Il mondo della narrazione animata giapponese è estremamente vasto. Al di là delle molteplici tematiche trattate, anche dal punto di vista visivo ogni prodotto tende a presentarsi in modo differente, e molti hanno un’identità forte che li rende memorabili. Oltre che al design dei personaggi e alle storie, questo discorso può essere applicato anche alla rappresentazione degli ambienti, delle architetture e dei paesaggi che fanno da sfondo (o, talvolta, da protagonisti) delle vicende raccontate nella tradizione pluridecennale degli anime.
Tra i maestri della rappresentazione dell’architettura negli anime, si possono annoverare Katsuhiro Ōtomo (Akira), Satoshi Kon (Paprika), Makoto Shinkai (Your Name) e Tsutomu Nihei (Blame!), solo per fare gli esempi noti al grande pubblico. In occidente, il più celebre è Hayao Miyazaki, che con lo Studio Ghibli ha raccontato storie archetipiche rimaste nel cuore di più generazioni proprio grazie alla rappresentazione peculiare di luoghi e personaggi.
Per Miyazaki, infatti, l’uomo è al centro della narrazione, ma al suo fianco c’è sempre la natura e lo spazio antropizzato, in armonia (come rappresentazione del bene), in contrapposizione (a rappresentare il male), fino a raggiungere un equilibrio di mutuo rispetto tra l’individuo e ciò che caratterizza il genius loci nel senso più metafisico e spirituale del termine.
Miyazaki nasce poco prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale e inizia la sua attività ventenne all’inizio degli anni Sessanta, quando il Giappone sta reinventandosi in chiave moderna e avanguardista grazie al Movimento metabolista. La rigida società pre-bellica, ancorata ai dogmi del secolo precedente, stava in quegli anni lasciando il posto a una mutazione costante di usi e costumi, e con loro stavano cambiando le strutture architettoniche e le città.
Alla base del Movimento metabolista c’è un concetto chiave che ritroviamo anche nell’architettura di Miyazaki: l’elemento architettonico è (idealmente) parte di un ecosistema in continuo mutamento, in cui si inserisce in modo armonioso, non fuori contesto. Questa nuova espressione dell’abitare è stata formalizzata nel mondo reale da architetti come Nobru Kawazoe e vedrà la sua massima espressione in termini di ricerca nel corso dell’Expo 1970 tenutosi a Osaka e nella struttura che maggiormente è entrata nell’immaginario collettivo, la Nakagin Capsule Tower.
Questo contesto socio-architettonico costituisce fondamenta solide per la produzione “architettonica” di Miyazaki, declinandosi in modo diverso nel corso delle varie opere. Per questo motivo, piuttosto che una cronistoria dei suoi lavori, vogliamo offrirvi un’analisi per temi visivi, fornendo spunti di riflessione su singole soluzioni architettoniche o suggestioni di paesaggi mostrate dal cineasta giapponese.
La tecnologia e il mondo naturale
Miyazaki inizia a lavorare negli anni Sessanta, è vero, ma sarà a partire dagli anni Settanta che inizierà a immergersi a tutto tondo nella direzione artistica delle sue opere, raggiungendo la piena maturità narrativa negli anni Ottanta. Però, nonostante lo scorrere del tempo, i pilastri della narrazione visiva dello spazio di cui abbiamo parlato in apertura non l’hanno mai abbandonato. Nei tre film che danno il nome a queste schede, la natura e lo spazio urbano (dunque, la tecnologia messa in atto dall’uomo) sono in costante dicotomia
In Nausicaä della Valle del Vento, l’approccio taoista alla vita, all’agricoltura e all’architettura integrata nel mondo naturale si scontra con gli orrori della guerra - che nasce dalle tragiche conseguenze nel mondo reale del fallout nucleare, un orrore che resterà sempre sullo sfondo delle opere dello Studio Ghibli. Nel costante ciclo di distruzione e ricostruzione, l’uomo appare fin da subito quasi estraneo alla natura, calato in contesti di industrializzazione che lo avviliscono. Come nel caso di Pazu, che a inizio film viene mostrato all’opera nelle miniere di carbone - luoghi cupi e angusti all’interno, ma dall’affascinante design esteriore, calato all’interno del contesto naturale che affascina i minatori stessi.
Parlando sempre di bellezza nel contatto tra uomo e natura, passando a Laputa: Castello nel cielo si può notare come gli spazi abitativi degli individui derivino dai materiali e dalla tradizione dei luoghi in cui si trovano, con una semplicità e un calore che trasmettono serenità e cura per sé e i propri spazi di vita. In tal senso, infatti, l’autore prende le distanze dal Movimento metabolista volto all’ottimizzazione estrema degli spazi in rapido divenire, mostrando come la serenità di una vita semplice fatta di piccole cose e spazi semplici, ancorati alla tradizione e su misura d’uomo, sia ancora possibile.
Però, tale corrente architettonica, come dicevamo, ha avuto anche un impatto importante e positivo sull’autore. Infatti, la struttura dei due castelli più importanti di queste opere (il Castello Centrale di Nausicaä della Valle del Vento e quello in movimento de Il castello errante di Howl) rappresentano gli aspetti positivi dello spazio in continua mutazione che si adatta ai cambiamenti e alle necessità dei suoi abitanti.
