Da quando è stato inaugurato nel 2007, come polo della creatività, il 21_21 Design Sight di Tokyo ha ospitato numerose mostre: dalla presentazione di temi e di personaggi molto particolari a prospettive più didattiche e ludiche sugli intrecci tra società e design, aprendo talvolta dibattiti e suggestive proposte alternative.
The Fab Mind
Riunendo i lavori di 24 gruppi di designer e artisti, la mostra al 21_21 Design Sight di Tokyo rivaluta l’homo faber, raccontando le storie di fabbricazione che stanno dietro un progetto.
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- Rafael Balboa, Ilze Paklone
- 17 novembre 2014
- Tokyo
La mostra ora in corso, intitolata “The Fab Mind”, non cerca né di discutere né di dare risposte, ma piuttosto di offrire “spunti di futuro” affrontando gli aspetti più ampi e fondamentali della fisionomia del design di oggi. In questo senso, l’autoproduzione è qualcosa di primitivo quanto uno strumento preistorico, una condizione intrinseca che riguarda la stessa condizione dell’uomo. Il ruolo sociale del design nella cultura contemporanea affida alle mani dei designer una grande responsabilità, in una combinazione che riguarda allo stesso modo tanto l’uomo quanto gli oggetti e la cultura, al cui centro rimane comunque la produzione materiale.
Noriko Kawakami, giornalista e condirettore del 21_21 Design Sight, ha scelto, insieme con il curatore d’arte e design di Stoccolma Ikko Yokoyama, 24 gruppi di artisti e designer. In ciascuna delle opere presentate, i curatori hanno dato voce alle prassi individuali, facendo raccontare al progetto la particolare storia che gli sta dietro e mettendo in mostra una multiforme costellazione d’idee, luoghi e materiali che si sovrappongono a circostanze sociali e strategie di progetto particolari.
I primi quattro pezzi introduttivi dell’esposizione, secondo il curatore Ikko Yokoyama, fanno da spunto al messaggio principale. Già la PET Lamp, il progetto di consapevolezza ambientale varato da Alvaro Catalán de Ocón, è un’indagine sull’artigianato di tradizione di tutto il mondo, in cui le bottiglie di polietilene vengono trasformate in lampade. Il progetto è uno spunto sul design contemporaneo, che nasce da soluzioni progettuali semplicissime e che per realizzarsi non richiede necessariamente l’uso di tecnologie di alto livello. Yokoyama sottolinea che il futuro del design non coinciderà con la produzione in serie ma si realizzerà sulla base di esigenze individuali. Il progetto Story Vase riecheggia questa consapevolezza raccontando storie personali di donne che non sanno leggere né scrivere, ma la cui competenza artigianale ‘parla’ attraverso i messaggi relativi alla loro storia personale inscritti in recipienti di vetro.
Il secondo spunto, sulla parete dell’atrio, sta nella rotazione delle lancette di numerosi orologi che ritmano il lavoro dei designer Humans Since 1982: A Million Times, dove per un brevissimo istante le lancette si sincronizzano creando configurazioni leggibili. Yokoyama spiega che l’opera rappresenta l’interazione delle persone nell’èra dell’ubiquità dei big data e della progressiva scomparsa delle culture tradizionali.
“Il design deve essere critico e raccontare una storia che accresca la consapevolezza del modo in cui si costruisce il pensiero condiviso e del modo con cui si entra in rapporto con ciò che ci sta intorno”, commenta Yokoyama. Perciò, sulla parete di fronte, il terzo spunto è quello offerto da Slogans for the Early Twenty-First Century, collezione di frasi in formato manifesto di Douglas Coupland, autore del celebre romanzo Generazione X.
Le sale principali sono precedute da un quarto, raffinato spunto, memore dell’attenta tradizione giapponese dello tsukuroi: l’antica arte di riparare la ceramica spezzata con lacca mista a polvere d’oro (kintsugi) o d’argento (gintsugi). Ci rammenta l’importanza del progetto in quanto agente di consolidamento non solo fisico ma sociale. Nella prima sala l’opera di Makoto Orisaki Line Works – The world changes when you draw lines differently (“Linee: quando si tracciano linee differenti il mondo cambia”) rappresenta l’idea di ‘collegamento’ e parla della parte importante che il progetto ha avuto nel dare soluzioni creative a problemi complessi.
