disonesta di dismettere il ruolo che la politica ha giocato nella sua costituzione, ma a far convergere un recupero dell’energia del Futurismo all’interno di valori rinnovati.

Vista della mostra "Italian Futurism, 1909–1944: Reconstructing the Universe", Solomon R. Guggenheim Museum, New York. Photo Kris McKay © SRGF

Mentre indugiamo nel tentativo di srotolare un dibattito ancora in via di definizione e le cui posizioni sono tutt’altro che scontate e definite, la geografia della città ci regala l’opportunità per un ulteriore confronto. In questi giorni apre alla Neue Gallery, un isolato a sud del Guggenheim lungo la cosiddetta Museum Mile, una mostra sulle Arti Degenerate nella Germania nazista. Il consiglio, quindi, è un biglietto doppio: “Futurism, 1909-1944: Reconstructing the Universe” (fino al 1° settembre 2014), Solomon R. Guggenheim Museum e “Degenerate Art: The Attack on Modern Art in Nazi Germany, 1937” (fino al 30 giugno 2014), Neue Galerie New York
Museum for German and Austrian Art.

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Filippo Masoero, Scendendo su San Pietro, ca. 1927–37 (1930–33). Stampa gelatina ai sali d'argento, 24 x 31,5 cm. Touring Club Italiano Archive


Fino al 1 settembre 2014
Italian Futurism, 1909–1944: Reconstructing the Universe
Solomon R. Guggenheim Museum
1071 5th Avenue (at 89th Street)