Le cose con l’intelligenza “dentro”, dagli antichi automi a ChatGPT

Dai miti alla cultura popolare di oggi, il tentativo di creare macchine intelligenti e pensanti riflette una delle nostre aspirazioni più profonde dell’umanità.

Da Pigmalione che infonde la vita nella sua statua di marmo a Rabbi Loew che plasma il Golem dall'argilla per proteggere il suo popolo, passando per gli esperimenti del dottor Frankenstein: l'umanità ha a lungo sognato di dotare una creatura artificiale di coscienza, intelligenza e - perché no - di un’anima.

È questa una fondamentale ambizione umana che si è manifestata nei secoli in varie forme, dagli ingegnosi automi di Erone di Alessandria alle meraviglie meccaniche dell'epoca illuminista, come l'anatra di Vaucanson, capace di ingerire cibo, digerirlo e defecarlo. Il famosissimo Mechanichal Turk, il Turco Meccanico capace di battere a scacchi pure Napoleone, si rivelò essere un’elaborata bufala ma solo dopo aver ammaliato mezzo mondo. Aveva catturato perfettamente lo zeitgeist di un'epoca in cui la possibilità di una macchina con un'intelligenza e una sensibilità simili a quelle umane appariva giusto come un altro traguardo possibile delle magnifiche sorti e progressive dell’umanità.

Jean-Léon Gérôme, Pigmalione e Galatea, 1890

La letteratura e il cinema hanno esplorato questo tema a più riprese. Frankenstein di Mary Shelley (1818), ispirato al mito di Prometeo che ruba il fuoco, può essere visto anche come un avvertimento sui rischi della creazione di vita artificiale. Un secolo dopo Rossumovi Univerzální Roboti o R.U.R. (Rossum's Universal Robots) di Karel Čapek, l'opera che ci ha dato la parola “robot”, ha applicato lo stesso concetto alla luce delle nuove inquietudini socio-politiche del 900.

Quando Stanley Kubrick introdusse HAL 9000 in “2001: Odissea nello spazio”, alla fine degli anni Sessanta, il tema si sposò alla perfezione con il simbolismo dell'era spaziale, ma gli archetipi fondamentali da cui muove la storia rimasero gli stessi. Il film di Kubrick è seminale nel modo in cui riuscì a definire nell’immaginario collettivo il “trope” dell'intelligenza artificiale che si ribella al suo creatore. L’occhio elettronico pulsante di HAL e il suo rifiuto di aprire i portelloni della navicella spaziale è ancora oggi il simbolo del pericolo insito nella creazione di macchine senzienti e dotate di intelligenza propria.
 


Nella realtà della scienza il percorso dello sviluppo tecnologico verso le intelligenze sintetiche ha seguito direzioni differenti. Le semplici ma convincenti capacità di conversazione di Eliza fecero inevitabilmente scalpore quando il chatbot fu lanciato negli anni Sessanta, così come Shakey, robot deambulante creato a Stanford tra gli anni 60 e 70 che era capace di “ragionare” sulle proprie azioni e prendere decisioni semi-autonome. Nonostante i migliori sforzi dei ricercatori, però, la promessa dell’intelligenza artificiale non fu mantenuta abbastanza rapidamente.

Frankenstein di Mary Shelley, ispirato al mito di Prometeo che ruba il fuoco, può essere visto anche come un avvertimento sui rischi della creazione di vita artificiale.

Le aspettative disattese (e una serie di promesse esagerate) risultarono in quello che è comunemente noto come l'inverno dell'intelligenza artificiale, l’AI Winter: tre decenni (fino all’inizio del nuovo secolo, più o meno) durante i quali i finanziamenti, l'interesse e la ricerca sull'intelligenza artificiale sono diminuiti drasticamente. Persino la maestria negli scacchi di Deep Blue alla fine degli anni Novanta non fu sufficiente a risvegliare la ricerca sull’AI dal suo torpore. Del resto il supercomputer di IBM funzionava grazie al calcolo “brute force” di combinazioni scacchistiche che sull’AI vera e propria.
 


Il primo segnale della fine dell’AI Winter si è avuto solo una quindicina di anni fa, con la confluenza di vari fattori: la disponibilità dei big data e la loro raccolta via Internet, l’aumento della potenza di calcolo e le conseguenti nuovi scoperte nel campo dell'apprendimento automatico e delle reti neurali. Questo nuovo approccio all'IA, che si concentra sull'apprendimento da grandi quantità di dati piuttosto che su regole pre-programmate, si è rivelato rivoluzionario, e ha riacceso la nostra ossessione millenaria con l’intelligenza sintetica.

Non è detto che l'intelligenza delle macchine debba necessariamente rispecchiare la cognizione umana, ma piuttosto potrebbe integrarla o superarla in modi fondamentalmente inaspettati.

Quando nel 2016 AlphaGo di DeepMind sconfisse Lee Sedol in una storica partita di Go grazie alla potenza del suo algoritmo di apprendimento profondo (deep learning), il campione coreano descrisse la sua esperienza come se avesse giocato contro “qualcuno proveniente da un pianeta completamente diverso”. Si trattava di un'intuizione cruciale: non è detto che l'intelligenza delle macchine debba necessariamente rispecchiare la cognizione umana, ma piuttosto potrebbe integrarla o superarla in modi fondamentalmente inaspettati.

Oggi, mentre i modelli linguistici e i sistemi AI diventano sempre più sofisticati, ci troviamo a un crocevia affascinante in cui la scienza sembra finalmente in grado di mettersi al passo con secoli di immaginazione e fantascienza.

La nostra gallery è così un’antologia cronologica che prova a raccontare i punti salienti dell’innata e troppo umana aspirazione a surrogare e automatizzare l’intelligenza al di fuori dell'evoluzione biologica, siano essi conquiste scientifiche, invenzioni oppure opere e personaggi di finzione.

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