Questo articolo è stato pubblicato su Domus 965, gennaio 2013
Una biografia critica della "casella di social mail" di BERG
Little Printer è un prodotto di oggi. Un oggetto tangibile, ma anche un prodotto, ovvero una conseguenza, della cultura contemporanea. Esemplifica, in modo amichevole e accessibile, il processo di amalgama grazie al quale fisico e digitale diventano uno, creando oggetti ibridi. Mostra come questi due aspetti possano legarsi in una rete di connessioni, ma anche come potrebbero presto comportarsi molti prodotti domestici. Parla, infine, di un aspetto del processo del design contemporaneo, ed è proprio su questo che ci concentreremo. Forse a causa del suo innato talento nel rendere manifesta la promessa di ibridi digitali/fisici in maniera così naturale, Little Printer è già stata ampiamente oggetto di studio. Tuttavia, l'iter progettuale e la cultura da cui emerge sono forse meno noti. Tanto che, in realtà, questo potrebbe essere l'aspetto più interessante della vicenda. Senza dubbio, Little Printer se ne andrà così com'è arrivata e, in quanto premessa odierna ai prodotti di domani, verrà sostituita da una o da numerose tra le possibilità correlate che suggerisce. Ma questa è la natura del settore. Indubbiamente un prodotto dei nostri tempi, Little Printer è anche il risultato di oltre cinque anni di ricerca e sviluppo, una flebile linea che unisce il blocco per gli schizzi con il reparto produzione, il college con la startup, Hackney con Shenzhen. Domus ha parlato con Jack Schulze, uno dei responsabili di BERG, l'azienda londinese che la produce, nel tentativo di far luce tanto sul prodotto quanto sul processo di progetto.
Blocchi per schizzi, annotazioni
Se proprio vogliamo cercare un luogo di nascita per Little Printer, dobbiamo guardare ai blocchi per schizzi di Schulze e al post di Matt Webb My printer, my social letterbox ("La mia stampante, la mia casella di social mail", 6 ottobre 2006): i primi risalgono ai giorni in cui Schulze studiava al Royal College of Art , dove si è reinventato come product designer piuttosto che come grafico (in precedenza aveva studiato al Central Saint Martins College of Art and Design). Tale armonica transizione dal piano grafico a quello del prodotto si rivela immediatamente istruttiva, e ci parla anche della situazione odierna. Un'idea come quella di Little Printer nasce infatti da ambizioni legate al mondo dei prodotti e delle esperienze fisiche, ma anche da uno sfondo formato dallo schermo del computer, un retroterra narrativo e grafico. Pensando al 2013, questa è una posizione perfettamente naturale, ma rappresenta ancora una sfida per molte istituzioni—si tratti di scuole o di media—, strutture orientate a una particolare disciplina, che potrebbero ostacolare progetti di questo tipo così come talvolta invece li agevolano. Mentre la grafica e l'impaginazione sono forme di design fondate su sistemi consolidati, su una particolare tendenza, pochi graphic designer sono incoraggiati a spostarsi facilmente dall'impaginazione a un design industriale basato su procedure di codifica.
