Prima gli studi al Politecnico di Milano, poi il Giappone, oggi Hong Kong. La vita del designer Andrea Ponti, classe 1985, è un lungo trait d’union fra l’Italia e l’Asia. Con il suo Ponti Design Studio, fondato nel 2013 nella metropoli sul Mar Cinese Meridionale, ha lavorato a progetti di design industriale per Panasonic, Philips, Samsonite, Oppo, e ha raccolto importanti riconoscimenti (iF Design Awards, Red Dot Design Awards e Good Design Awards). A Domus racconta che cosa significa, oggi, unire lo spirito italiano e quello asiatico in un settore in perenne evoluzione come quello del design industriale, in particolare di prodotti tecnologici. E soprattutto quali cambiamenti si aspetta per la sua Hong Kong, che oggi attraversa un periodo travagliato, tra le proteste degli attivisti, la risposta dura della Cina e le conseguenze della pandemia da Coronavirus.
Essere un designer italiano a Hong Kong, oggi
Una conversazione con Andrea Ponti, fondatore di Ponti Design Studio, designer industriale che ha trovato la sua dimensione in Asia, fra il Giappone e Hong Kong, unendo l’eleganza italiana ai valori estetici dello stile asiatico.
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- Andrea Nepori
- 11 agosto 2020
Dove e quando è nata l’idea di aprire uno studio ad Hong Kong?
Nel 2012 abitavo a Kyoto e lavoravo nello studio del designer Junzo Yamashita. Avevo vinto il primo premio ad un concorso internazionale organizzato da LG e dopo aver trascorso quasi sette anni in Giappone, era arrivato il momento di rimettermi in gioco e fare il passo successivo, e ho scelto Hong Kong.
L’esperienza a Kyoto è stata un’ottima scuola: ho imparato a disegnare partendo da forme geometriche elementari e utilizzando materiali naturali quali il bambù, la ceramica, la carta washi, la lacca urushi. Il tutto lavorando a contatto con gli artigiani del posto, esclusivamente in lingua giapponese.
Dopo qualche anno, mentre pensavo alla libera professione e a un riavvicinamento al prodotto industriale, ho iniziato ad esplorare il rapporto fra design e tecnologia. Qui a Hong Kong ho trovato un ambiente estremamente dinamico e multiculturale, dove ho potuto esprimere appieno il mio linguaggio progettuale. Oggi lo studio si trova a Sheung Wan, zona estremamente vibrante, dall’atmosfera informale, a pochi passi da Central (il distretto finanziario) sull’isola di Hong Kong.
Cosa significa per te fare design industriale di un prodotto tecnologico nel 2020?
Nei lavori di Ponti Design Studio uniamo sempre la componente tecnologica a un linguaggio formale ricercato. Il risultato sono prodotti come Matrix PowerWatch, uno smartwatch alimentato unicamente dal calore corporeo e che per questo non ha bisogno di essere ricaricato. E’ stato una rivoluzione nel campo dei prodotti indossabili e degli orologi. Oppure Samsonite Evoa, una collezione di valigie in cui è il materiale stesso ad essere tecnologico. Policarbonato antigraffio, estremamente leggero e resistente, dalla finitura spazzolata opaca. E’ diventato da subito un best seller in Asia grazie a un design moderno ed elegante.
Come è cambiato il settore del design in Asia da quando hai iniziato?
L’interesse verso il design è cresciuto notevolmente negli ultimi anni, non solo ad Hong Kong ma in tutto il continente asiatico. La comunità di designer locali è molto attiva e nuovi centri d’arte e design come West Kowloon Cultural District, M+, Tai Kwun e PMQ non esistevano fino a qualche anno fa. Città come Shanghai, Bangkok, Taipei e Seoul sono inoltre diventati hub culturali estremamente vivaci. Il design italiano, così come quello nipponico, sono molto apprezzati e in continua ascesa.
Quanto conta l’eredità del design italiano nel tuo lavoro e quanto invece l’influsso asiatico?
Ho lasciato l’Italia ai tempi dell’università, circa 15 anni fa. La formazione al Politecnico di Milano è stata fondamentale, ma non avendo mai lavorato in Italia sono cresciuto osservando progetti e designer da tutto il mondo. Nonostante questo penso che nel mio lavoro ci sia una forte identità Italiana, che va ben oltre il concetto di forma o stile. Come studio ci ispiriamo molto al design italiano, in particolare a quello degli anni ’60-70, ma abbiamo scelto un linguaggio volutamente più minimale e universale, forse più filo-asiatico. Questo per andare incontro ad una clientela estremamente varia e internazionale, ma anche per la tipologia stessa dei prodotti che disegniamo. Parte del nostro successo è proprio dovuto al fatto di essere riusciti a coniugare questi due linguaggi, italiano e asiatico, in particolare giapponese, in qualcosa di ibrido, unico e universale. Ogni prodotto che disegniamo ha un forte legame, sia con l’Italia, sia con il Giappone e l’Asia.
Prima il Giappone, poi Hong Kong: cosa cambia nella vita di un designer, passando dalla cultura nipponica a quella cantonese, e più in generale cinese?
In Giappone ho avuto modo di affinare il mio linguaggio progettuale a contatto con un mondo del design molto diverso da quello Italiano, quasi un mondo parallelo. Il legame con questo paese è ancora molto forte e ho avuto la fortuna di sposare una ragazza giapponese che mi segue e mi supporta in ogni progetto.
