Il 2017 è stato un anno scandito da numerose aperture museali degne di nota. La recente inaugurazione di Design Society si aggiunge al debutto del Musée Yves Saint Laurent Marrakech progettato dallo studio KO, al Louvre di Abu Dhabi firmato da Jean Nouvel, all’ampliamento del Victoria and Albert Museum curato dallo studio di Amanda Levete e al Tirpitz Museum di Bjark Ingels, in Danimarca, nato sulle ceneri di un bunker tedesco della Seconda Guerra Mondiale. Design Society si trova a Shenzen, nella Cina meridionale: è una nuova istituzione culturale nata dal sodalizio tra il China Merchants Group e il Victoria and Albert Museum di Londra. Situata nella provincia di Guangdong, Shenzen ha registrato nelle ultime tre decadi una crescita economica sostanziale e un’impennata nella crescita demografica, passando dai 30mila abitanti del 1980 ai quasi 12 milioni di oggi. Ribattezzata più volte come la nuova Silicon Valley, Shenzen si trova a una ventina di chilometri da Hong Kong e ha dato casa a svariate aziende hi-tech, tra le altre Huawei, il colosso della telefonia cinese, Tencent, l’azienda proprietaria di WeChat, e OnePlus, startup specializzata nella produzione di smartphone attiva dal 2013. Il progetto del centro è stato concepito dallo studio guidato da Fumihiko Maki e consiste in un podio e un padiglione, con tre volumi bianchi che seguono l’andamento morfologico: uno rivolto a sud in direzione dell’oceano, un altro a nord verso le montagne e un altro ancora verso il parco adiacente.
Design Society, molto più che un museo
In conversazione con lo scrittore, critico e curatore Ole Bouman: è lui a tenere le redini del nuovo hub culturale progettato da Fumihiko Maki a Shenzen, in Cina.
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- Alessandro Mitola
- 02 gennaio 2018
- Shenzhen
Più che uno spazio espositivo tradizionale, Design Society si configura come un hub che riunisce un museo, un teatro, una sala polifunzionale, una galleria privata, caffè, ristorante e numerose aree dedicate allo shopping, tra cui uno spazio dove acquistare le creazioni dei giovani talenti del design cinese. È uno spazio che nasce con la missione di attivare il design come catalizzatore sociale sviluppato su oltre 70mila metri quadri distribuiti su sei piani, che includono diversi spazi espositivi destinati ad accogliere più mostre in parallelo: Main Gallery, V&A Gallery, Park View Gallery, Shenzhen UCCN Exchange Center, Shekou Museum of Reform and Opening e Shenzhen Guanfu Museum. A inaugurare la stagione espositiva della Main Gallery è la mostra Minding the Digital, con il progetto dello studio olandese MVRDV, che come suggerisce il titolo si concentra sull’impatto della digitalizzazione nel campo della progettazione. In concomitanza va in scena Values of Design presso la V&A Gallery: un percorso espositivo che prende in esame il rapporto tra valori e design attraverso più di 250 oggetti della collezione permanente V&A. E il futuro? Di questo e molto altro ne parliamo con Ole Bouman, scrittore, critico e curatore oggi alla guida di Design Society.
Design Society è una nuova meta culturale che si prefigge di essere un incubatore del futuro. Qual è la sua formula?
È una meta culturale e al tempo stesso una proposta. Accoglie mostre, eventi, negozi, punti di ristoro e una vista mozzafiato. In un certo senso il punto di contatto è il design inteso come generatore di esperienze. C’è l’ambizione di fare molto più che illustrare ciò che è già stato progettato. Vogliamo ispirare i designer e i cittadini a sognare, connettersi e confrontarsi. Al di là del risvolto culturale abbiamo la necessità di sperimentare e fare in modo che la generazione di oggi segni la propria storia.
Come viene decisa la programmazione di Design Society?
Le mostre sono concepite come un quadro più ampio per Design Society. Sono la porta d’accesso ai diversi capitoli della storia del design. Mostrano la forza del design come traguardo. E sono uno strumento di confronto per gli addetti ai lavori. L’idea è di mettere insieme appuntamenti di alta qualità e prenderci il rischio di scaturire un dibattito.
Secondo lei, in che modo internet ha cambiato il ruolo delle istituzioni museali?
La trasformazione è ancora molto lontana dall’essere completa. Pensiamo per un momento a quando si entrava in un museo senza smartphone in tasca. Ci si trovava faccia a faccia con l’arte. Oggi sarebbe davvero una cosa rara, le nostre esperienze culturali sono diventate molto più superficiali. Non è abbastanza presentare un lavoro, deve necessariamente esserci un’interazione con l’opera stessa. Bisogna essere accattivanti. In un certo senso il museo non è più una semplice destinazione, ma un ambiente temporaneo in cui la realtà dei collegamenti ipertestuali prende forma. In qualità di direttore, credo debba essere considerata come un’opportunità per lasciare un segno indelebile nella vita delle persone, che non si cancella una volta varcate le porte dell’edificio. La curatela è diventata come la coreografia, la drammaturgia, come l’esperienza progettuale.
Il tema della socialità non è secondario. Design Society è pensato anche come spazio di confronto e incontro.
È nello spirito di Design Society. Siamo una piattaforma pensata per mettere in connessione la Cina con il resto del mondo, ma anche design e società, talenti e opportunità, e creatività e concretezza, genio e realtà.
Come è organizzata la sua giornata al museo?
Attualmente è in fase embrionale, siamo ancora in procinto di stabilire tutti i protocolli operativi del museo. Ma la cosa più importante, in questa fase, è che la quotidianità diventa un concetto molto relativo. Design Society supera ogni forma di routine.