Mentre parliamo con Schulze guardando questi vecchi schizzi, ci accorgiamo che i suoi punti di riferimento—forse per effetto della fluidità di influenze—tendono a essere basati su formati narrativi consueti, piuttosto che su oggetti. Questo, se non altro, potrebbe essere un principio organizzativo cardine nel lavoro di BERG. Se Matt Webb dice che "qualsiasi cosa viene trasformata dalla Rete", un'altra traiettoria—che forse corre parallela o forse rappresenta l'altro lato della stessa medaglia—è rappresentata dall'attenzione alla narrativa, al comportamento, che identifica un carattere nella tecnologia. Ciò avviene in parte attraverso la Rete, ambito nel quale i rapporti sociali e culturali sono ora presenti, tangibili e malleabili, inseriti e incorporati in prodotti che rappresentano un ibrido di fisico e digitale; ma avviene anche attraverso la constatazione di come il design possa immettere significato in relazioni altrimenti utilitaristiche e operative tra cose e persone, oltre la semplice personificazione—le ciglia di una Citroën, i cavatappi di Mendini. Senza voler esagerare, si tratta probabilmente di qualcosa che si avvicina a un senso di animismo in oggetti e fenomeni. Più semplicemente, è possibile articolare la differenza in termini di carattere tra un fax e un modem, un vecchio telefono a muro e uno smartphone, una macchina per scrivere e un touchscreen? Altrettanto significativo, comunque, è che non si possa negare l'influenza dei fumetti e della fantascienza sui prodotti BERG: in particolare, quella forma tipicamente britannica di sci-fi comune a prodotti come 2000 AD, The Hitchhiker's Guide to the Galaxy, Watchmen e via discorrendo.
Little Printer: a portrait in the nude
Indubbiamente un prodotto dei nostri tempi, Little Printer è anche frutto di oltre cinque anni di ricerca e sviluppo. Domus ha parlato con Jack Schulze, uno dei responsabili di BERG, l'azienda che la produce, per far luce tanto sul prodotto quanto sul processo di progetto.
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- Dan Hill
- 04 febbraio 2013
- Londra
È forse sintomatico che questo retroterra culturale ruoti intorno a un hardware "di carattere" piuttosto che a un software "di carattere"; i fumetti degli anni Ottanta e Novanta hanno un piede in una precedente epoca di cultura britannica orientata verso la tecnologia (alla quale si deve anche l'architettura britannica più influente degli ultimi quarant'anni) e un altro nei cultural studies postmodernisti dell'epoca. Questo miscuglio d'influenze, in seguito elevato all'ennesima potenza da internet, è in qualche modo ancora visibile in quest'ammiccante scatoletta di metallo che sputacchia silenziosamente chat, tweet e frange sbarazzine insieme a bollettini meteo, sudoku e titoli del Guardian.
L'idea di un carattere e di una narrativa associati a tecnologie collegate in rete può essere rintracciata in quello che è chiaramente il precursore di Little Printer, il prototipo Availabot, prodotto dalla BERG nel 2006 e presentato inizialmente da Schulze nella mostra conclusiva del suo master al RCA. Semplice variazione sul tema del giocattolo, Availabot è un personaggio dotato di caratteristiche fisiche, di una fisionomia che rimanda a un amico del suo autore (nel prototipo della BERG si tratta di Matt Jones). Availabot scatta in piedi quando tale persona diventa disponibile in app di messaggistica istantanea, e si ripiega nella condizione opposta. Per quanto semplice, si tratta tuttavia di un'evocazione del carattere della tecnologia di messaggistica istantanea, e della sua interfaccia fisica, ossia quel peculiare, binario rimbalzare tra "vita" e "morte", animato o inerte, con cui iChat, AOL e simili avvolgono i rapporti sociali condotti via cavo.
Il product design e Mary Poppins
Eppure, in termini di precise influenze culturali, Schulze è molto chiaro: "Pixar, Apple, Lego, Marvel"—per inciso, nessuna di queste aziende è inglese. Tuttavia, almeno tre di esse (Apple, Lego, Marvel) usano un formato narrativo, mentre la prima, Pixar, è una società che—con livelli di successo variabili, va sottolineato—forse esemplifica al meglio il tentativo di un'azienda convenzionale di hardware e software di mostrarsi personale, accessibile: il computer per noi profani.
Perciò, quei primi bozzetti, così curati, a volte sembrano tanto SpongeBob SquarePants quanto Naoto Fukasawa (due esempi che non ho mai associato prima, devo ammettere): bellissimi, strani meccanismi, tracciati in parte sotto l'influenza dell'insegnamento al Royal College of Art di Durrell Bishop, designer ex-Apple e IDEO (in particolare, sottolinea Schulze, il riferimento è a prototipi come la Marble Answering Machine).
