"Il ruolo dell'artista sta nell'anticipare l'eterno moto delle emozioni, nell'esprimere il rapporto segreto tra l'uomo e l'universo."
Jean Badovici
Secondo Cloé Pitiot, curatrice della mostra "Eileen Gray" aperta al Centre Georges Pompidou, Gray non era né designer né architetto, né pittrice. Era semplicemente un'artista, una creatrice totale, che esprimeva la sua sensibilità nello spirito della Gesamtkunstwerk, dell'opera d'arte totale.
Nei 98 anni della sua vita (1878-1976) l'irlandese Gray navigò tra Art Déco e architettura modernista. Iniziò la carriera studiando pittura alla Slade School of Fine Art di Londra, per scoprire più tardi l'arte della lacca, cui pure si dedicò in Gran Bretagna. Nel 1902 si trasferì a Parigi per rimanervi per la maggior parte della vita. Qui si sarebbe lentamente spostata dal bidimensionale al tridimensionale, progettando, producendo e vendendo mobili oltre che lavorando a progetti d'architettura d'interni. Nel 1922 aprì la sua galleria, la Galerie Jean Désert, in rue du Faubourg Saint-Honoré. Secondo questa donna modernissima, una delle prime in Europa a guidare l'auto, usare uno pseudonimo maschile rendeva accettabile l'idea di una galleria interamente gestita da una donna. Pochi anni più tardi, incoraggiata da un amico, l'architetto e urbanista romeno Jean Badovici (Pitiot insiste nel respingere le voci di una storia sentimentale tra i due) Gray superò la mera decorazione e studiò architettura da autodidatta.
Eileen Gray al Centre Pompidou
Con una selezione di opere riunite per la prima volta, la mostra curata da Cloé Pitiot presenta Eileen Gray come un'artista, una creatrice, che esprimeva la sua sensibilità nello spirito della Gesamtkunstwerk, dell'opera d'arte totale.
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- Léa-Catherine Szacka
- 14 marzo 2013
- Parigi
Dimenticata alla fine degli anni Trenta, Eileen Gray venne riscoperta nel 1968, quando lo storico e critico dell'architettura Joseph Rykwert scrisse un articolo elogiativo sulla sua opera sulle pagine di Domus. [1] E tuttavia oggi Gray resta una figura sottovalutata e poco indagata del Modernismo. È proprio questo il motivo per cui il Centre Pompidou ha deciso di renderle omaggio allestendone la prima retrospettiva in Francia. In precedenza mostre monografiche erano state organizzate dal Royal Institute of British Architects nel 1973 e dal Victoria and Albert Museum nel 1979 (mostra poi passata nel 1980 al Museum of Modern Art di New York). Ma sulla vita e sull'opera di Gray da allora molte nuove prospettive sono state formulate.
La mostra attuale offre una scenografia discreta e immediata, di taglio cronologico, poiché, come spiega Pitiot, "la maggior parte del pubblico non sa nulla di Eileen Gray". La varietà dei documenti esposti (mobili, tappeti, modelli d'architettura e disegni – alcuni dei quali acquisiti dal dipartimento d'Architettura del Centre Pompidou –, corrispondenza e altri materiali d'archivio, molti dei quali provenienti da collezioni private di tutto il mondo) costituisce un insieme ricco ed eteroclito. I pezzi d'arredamento di Gray, nessuno dei quali prodotto in serie, sono esposti come oggetti rari. Alcuni (come le tre sedie Transat, molto simili, due delle quali di proprietà di collezionisti privati, la terza nelle collezioni del Centre Pompidou) sono stati riuniti in occasione della la mostra.
Benché la mostra non sia affatto audace per organizzazione spaziale e modalità espositive, l'allestimento è comunque convincente: le fotografie di interni a grandezza naturale riprodotte a piena parete danno il senso della collocazione dei mobili negli interni. Sono anche esposti oggetti interessanti, tra cui il prototipo e la versione finale dei tipici paraventi Brick Screen d'impeccabile lacca nera, uno dei pezzi più emblematici dell'opera di Gray. Sono pure esposti pezzi originali, come i disegni decorativi per tappeti ritrovati dalla curatrice in casa di un collezionista privato.
Tra i progetti d'architettura esposti ci sono la celebre Villa E 1027 di Roquebrune (creata da Gray e Badovici), la residenza della stessa Gray – Tempe a Pailla – sulle alture di Mentone, e la Villa Lou Pérou, l'ultima casa di Gray. Molti progetti d'architettura – come la Maison Ellipse del 1936, forse ispirata dall'incontro con Frederick Kiesler di due anni prima – non fanno parte, a stretto rigore, della mostra. Tuttavia si può cogliere il senso di questi altri progetti d'architettura trovando il tempo di consultare il notevole repertorio dei progetti architettonici più tardi, disponibile alla fine della mostra sotto forma di proiezione di immagini. Nonostante il grande ritratto di Gray che apre la mostra, opera della fotografa americana Berenice Abbott (uno dei pochissimi ritratti di Gray che restano), l'allestimento di mille metri quadrati, per altro ricco di documentazione, purtroppo non illustra granché della vita personale di Gray. E neppure documenta in qualche modo il contesto storico in cui è cresciuta (soprattutto in Francia). Una pecca che si può spiegare con il fatto che Gray in realtà diede alle fiamme gran parte del suo archivio personale, lasciando intorno alla sua persona un'aura di mistero.
A differenza di "Marcel Breuer: Design & Architecture" alla Cité de l'architecture et du patrimoine, la retrospettiva di Gray del Centre Pompidou presenta una selezione di opere riunite per la prima volta. Come ricorda Pitiot, tra Breuer e Gray non ci furono rapporti. E tuttavia in modo analogo le due mostre – non coronate dallo stesso successo – mirano a ricreare un insieme, mostrando l'intera produzione di una specifica personalità del Modernismo, più che a classificarne il lavoro in arte, design e architettura. Eileen Gray finisce con una selezione di dipinti dell'artista, un aspetto della sua opera raramente esposto al pubblico. I dipinti sono un omaggio alla sensibilità interiore di Gray e al suo costante intento di adattare l'ambiente al corpo umano.
1. Cfr. Joseph Rykwert, "Un omaggio a Eileen Gray, pioniera del design", Domus, dicembre 1968, pp. 33-46.