Se talvolta palle da demolitore e mine esplosive sono accolte con sollievo da parte di chi coglie in una specifica opera costruita uno sfregio al decoro urbano o alla dignità umana (basti pensare alle vituperate Vele di Scampia), capita anche che la distruzione di un’architettura avvenga con profondo rammarico al di là del giudizio estetico kantiano del “bello” o di altri parametri valutativi soggettivistici. E’ il caso di architetture del passato che hanno interpretato lo spirito di un’epoca e di chi le ha ideate, che oggi non esistono più ma che continuano a sopravvivere in fotografie del passato, libri d’architettura o nella mente di chi le ha vissute. Così, citiamo a imperitura memoria opere scomparse nelle forme costruite ma intramontabili e cruciali nella storia del pensiero architettonico: sopraffatte da eventi catastrofici (Crystal Palace di Joseph Paxton, World Trade Center di Minoru Yamasaki) o provvisorie (Padiglione dell’Esprit Nouveau di Le Corbusier); travolte dal degrado (Imperial Hotel di Frank Lloyd Wright, Pruitt-Igoe di Minoru Yamasaki, Robin Hood Gardens di Alison & Peter Smithson, Nakagin Capsule Tower Building di Kisho Kurokawa) o dal naturale processo di evoluzione dei sistemi urbani (Singer Building di Ernest Flag, Pensylvania Station di McKim,Mead&White, Prentice Women's Hospital and Maternity Center di Bertrand Goldberg, Netherlands Dance Theater di Oma); oppure, cancellate dalla mano dell’uomo che non ne ha colto il valore rappresentativo e testimoniale (La Maison du Peuple di Victor Horta, Gettyburg Cyclorama di Richard Neutra; Autogrill Pavesi a Montepulciano di Angelo Bianchetti; Laboratorios Jorba di Miguel Fisac). Se è appurato che nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma, anche senza indulgere nel culto nostalgico del passato la domanda (retorica) che sorge spontanea è se, in certi casi, il vuoto che alcune di queste opere hanno lasciato non sia soprattutto culturale e se, in altri, il rimpiazzo abbia compensato la perdita.
15 icone dell’architettura che non esistono più
Anche i capolavori scompaiono: ne ricordiamo 15 essenziali che restano, nella storia dell’architettura, testimonianze cruciali dell’epoca e del pensiero di chi li ha ideati.
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- Chiara Testoni
- 21 febbraio 2024
Costruito nell’ambito dell’Esposizione Universale di Londra del 1851 per esaltare le qualità delle tecnologie emergenti in vetro e acciaio, il Padiglione era originariamente installato ad Hyde Park, per poi essere trasferito in un’altra zona della città. Distrutto da un incendio nel 1936, ispirò molti altri edifici che facevano della leggerezza e della trasparenza un plusvalore a dispetto delle ingombranti architetture del passato.
Il complesso in stile Art Nouveau, commissionato dal Partito dei lavoratori belgi, era distribuito su quattro piani in un lotto irregolare e si caratterizzava per la massima funzionalità e sobrietà a livello ornamentale (differentemente da altre realizzazioni di Horta). L'edificio fu demolito nel 1965 e rimpiazzato da un grattacielo, non senza polemiche di fronte a ciò che venne considerato un vero e proprio crimine architettonico.
L’edificio che ospitava la sede della Singer Manufacturing Company, famosa casa produttrice di macchine per cucire, con i suoi 187m e 47 piani è stato negli anni successivi alla sua costruzione il più alto del mondo e un landmark fortemente riconosciuto a Manhattan. A nulla sono valsi gli sforzi della comunità per farlo riconoscere “historical landmark”: è stato demolito alla fine degli anni ‘60 e rimpiazzato dall’attuale One Liberty Plaza.
L’edificio in stile Beaux Arts, originariamente un nodo nevralgico nella New York del primo Novecento e punto di riferimento per la comunità, fu demolito nel 1963 a causa del calo dei flussi di transito ferroviario. Al suo posto, Madison Square Garden e l'attuale versione della Penn Station.
Il complesso fu progettato dal maestro dell’architettura organica, qui ancora influenzato dal revivalismo Maya sperimentato negli stessi anni anche in Ennis House a Los Angeles. Sopravvissuto a terremoti, l’edificio provato dal tempo è stato demolito nel 1963 per fare posto alla terza versione dell’hotel.
Il Padiglione, ideato per l’Esposizione Internazionale delle Arti Decorative di Parigi del 1925, era il prototipo a scala reale di un alloggio standardizzato composto da elementi prodotti in serie, che mirava a promuovere i benefici di tecnologie efficienti ed economiche per fare fronte al fabbisogno di alloggi e all’esigenza di qualità abitativa nelle città. Fu ampiamente osteggiato dagli organizzatori della manifestazione che tentarono di occultarlo per il messaggio dirompente, rivoluzionario e in esplicito contrasto con l’Art Déco che l’Expo rappresentava. Decenni dopo lo smantellamento, nel 1977 è stata ricostruita una copia fedele a Bologna, che oggi ospita una sede espositiva.