In uno dei primissimi schizzi, una piccola stampante collocata vicino a un computer portatile è ribattezzata Social Printer. Seguono pagine e pagine di stampanti che hanno caratteristiche o persino difetti umani (la carta penzola, si attorciglia e finisce sbrindellata sul pavimento piuttosto che produrre pile ordinate o rimanere semplicemente bianca). Alcune tra queste diventano personaggi un po' tracagnotti, quasi dei Teletubbies, caratteri in stile Miyazaki, molto più simili a un giocattolo di quanto non lo sia la versione definitiva.
A BERG, con chiunque parli è più facile finire per discutere di Jerry Bruckheimer che di Josef Müller-Brockmann, di Grant Morrison più che di Jasper Morrison, di Mola Ram più che di Dieter Rams. Non che non conoscano i secondi, tutt'altro. In quanto azienda post-internet, che comunica il proprio lavoro mentre è ancora in fase di sviluppo, assieme al pensiero su cui è basato, BERG rende manifesta a tutti la gamma dei propri riferimenti.
Little Printer fa interamente affidamento sul fatto che internet rende facilmente disponibili informa-zioni in precedenza inaccessibili.
Ciononostante, Schulze è molto chiaro riguardo a quel che considera valido in questo genere di cultura occidentale: la sua innegabile inventiva. Quando, però, gli chiedo quale sia il rapporto tra la frenetica loquacità di Bruckheimer e la discrezione di Little Printer fa un attimo di pausa. "Dipende da Mary Poppins", afferma ridendo; poi s'imbarca in un panegirico di cinque minuti sulle caratteristiche del suo film preferito. "Mary Poppins ha un'incredibile serie di superpoteri domestici. La sua magia è tutta fatta di gesti. Non ci sono astronavi o robot. Per quanto il film sia americano, è ambientato in un contesto molto British. Mary Poppins opera all'interno del sistema di classi sociali inglese e lo sovverte dall'interno. Distrugge il settore bancario, riunisce la famiglia, anche se non lo fa in maniera anarchica". "È onnipotente: può mettere insieme un esercito parkour di spazzacamini ninja, ma vuole anche muoversi a suo capriccio, e dove c'è tecnologia, a quanto pare, le cose non vanno sempre come si vorrebbe. La tecnologia fa tiri mancini. Il manico dell'ombrello le gioca brutti scherzi. I giocattoli non si riordinano sempre a comando".
Chiacchierando del meteo
A BERG usano anche un'espressione particolare per le caratteristiche di una determinata tecnologia, per parlare di come si lavora con il suo potenziale e con i suoi limiti. "C'interessa quest'idea del 'tempo', delle limitazioni inerenti a una certa cosa. È possibile che gli oggetti abbiano una loro meteorologia, così come accade per i luoghi, e di solito devi lavorarci. Se ti occupi di codici, sei costretto a lavorare con il 'meteo' del server Amazon S3. Cerchi di andarci d'accordo, di lavorarci assieme. Con Little Printer, la carta che si attorciglia fa parte del suo 'meteo'. Se sei Google, Amazon o Apple, hai abbastanza potere per cambiare il meteo dei sistemi: basta che rinchiudi in un seminterrato 40.000 ricercatori di Stanford fino a quando non modificano le condizioni meteo! Noi non possiamo permetterci una cosa del genere, perciò dobbiamo lavorarci assieme". (Mi trattengo dall'osservare che anche questa è una posizione decisamente British).
In confronto a dispositivi del tipo del coltellino svizzero come gli smartphone, Little Printer presenta una flessibilità piuttosto limitata. Ma questo limite fa parte del 'meteo' del congegno, di questo tipo di congegno. "Per certi versi, Little Printer è piuttosto monotona. Non prevede la multifunzione. È una superficie con immagini, ma senza uno schermo. Trova il sistema per stare a casa tua in modo fisicamente discreto. Riesce a far parte della tua vita sociale in modo giocoso e personale, ma solo di tanto in tanto. Quando la paragoni a questi mostruosi schermi a LED, appare come un'aggiunta veramente modesta alla tua casa".