Ad Hong Kong ho invece scoperto il lato più pragmatico del lavoro di designer. Essere vicini al luogo in cui avviene la produzione industriale (Shenzhen e la provincia del Guangdong, nella Cina meridionale) è sicuramente un grande vantaggio. Specialmente lavorando su prodotti tecnologici e di alta gamma, dove riuscire a seguire la fase di sviluppo e di produzione permette di avere pieno controllo sul prodotto finale.
Ho scelto Hong Kong per tanti motivi. Forse quello più importante è l’estrema facilità di entrare in contatto con nuove persone, di poter discutere di qualsiasi nuovo progetto (si parla e lavora quasi unicamente in inglese). E ancora la posizione strategica, ma anche il fascino di una città così moderna e multiculturale.
Pensi che questo sarà ancora vero, alla luce delle proteste e delle misure prese da Pechino per contenerle, come la nuova legge sulla sicurezza nazionale?
Penso che il design sia un linguaggio universale che va ben oltre le differenze politiche e ideologiche. Abbiamo da sempre cercato di non prendere una posizione, di essere neutrali e imparziali nei giudizi.
Tuttavia, questa situazione instabile ha causato diversi disagi e ha avuto un impatto negativo sul fatturato dell’ultimo anno. Tanti progetti sono stati posticipati o addirittura cancellati, e anche la design week di Hong Kong (BODW 2019) non si è potuta tenere. Nel momento in cui la tensione sembrava calare, la pandemia ha reso la situazione ancora più complicata. La nuova legge sulla sicurezza nazionale non dovrebbe avere alcun impatto sulla nostra vista personale e professionale. Nonostante sia un periodo incerto e la tensione sia ancora piuttosto alta, siamo ottimisti e concentrati sul 2021 per metterci alle spalle gli avvenimenti dell’ultimo anno.
Anche il ruolo strategico di Hong Kong, come città-ponte fra l’Occidente e la Cina, rimarrà immutato?
Penso che la posizione strategica di Hong Kong non sia in discussione, tantomeno la sua cultura ed il suo spirito. Al contrario, penso che dai periodi complicati, come quello che stiamo vivendo, possa emergere un nuovo spirito critico e creativo. Questa pausa forzata, dovuta alla pandemia, è stata l’occasione giusta per prendere una boccata di ossigeno e ripensare il sistema produttivo. Sono sicuro Hong Kong sarà rialzarsi e riaffermare la sua centralità nel panorama del design internazionale.
Come ha influito, sul vostro lavoro, quello che chiami lo spirito di Hong Kong?
Hong Kong è fonte di ispirazione quotidiana. Abbiamo creato diversi prodotti che raccontano particolari aspetti della città e della sua cultura.
Kanban, ad esempio, è un tavolino in acciaio e cemento che si ispira alle vie trafficate di Kowloon. Il prodotto ha una struttura asimmetrica che ricorda le grandi insegne pubblicitarie sospese. Oppure Shadows in the Windows (Salone del Mobile 2017, Superstudio) una serie di sedute astratte che raccontano il tema della densità urbana attraverso una metafora.
Da poco abbiamo presentato Island (qui l’articolo di Domus), il concept di un tram senza conducente a due piani progettato per la città di Hong Kong nell'era post-Covid. Il nome Island deriva dal particolare design degli interni, in cui grandi sedute circolari ad isola favoriscono il distanziamento sociale: i passeggeri infatti siedono a raggiera rivolte verso l’esterno e dandosi le spalle.
Island è un concept che tocca diversi aspetti del design, dal prodotto al paesaggio urbano. Rappresenta proprio lo spirito della città di Hong Kong, sempre rivolto al futuro, e propone una nuova idea di trasporto pubblico in cui il concetto di distanziamento fisico è già superato. E’ un progetto ad ampio raggio che spazia dal disegno industriale al paesaggio urbano, affrontando tutta una serie di tematiche estremamente attuali come l’integrazione di nuove tecnologie nel mondo dei trasporti, la necessità di ripensare gli spazi comune e di aggregazione, la necessità di far ripartire il turismo e l’economia.
Poi ci sono altri progetti in cui questo spirito è meno visibile, ma sempre presente. Penso che sia un pò di Italia, Giappone e Hong Kong in tutti i prodotti che disegniamo.
Come avete vissuto la prima fase della pandemia, e che effetti ha avuto sul vostro lavoro?
La pandemia ha portato dei cambiamenti nelle nostre abitudini quotidiane, ad Hong Kong così come nel resto del mondo. Non abbiamo vissuto un vero lockdown come in Italia, ma al momento stiamo affrontando una terza ondata di Corona virus. La situazione politica ha avuto un impatto decisamente inferiore sulla nostra quotidianità.
Come studio, abbiamo reindirizzato buona parte delle nostre risorse nel design di nuovi prodotti per fare fronte all’emergenza causata dal COVID-19. Siamo molto attivi in questo campo, e riceviamo molte richieste in questo periodo. Il disegno industriale può davvero fare la differenza e permettere di poter tornare alla normalità nel più breve tempo possibile. Al momento stiamo sviluppando diversi robot per la decontaminazione di luogo pubblici quali treni, alberghi, scuole e ospedali. E ancora prodotti per la prevenzione, la diagnosi e la cura della malattia.