Il grande progetto urbanistico di edilizia popolare fu concepito per soddisfare la pressante esigenza abitativa della città negli anni del dopo-guerra. Nel periodo immediatamente successivo alla costruzione, le condizioni di vita nel complesso cominciarono lentamente a decadere in un profondo degrado socio-economico e ambientale. La demolizione dei 33 mastodontici edifici avvenne tra il 1972 e il 1974 e fu accompagnata da un dibattito intenso sulle politiche pubbliche di edilizia sociale che vedevano nel complesso abitativo un evidente simbolo di fallimento nazionale. Quella del Pruitt-Igoe è stata una delle prime demolizioni di edifici di architettura moderna ed è stata definita dal teorico e storico dell'architettura Charles Jencks come “il giorno in cui l'architettura moderna è morta”.
Progettato da uno dei padri del modernismo californiano, il centro visitatori nel sito della battaglia di Pickett's Charge durante la Guerra Civile Americana del 1863 ospitava un ciclorama del 1883 di Paul Philippoteaux e un ponte di osservazione. A causa degli elevati oneri per la manutenzione e il restauro, l’edificio è stato i demolito, nonostante le pubbliche proteste e il fatto che fosse considerato un luogo di eccezionale importanza storica ed architettonica.
Nell’epoca del boom economico in cui l’Italia guardava al futuro con ottimismo e la libertà sfrecciava su quattro ruote sulle orme dell’ American way of life, l’autogrill a ponte Pavesi tra i caselli Bettolle-Valdichiana e Chiusi-ChiancianoTerme era un punto di riferimento per turisti, vacanzieri e pendolari che qui assaporavano un momento di relax. Autostrade per l’Italia lo sostituisce con due torrette, più funzionali, meno poetiche. Memoria di un passato un po' ingenuo e felicemente sognante che difficilmente tornerà.
L’edificio alle porte di Madrid era un esempio di equilibrio tra leggerezza e matericità: l’articolazione dei piani, sfalsati tra loro di 45 gradi, suggeriva l’immagine di un tempio asiatico (l’edificio era comunemente denominato “la Pagoda”) mentre l’impiego virtuosistico del cemento grezzo con tracce delle cassaforme in legno strizzava l’occhio al Brutalismo. Non riconosciuto come bene storico da tutelare, fu demolito nel 1999 per lasciare spazio a nuovo fabbricato terziario.
L’opera ad uso misto (residenziale e terziario) era uno degli esempi più rappresentativi del movimento Metabolista giapponese che vedeva nella città e nella società organismi viventi in continua crescita e trasformazione, alle cui necessità solo la tecnologia poteva dare risposte concrete. Il complesso era composto due torri collegate fra loro che contenevano 140 capsule prefabbricate e autonome, ciascuna sostituibile ogni 25 anni. Fortemente degradato nel corso degli anni, è stato demolito a causa degli elevati oneri di recupero.
Il mastodontico complesso in cemento prefabbricato era composto da due edifici di 10 e 7 piani, per complessivi 213 appartamenti. Concepito come manifesto di edilizia sociale progressista in opposizione alle rigidità del Movimento Moderno, il progetto degli Smithson sviluppava il tema della residenza collettiva in stretto collegamento con quello dello spazio pubblico (dal vasto spazio aperto centrale ai percorsi distributivi in quota) inteso come fulcro essenziale di vita comunitaria e socialità. Nonostante voci autorevoli si siano alzate per scongiurarne lo smantellamento dovuto all’avanzato stato di degrado, l’opera è stata demolita: in occasione della 16. Mostra internazionale di architettura, il Victoria and Albert Museum di Londra ha esposto presso il Padiglione delle Arti Applicate un frammento di una facciata del complesso.
Il complesso brutalista era caratterizzato da una torre a quadrifoglio in cemento armato di 9 piani con finestre ovali, collocata a sbalzo su un corpo rettangolare di 5 piani. Utilizzata come centro di maternità, con le postazioni mediche nel nucleo centrale e i reparti per i pazienti nei quattro lobi, la complessa struttura curvilinea è entrata nella storia dell'edilizia grazie all'uso delle prime tecniche di progettazione assistita dal computer. L'edificio è stato raso al suolo nel 2013 quando i proprietari, la Northwestern University, hanno avuto necessità di insediare nell’area nuove strutture di ricerca medica.
Con 417m e 415m di altezza, le torri gemelle erano gli edifici più alti del mondo quando furono inaugurate. Il complesso, costruito con l'obiettivo di rivitalizzare Lower Manhattan, ispirava all'esposizione della Fiera Mondiale di New York del 1939, chiamata World Trade Center, sulla base di un’idea di pace globale perseguibile attraverso il commercio (visione difficilmente concretizzabile e drasticamente disattesa dalla storia). La vicenda della loro distruzione, a causa dell’attacco terroristico dell’11 settembre 2001, è tristemente nota.
Il complesso nel centro dell’Aia, in un’area in forte trasformazione, ospitava oltre al teatro di danza progettato da Oma, anche una sala concerti e un hotel disegnati da altri progettisti. Il teatro era suddiviso in tre zone programmatiche parallele: lo spazio del palcoscenico e dell'auditorium da 1.001 posti; l’area centrale con gli studi di prova; la zona degli uffici, camerini e sale comuni dei ballerini. Il teatro aveva una struttura di travi e putrelle d'acciaio, con rivestimento metallico in lamiera ricoperta di stucco, marmo e lamine d'oro. Il tetto aveva una struttura autoportante costituita da un doppio strato di lamiera d'acciaio.