Nel primo caso, la struttura “naturale” del castello ricorda molto i siti rupestri della Cappadocia e le sue città sotterranee, mentre il secondo porta questo concetto di evoluzione naturale a una tecnologia più vicina all’ambito steampunk, dove l’imponente casa mobile di Howl aumenta e diminuisce le sue dimensioni, spostandosi grazie alla potenza del vapore sprigionata da Calcifer. Va segnalato che in tutti questi film vengono mostrate anche le conseguenze legate all’abuso della tecnologia. Pestilenze, mostri, distruzione e guerra, che si riflettono nella desolazione dei villaggi, nelle strutture difensive del castello nel cielo e poi nella ricostruzione post conflitto di quel che resta del castello di Howl.
Film di riferimento: Nausicaä della Valle del Vento (1984), Laputa: Castello nel cielo (1986) e Il castello errante di Howl (2004)
Il legame tra mondo reale e quello immaginario
Uno dei temi cardine della filmografia di Miyazaki è la perdita dell’innocenza con l’ingresso nell’età adulta, dunque il distacco iniziale e il ricongiungimento finale tra mono reale e mondo fantastico, dove l’architettura immaginifica va a sovrapporsi e reinventare quella reale. Se ne Il castello errante di Howl, il protagonista vola nel corso dei suoi viaggi su città che sono allegorie di luoghi e architetture reali del centro Europa (qualcuno ha detto Gaudì?), ne Il mio vicino Totoro e ne La città incantata è la tradizione giapponese a fare da padrona quando si tratta di rappresentare l’innocenza dell’età infantile.
Partendo dalla terza pellicola, una volta entrata nel mondo fantastico, la protagonista Sen lavora in un bagno pubblico ispirato alla Dogonsen realmente esistente nell’isola di Shikoku, ma la sua rappresentazione nel film è tutt’altro che ancorata al mondo reale, se non fosse per l’aspetto esteriore. Nel Mondo degli Spiriti, infatti, tutto ricorda in parte quello reale, ed è proprio questo dualismo a costituire il cardine dell’intera narrazione, che porta alla graduale sovrapposizione dei due mondi man mano che la protagonista compie il suo percorso di crescita. Ma non sarà lo spazio a mutare, se non in termini di rappresentazione visiva dei colori, piuttosto è la percezione dello stesso che cambia da parte della ragazza.
Ne La Principessa Mononoke, il concetto base che vede il mondo reale sovrapporsi al mondo immaginario viene portato ancora più all’estremo, tornando parzialmente ai temi visti nel paragrafo precedente. Qui, non è lo spazio urbano in senso stretto , ma una foresta, dunque uno spazio sì antropizzato, ma dalla forte connotazione naturale. Tanto nel mondo reale l’uomo ha distrutto la natura per i propri finiespansione, produzione ed estrazione delle risorse, tanto nel film vengono violate le montagne (sacre nella sfera religiosa orientale) per trarre del ferro. Dunque, la foresta si fa architettura, come obiettivo di ricongiungimento tra uomo e spazio, in armonia e non contrapposizione con i personaggi e ciò che li circonda.
Con Il mio vicino Totoro, invece, è avvenuto un meccanismo quasi opposto rispetto agli altri visti fino a ora: oltre a trarre una naturale ispirazione dal mondo reale (l’intera zona è ispirata alla prefettura di Saitama), il design visto nel film è stato talmente potente in termini visivi da aver a sua volta costituito un’ispirazione per delle vere architetture, di case realmente realizzate nel nostro mondo. Tutti probabilmente ricorderanno i due personaggi principali del film Totoro e Gattobus ma a quanto pare sono in tanti a sognare (e alcuni a realizzare) un’abitazione tradizionale di campagna come quella vista nel film, per ricongiungersi alla natura e, magari, ad alcune creature magiche che la abitano.
Film di riferimento: Il mio vicino Totoro (1988), La Principessa Mononoke (1997) e La città incantata (2001)
La meschina ingegneria bellica e il Sublime del mondo naturale
Per Miyazaki è chiaro che la tecnologia se non ben utilizzata rappresenti il peggiore dei mali, come allo stesso tempo appare palese che la maggior parte delle cose legate alla natura siano – all’opposto – fonte di serenità.
In questi tre film, c’è una forte componente naturale che trasmette bellezza e una sensazione di estrema potenza: gli scorci sottomarini e i litorali di Ponyo sulla scogliera hanno una potenza incredibile, e la forza degli agenti atmosferici è qualcosa di tangibile sullo schermo. Parimenti, l’aspetto urbano ha un’influenza molto limitata sull’esperienza in confronto a tutto il resto, dunque ancora una volta il paesaggio ha un peso molto maggiore nei confronti dell’opera dell’uomo.
In modo non dissimile, anche in Porco Rosso e in Si alza il vento assistiamo al rifiuto dell’ingegneria bellica in favore di luoghi di pace e serenità, con due modi di vivere il mondo diametralmente distanti tra loro. Nel film degli anni Novanta, contrapposta alla bellezza pacifica degli scorci architettonici del mediterraneo c’è l’ombra della guerra che insegue un uomo (anzi, un maiale) dagli alti ideali. Nel secondo, invece, il progresso tecnologico dei nuovi arei appare sicuramente affascinante in termini di design, se visto fuori dal contesto bellico, ma nulla a confronto agli scorci del Giappone in fioritura e delle abitazioni tradizionali novecentesche.
Film di riferimento: Porco Rosso (1992), Ponyo sulla scogliera (2008) e Si alza il vento (2013)