Little Printer è disegnata per stare nella cucina, nel soggiorno, nello studio di oggi, circondata dalla tecnologia odierna, dell'immediato futuro e del passato recente. È un passo oltre il quadrante, ma non due. Little Printer non si proietta troppo in avanti; non è utopica ma nemmeno distopica. Non promette chissacché, esegue. "Abbiamo scelto di far parte del paesaggio culturale. Siamo ossessionati da queste idee del futuro immediato, dell'universo della porta accanto, dall'estrapolare prospettive particolari", dice Schulze.
Post-Poppins, Schulze ritiene che questa sottile interpretazione degli oggetti domestici come cose dotate di un carattere continui oggi nel lavoro della Pixar. "Toy Story lo fa tramite osservazioni e personaggi strambi, originali, a volte tragici. Parla di obsolescenza, decadenza, entropia. E tutti i giocattoli sono un po' approssimativi. C'interessa questa interpretazione della tecnologia che riconosce che non tutto è perfetto. Ci attirano i bordi smangiati, gli oggetti in cattivo stato, i componenti rotti, la tecnologia dall'uso impacciato. Qualche tempo fa c'è stato un momento in cui si parlava di software educati. È un'idea che detesto. Mi irrita quando Flickr mi saluta in hawaiano, suona un poco borioso".
Invero, nella sua volontà di stabilire una versione onnicomprensiva, universale e generale della buone maniere, finisce ironicamente per essere maleducato in una situazione particolare .
Il lavoro di BERG sembra diffidare in modo critico di questa visione utopica della tecnologia come qualcosa che rappresenti inesorabilmente il progresso, che crei una specie di futuro radioso e senza intoppi. In parte, come dice Schulze, perché "l'utopia è profondamente ovvia, anche senza contare il fatto che non accadrà. Non c'interessa questa idea della tecnologia invisibile in senso modernista. La tecnologia sarà invisibile, ma solo se è profondamente inserita nella cultura entro la quale nasce. Mettendo in primo piano la cultura, sposti in secondo piano la tecnologia. Si tratta della differenza tra il farsi strada a fatica attraverso i vecchi menù Nokia, nel tentativo di far qualcosa di molto semplice, e abitare lo sfavillante e dinamico universo di iOS. Ecco, allora, che la tecnologia è lì, ma è a tutti gli effetti invisibile, dato che la cultura è messa in primo piano".
Ma questa forte enfasi sul rendere viva la rete attraverso gli oggetti suggerisce non solamente una nuova classe di prodotti ma anche un diverso tipo di processo progettuale, una maniera diversa di pensare il design, che mette in risalto la narrativa, il carattere e l'interazione negli oggetti.
In un altro elemento precursore, il post del 2006 di Matt Webb sulla "casella di social mail", l'autore descrive il modo in cui le "nuove interazioni sociali intorno alla stampante ne influenzino oggi la forma". Gli schizzi di Schulze illustrano anche questa esplorazione formale, centrata sul conferire un carattere a un oggetto. Se la stampante ha un volto, la sua espressione può cambiare a seconda degli eventi: se le tagliamo i capelli, questi possono ricrescere. Questa sembra l'incarnazione più semplice, quasi sperimentale, di questa idea, come si addice a un tentativo di produrre un oggetto convenzionale per uso domestico. Ma riflette anche i limiti degli attuali apparecchi domestici. Dato che BERG ha deciso di organizzare in proprio non solo il design, ma anche la fabbricazione dei prototipi, la produzione, la vendita e la distribuzione, l'azienda deve lavorare anche con i limiti molto concreti dettati dagli standard di sicurezza, dalle esigenze di magazzino e di spedizione. Ciò implica un diverso processo di design e una posizione diversa per l'azienda di design, che oggi sviluppa sempre più spesso i suoi prodotti, in parte a seguito della 'kickstarterizzazione' dell'attività, in parte per la spinta egemonica esercitata dall'idea di startup.