La seconda, e più grande, delle sale principali è un percorso che va da un luminoso spazio aperto, dove sono esposti oggetti relativi al progetto a basso contenuto tecnologico, a una zona a luce attenuata, in fondo alla sala, dove vengono presentate strategie progettuali più orientate alla tecnologia. Come introduzione alla sala principale Sweaters by Loes (“I maglioni di Loes”), di DNA Charlois & Christien Meindertsma / Wandschappen presenta oltre 500 minuscole foto di indumenti a maglia creati nell’arco di 60 anni e ritrovati per caso dal Rotterdam Museum. Il progetto Living Archive (“Archivio vivo”) della designer esperienziale Josefin Vargö è collocato al centro della sala e registra la tradizione, cge sta scomparendo in tutto il mondo, della preparazione del lievito, in un’allusione al progetto del sapere intangibile. Anche i lavori del celebre fotografo giapponese Takashi Homma Camera Obscura Study. Aoyama-Roppongi, building by building (“Uno studio sulla camera obscura. Aoyama-Roppongi edificio per edificio”) comprende una serie di fotografie che evocano un’esperienza quasi cinestesica, in cui il corpo diventa un’estensione della macchina fotografica.
Alcuni spunti sul lavoro di gruppo e su visioni del futuro ispirate al dato tecnologico sono presenti nell’opera di un gruppo internazionale di scienziati e artisti che si sono riuniti per la prima volta per realizzare il progetto ALMA Music Box: Melody of a Dying Star (“Il carillon dell’ALMA: melodia di una stella che muore”), che trasforma in suoni udibili grandi quantità di dati provenienti da miliardi di anni luce di distanza. Il progetto Professional Sharing (“Condivisione professionale”) di Yosuke Ushigome vede nella condivisione dell’energia come mestiere un possibile sbocco professionale futuro, grazie a un’apparecchiatura indossabile in grado di scambiare l’energia prodotta dal corpo. Nell’idea di amplificare le capacità del corpo attraverso delle protesi quest’opera si ricollega alle foto di Homma. Anche Shenu: Hydrolemic System (“Shenu: sistema idrolemico”) di Takram Design Engineering parla di cambiamento nell’adattamento del corpo all’ambiente circostante, presentando un nuovo essere umano ‘prostetizzato’ appartenente a un futuro lontano cinquecento anni, caratterizzato dalla limitazione delle risorse e dall’inquinamento dell’ambiente.
La mostra si conclude con due opere che una volta di più ricordano la coesistenza parallela di artigianato e tecnologia. Can City (“Città in scatola”) di Studio Swine consiste in un’attrezzatura produttiva portatile a bassa tecnologia per il riciclo del rifiuti come nuovi oggetti di design. A contrasto l’ubiquità delle attrezzature tecnologiche di sorveglianza nel prossimo futuro, analizzata nel Drone Aviary (“Aviario di droni”) di Superflux (2014), chiude la mostra mettendo in discussione l’etica dell’immensa estensione delle capacità umane. E infine Spook of Telescope / Long Telescope (“Telescopio spia, telescopio lungo), di Maki Onishi + Yuki Hyakuda e o + h Japan, Offre al visitatore un punto di vista differente per osservare la mostra, dove la nuova esperienza di ‘sbirciare’ vuol essere giocosa ma fa riflettere sulla tendenza ad accettare per buono tutto quel che si vede.
Nel titolo “The Fab Mind”, Fab vuole indicare l’occasione di rivalutare la nostra natura al di là dell’homo faber – o piuttosto dell’homo usus – immerso in culture dove inevitabilmente si è costretti a interagire ogni giorno con migliaia di oggetti ma raramente si conoscono le storie di fabbricazione che stanno dietro il loro progetto. Come bene ha detto il celebre designer giapponese Kenya Hara, il design non è solo espressione di sé e ha sostanzialmente le sue radici nella società.
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fino al 1 febbraio 2015
The Fab Mind
21_21 Design Sight, Tokyo