“Dammi all’alba un odoroso giardino di fiori bellissimi dove io possa camminare indisturbato”. Così Walt Whitman descriveva l’impareggiabile piacere di un contatto con il verde, per riconquistare un rapporto intimo e indisturbato con la Natura e con sé stessi.
12 labirinti e parchi “magici” da visitare in Italia
Dalla Scarzuola a Bomarzo al Labirinto della Masone, passando per giardini meno celebri ma altrettanto affascinanti, un viaggio tra natura ed esoterismo per perdersi e ritrovarsi tra mostri, simboli arcani e sguardi di pietra.
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- Chiara Testoni
- 17 maggio 2024
Se da sempre il giardino evoca nell’immaginario un caleidoscopio di emozioni sensoriali, l’esperienza percettiva all’interno di un parco può essere in realtà molto diversa a seconda dei principi progettuali che ne hanno ispirato la genesi: pacificante e serena, come nei nitidi giardini all’Italiana (Parco di Villa Garzoni); ermetica ed esoterica, come nei parchi ispirati ad oscure simbologie e a percorsi iniziatici (Bosco Isabella, la Scarzuola, Giardino dei Tarocchi); ludica, giocosa o intellettuale, come nei musei tematici all’aperto dedicati alla formazione (Parco di Pinocchio) e all’espressione artistica (Parco Museo Musaba, Parco Sculture del Chianti, Parco di Celle); teatrale ed “espressionista”, come nei giardini che evocano immagini oniriche ed inquietanti (Bosco di Bomarzo, Giardino incantato delle teste).
Il labirinto è spesso un elemento fortemente caratterizzante della progettazione: da Cnosso, a Borges, a Kubrick (in Shining), il labirinto non rappresenta solo il fremito che deriva dal perdere le proprie coordinate ma evoca anche un viaggio catartico, attraverso cui possibilmente ritrovarsi (Labirinto della Masone, Labirinto di Villa Garzoni, Labirinto del Castello di Donnafugata). In tutti i casi, comune denominatore è sempre l’intimo equilibrio tra Artificio e Natura perché, come diceva il naturalista John Muir, “in ogni passeggiata nella natura l’uomo riceve molto di più di ciò che cerca”.
Il Labirinto della Masone, progettato da Franco Maria Ricci con gli architetti Pier Carlo Bontempi e Davide Dutto, è un parco culturale con impianto a stella che ricorda le città ideali del rinascimento, tra simbologie esoteriche e un’aura di a-temporalità un po’ mortifera. Il complesso, che si estende su 7 ettari di terreno, ospita il più grande labirinto di bambù al mondo; al centro del Labirinto, un cortile porticato e una cappella a forma di piramide, simbolo di immutabilità e perfezione, alimentano la suggestione metafisica del luogo mentre nel corpo principale il bookshop e l'area museale con la Biblioteca e l’Archivio testimoniano il ricco patrimonio culturale dell’ideatore.
Passeggiare per il giardino di Villa Garzoni è un’esperienza immaginifica ed enigmatica che proietta nella magia e nella teatralità dei giardini all'italiana di fattura manierista - barocca. Una varietà di coltivazioni, un articolato sistema idraulico tra fontane, cascate e corsi d’acqua, una popolazione scultorea che fa capolino tra la vegetazione - o che tende a nascondervisi di proposito in base a chissà quale linfa vitale - suggeriscono che qui è bello perdere le coordinate ed abbandonarsi ad un flusso emozionale. Come nel Labirinto arboreo formato da siepi di bosso alte 2-3 metri, situato vicino alla villa detta “delle cento finestre”: un tipico esempio di labirinto con bivi, vicoli ciechi e false piste e con un ingresso ed un’uscita, da cui non è difficile uscire ma in cui è bello pensare di intraprendere, come è capitato a Pinocchio (non per altro siamo a Collodi), un percorso iniziatico con un lieto fine.
Il Castello di Donnafugata, dai fasti nobiliari del passato a più prosaica quinta cinematografica della serie sull’ispettore Montalbano, riserva inaspettate sorprese grazie all’architettura spettacolare non solo dell’edificio ma anche del parco di 8 ettari, una sorta di “giardino ermetico” con tempietti, grotte artificiali ed un grande labirinto “a vicoli ciechi”. Differentemente dalle tipologie più consuete, anziché di siepi il labirinto è fatto di muri di pietra a secco e la pianta, invece che circolare, è trapezoidale, su ispirazione del labirinto londinese di Hampton Court: evidentemente da Enrico VIII all’aristocrazia siciliana il gusto di perdersi e ritrovarsi in un luogo magico era una costante.
Se i mostri abitano su questa terra allora abitano nel Sacro Bosco di Bomarzo. Il sito, ideato da Pirro Ligorio per consolare, tra incanti e magie, il cuore del principe Orsini spezzato dalla morte della moglie, ospita un parco naturale di tre ettari dove risiede una popolazione di animali mitologici, mostri e divinità in basalto dalle fauci aperte e dai gesti contratti, secondo una finzione scenica - come diceva Bruno Zevi – talmente “travolgente” che quasi ci si chiede se, non viste, queste creature parlino e si muovano davvero.