Paul Thompson, rettore del Royal College of Art, mi dice che il 60% circa dei laureati afferma oggi di voler aprire un'attività in proprio alla fine degli studi. Anziché cercare di lavorare per Givenchy, Samsung, Toyota, Philips o Siemens, vogliono fare da soli. Si tratta di un cambiamento radicale rispetto a solo qualche anno fa, ricollegabile in parte alla Kickstarterizzazione dell'attività, in parte alla spinta egemonica esercitata dall'idea di "startup".
A un livello più elementare, si tratta anche di un'altra forma di disintermediazione determinata da internet.
Oggi alla Coudal non lavorano semplicemente alla consulenza di design, ma realizzano anche prodotti in proprio, come l'affermato Field Notes. Piuttosto che limitarsi a scrivere codici per altri, la 37 Signals produce da sola i suoi programmi, come Basecamp, ma anche libri che spiegano come ciò cambi la filosofia aziendale.
Oggi, un'azienda come BERG, con significativi livelli di ambizione—va sottolineato—può produrre gran parte di quello che di solito era disintegrato verticalmente per piccole aziende.
Bozzetti in hardware
Parallelamente a questi schizzi su quaderni Moleskine®, il progetto avanza lentamente, negli anni, anche attraverso l'hardware. Schulze, Andy Huntington, Nick Ludlam e altri di BERG dissezionavano l'hardware nell'identica maniera in cui ciò emerge dagli schizzi: poco a poco, in vicoli ciechi e false partenze, in marchingegni sperimentali in stile Heath Robinson.
L'equivalente hardware del blocco per schizzi di Schulze è uno scatolone malandato, che riposa su una mensola del magazzino nel laboratorio di BERG. Lo scatolone contiene un'accozzaglia di borse di plastica e componenti elettronici, fondamentalmente i fossili degli antenati di Little Printer, stampe pinzate di PDF di documentazione sui componenti, una scheda di circuiti prestampati con attaccato un POS. La carta presenta una stampa a bassa risoluzione dei denti di Andy Huntington, che rivela un esperimento in cui si tenta di far disegnare facce e altre forme a queste banali stampanti commerciali, progettate per elencare i prodotti della lista della spesa. Non ci sono scocche esterne, solo i componenti interni, e Schulze li deve sostenere con delicatezza, come se avesse una ragnatela tra le dita. Schulze srotola un'altra stampa di prova che mostra come la barra orizzontale di una A maiuscola è più pallida dei segmenti verticali: questo perché il componente termico della stampante non riesce a generare sufficiente potenza per produrre un nero omogeneamente intenso attraverso un profilo orizzontale. Più in basso, sul rotolo di carta, compare un volto le cui sopracciglia, per la stessa ragione, sono più pallide di occhi e naso.
"Ecco la realtà materiale!", ride Schulze. "Ti rendi conto che non puoi semplicemente dire 'in futuro tutti i televisori ti parleranno perché riconosceranno la tua faccia', dato che poi succede che se hai la barba, oppure se la risoluzione della posizione degli occhi è troppo bassa, non funziona". Questo senso del contingente negli ibridi digitali/fisici in realtà può solo essere ricavato da un'esperienza di prima mano, nell'aggiustare il tiro progressivamente, e dalla difficoltà di lavorare in atomi tanto quanto in bit. (Forse questo bearsi del contingente e dell'incompletezza non è solamente tipico del lavoro artigianale, ma riflette anche il taglio satirico dello sci-fi britannico di 2000 AD—Walter the Wobot decisamente più che Terminator—un disagio con la supponenza, con pretese di perfezione.)
Comprendere questa "realtà materiale" nel dettaglio è chiaramente uno dei processi guida di BERG, nonostante la frustrazione che deriva dal lavorare con prodotti che richiedono, per esempio, una connessione USB permanente, quando l'USB è, in realtà, una serie incredibilmente confusa di compromessi e idiosincrasie. "L'USB è uno standard, almeno quanto il latino lo è per le lingue europee", esclama Schulze a un certo punto. A BERG si sa che la connessione materiale ha una qualità che il solo digitale non può offrire, e che questa è la promessa negli ibridi digitali/fisici.
Di conseguenza, è ora necessario mettere seriamente in discussione il valore di produrre designer che non 'fanno' elettronica, che non 'fanno' codifica. È una sfida per la convenzionale formazione accademica nel design che, nonostante i progressi degli ultimi dieci anni, tende ancora a separare il produrre forme fisiche dalla codifica, il software dall'hardware. Proprio come è una sfida per i tradizionali media sul design, che non possono parlare di codifica con alcuna autorità. Bilanciare l'"inventore generalista creativo", come Schulze, con la profonda esperienza nella fabbricazione di forme di qualcuno come Ludlam è una sfida non solo per l'azienda contemporanea, ma anche per il settore scolastico. Allo stesso modo, tuttavia, i designer stessi possono adottare queste nuove possibilità più in fretta che mai, se ne hanno l'attitudine. Schulze sottolinea che Little Printer fa interamente affidamento sul fatto che internet rende facilmente disponibili informazioni in precedenza inaccessibili—per esempio, documentazione per singoli componenti hardware trovati a fiere del settore o da venditori online—, penetra sotto la pelle del componente, capisce il suo 'meteo'.
Schulze sottolinea ancora l'influenza di Durrell Bishop. Da sempre avverso all'enfasi, Bishop lavora ossessivamente per scoprire il funzionamento di tutti i dettagli, decostruendoli per comprendere il "meteo" del sistema quale strumento per entrare 'sotto la loro pelle'.
"Ogni singolo componente elettrico è associato a un PDF che ne spiega il funzionamento e Google te lo trova".
Costruire per la produzione, tuttavia, è un'altra cosa ancora. Availabot non è ancora arrivato sul mercato, tuttavia per BERG è "pronto per la fabbrica", ed è stato usato come una specie di sonda con cui penetrare nel corpo opaco del settore produttivo, per raccogliere informazioni sul processo stesso, sulla sua cultura e le sue possibilità. È come uno degli "spime" di Bruce Sterling, ma in senso contrario – un oggetto ingenuo che nel corso del suo viaggio attraverso la produzione, anziché nascere dalla produzione stessa, ha raccolto dei metadati. D'altra parte, i prodotti domestici tradizionali non sanno che farsene del mercato d'élite.
Perciò BERG deve capire come accedere alla potenza produttiva della Cina, principalmente spedendo in missione Andy Huntington, sonda del design in forma umana, per scoprirlo. Oggi, a qualche anno di distanza, pur con gli occhi stanchi di qualcuno che ha trascorso molti mesi provando a leggere e a capire il paesaggio, Andy Huntington può "parlare Shenzhen".
New British Modern
Schulze mi mostra una presentazione Keynote realizzata da Matt Brown—allora a BERG, oggi alla Apple. È un documento intitolato New British Modern, e illustra con chiarezza le basi estetiche che fanno di Little Printer un prodotto British. Non secondo lo stile "James Bond e la regina in elicottero", ma in maniera più sottile, in termini di toni, forme, condizioni. Come documento, è in parte solo il residuo di un processo di design, ma è anche uno straordinario atto curatoriale, quasi il DNA di quella che potrebbe essere una grande mostra. È fatto di immagini e filmati conditi con piccole annotazioni personali come "raggi morbidi, forme umane ma processi industriali, piccoli smussi, arancioni terrosi e caldi, geometrico ma non freddo…", che elencano una serie di riferimenti liberamente tratti dall'ultimo secolo, e tutti, se non strettamente British per provenienza, del tutto British per influenza. In parte prevedibili, in parte improbabili, insieme contribuiscono poeticamente a costruire un'identità molto omogenea ma anche molto ricca.