Bruno Zevi diceva che Nik Spatari è “uno dei casi “rarissimi” in cui un outsider versa nella terra il sale dell’architettura”. E’ in questo modo infatti che l’artista ha concepito nel 1969, insieme a Hiske Maas, MuSaBa, un parco museo di 7 ettari all'aperto che è un vera e propria fucina progettuale e creativa con l’obiettivo originario di realizzare iniziative per la promozione del patrimonio architettonico e ambientale calabrese. Oltre alle opere realizzate dallo stesso Spatari, nel parco e presso i ruderi del monastero certosino restaurato all’interno del parco stesso sono presenti circa quaranta opere di artisti contemporanei internazionali, sculture imponenti e fabbricati variopinti.
Ispirato al Parc Güell di Gaudì a Barcellona e dal Bosco di Bomarzo, l’artista franco-statunitense Niki de Saint Phalle ha concepito nel 1979 un parco artistico immerso nella natura selvaggia della Maremma che ospita sculture ciclopiche, alte dai 12 ai 15 metri realizzate in acciaio e cemento e rivestite di specchi, vetri e ceramiche colorate, a rappresentare i 22 arcani maggiori dei tarocchi. Qui le visite guidate, per volontà dell’artista, non sono permesse, per lasciare la possibilità di vaticinio a chiunque intraprenda questo viaggio ermetico e un po’ inquietante.
Primo museo italiano di arte ambientale, il complesso è un parco monumentale dedicato alle rocambolesche avventure di Pinocchio, narrate e rivissute in modo letterale all’interno di uno scenario onirico e coinvolgente che evoca un profondo equilibrio tra arte e natura. Qui, passeggiando tra il verde progettato da Piero Porcinai, facendo una sosta all’Osteria del Gambero Rosso di Giovanni Michelucci o facendo un tuffo involontario – come la sottoscritta – nella vasca della Balena, si libera l’immaginazione e si riscopre quel “fanciullino” pascoliano che troppo spesso è sopito.
Se uno ha l’ansia di sentirsi osservato questo proprio non è il suo posto. Il giardino incantato delle teste è un luogo surreale e inquietante che ospita centinaia di sculture in tufo di volti, di ogni dimensione ed espressione, realizzate da Filippo Bentivegna, personaggio decisamente particolare, con qualche ossessione e nessuna padronanza tecnica. Teste tristi, felici, enigmatiche, sorridenti, pensierose, arrabbiate, stralunate; teste accatastate, affiancate e bifronti, raggruppate in grappolo come in un atto votivo: le opere acquisiscono la forza della spontaneità e della naturalezza proprie dell’art brut che, come diceva Dubuffet,” sorge dal materiale e si nutre delle disposizioni istintive”.
Il giardino, realizzato alla fine dell’800 dalla famiglia Luchini, è un manifesto di parco romantico all’inglese venato da sottili e oscure simbologie. Qui una natura libera e sovrana domina e avvolge le uniche tracce create dall’uomo, dai muri a secco, ai ponticelli di pietra, ai lacerti visibili del passato (i resti di un fortino senese e di un probabile luogo di culto etrusco). In mezzo alla natura lussureggiante si snoda, percepibile solo ai pochi, un percorso iniziatico-esoterico di matrice massonica: così sono state concepite la disposizione di alcune essenze a gruppi di tre, numero simbolico; la giara interrata che ricorda il catino del tempio di Salomone; la siepe di Bosso a forma di cerchio che rappresenta l’occhio che sovrintende; la piramide a base triangolare, simbolo principale della Massoneria
Nell’area di un convento sulle colline umbre, l’ architetto milanese Tomaso Buzzi ha dato vita alla sua “città ideale”: una vera e propria allegoria escatologica dell’esistenza narrata attraverso il linguaggio ermetico della massoneria settecentesca. Il complesso è, come l’architetto lo definì, "un'antologia in pietra", una grande scenografia teatrale che legittima il recupero di elementi del passato: da Villa Adriana, agli edifici dell'Acropoli, al Bosco di Bomarzo. La visione progettuale sottende un percorso iniziatico che si dipana tra gli edifici e rappresenta un confronto con l’Inconscio, secondo il modello sviluppato da Jung e basato su figure archetipiche.
Nelle morbide colline del Chianti, un parco di 7 ettari ospita opere d’arte contemporanea site-specific, ovvero realizzate per essere inserite e contestualizzate esattamente in quel preciso luogo. Gli approcci degli artisti provenienti da oltre 26 paesi al mondo sono tra i più variegati, dal linguaggio più tradizionale che ricorre a marmi e graniti, a forme più inusuali come il suono o le luci al neon. Tutti i contributi sono però all’insegna di un obiettivo comune: l’ integrazione tra arte e natura, per cui ogni opera - inserita nel suo determinato spazio - è parte integrante dell'ambiente che la circonda e in sintonia con le altre.
Come il Parco sculture in Chianti, anche la Collezione Gori - Fattoria di Celle, sede della prima collezione privata di arte ambientale in Italia, ospita nelle sale della settecentesca Fattoria e nel suo grande parco aperti al pubblico dal 1982 opere d’arte site-specific appositamente create per questi luoghi dai maggiori esponenti della scena contemporanea, tra cui Robert Morris, Anselm Kiefer, Richard Serra, Giuseppe Penone. Oltre a rendere visitabile la collezione stabile, la struttura organizza annualmente mostre e performances all’interno del teatro-scultura.