The Velodrome, le sedie di Robin Day, le lampade di Barber Osgerby, l'intero ristorante Canteen, i colori di Eley Kishimoto, i motivi di Timorous Beasties, David Gentleman per British Steel, le posate di David Mellor, la Design Research Unit, Bagpuss di Oliver Postgate, Caslon and Plantin, Kinnear and Calvert, Saville and Garland, le mandibole scattanti della cassa in Open All Hours, il modo in cui si muove il furgone di Postman Pat, l'animazione dell'orologio di BBC Two negli anni Settanta, particolarmente la lancetta dei minuti, i video "Soft" di Lemon Jelly…
BERG ha coinvolto anche Durrell Bishop e Tom Hulbert di Luckybite, aggiungendo la loro significativa esperienza al progetto. "Hanno collaborato dai primi esperimenti sulla forma fino allo stadio finale di design e produzione", dice Schulze. Apre il suo laptop e accede a una cartella piena d'immagini, mostrando, file dopo file, iterazioni nel design di un oggetto simile a Little Printer—in alcuni casi semplici aggiustamenti, in altri revisioni radicali—prodotte da Luckybite.
A questo punto, una sorpresa. Schulze si allunga oltre il laptop per rivelare che la 'controfigura' in queste iterazioni di Little Printer altro non è se non il posacenere Cubo di Bruno Munari, del 1957. A posteriori, è perfettamente normale che Munari compaia a questo punto, richiamando la ricerca di BERG nel campo degli oggetti dotati di carattere. In sé, tuttavia, Cubo è solo una traccia. Ci sono, invece, echi delle Macchine inutili di Munari, dei suoi progetti più sottili, persino dei suoi libri per bambini.
Non sorprende, inoltre, vedere che il modello per i piedini di Little Printer sono le stanghette di un paio di occhiali. Gli occhiali, il più antico oggetto tecnologico indossabile e intimo, rappresentano un'altra scelta indovinata in tema di materiale di riferimento.
Si è trattato di una decisione consapevole?
Tuttavia, per quanto anche i Google Glasses siano certamente un oggetto digitale/fisico, non dispongono ancora di questo carattere o di questo spirito, in particolare se paragonati al modo in cui queste braccia inerti, staccate dagli occhiali, e questi pulsanti sporgenti trasmettono un oggetto umanizzato in modo molto simile a ciò che fanno i giocattoli—e, di certo, a come ha fatto Munari, o a come fa la Pixar.
Il carattere di Little Printer risiede in parte nelle lunghe zampette ricurve e nei suoi pulsanti sporgenti, con quegli arti in plastica color arancio a ricordare anche lo stupendo portarotolo disegnato da El Ultimo Grito a fine anni Novanta, altro oggetto di matrice europea prodotto nel Regno Unito. È inoltre più leggibile di Google Glasses. La sua forma deriva chiaramente dalla sua operatività fisica; un contenitore per un rotolo di carta termica, rivelata dalla faccia, posto in posizione angolata per facilitare lo strappo della carta stessa, con feed disparati chiaramente indicati da porzioni di contenuto e resi da una grafica che descrive le nuove interazioni sociali che fanno da base alla sua fruizione.
Konstantin Grcic ritiene che una "macchina sia bella quando è leggibile, quando la sua forma fa capire come funziona. Non è soltanto questione di celare i componenti tecnici con un guscio esterno, ma di trovare il giusto equilibrio tra l'architettura della macchina…e un approccio espressivo nato dall'idea di interazione con coloro che usano l'oggetto." Little Printer è certamente inserita in quest'ottica, anche se le "affordance", le forme che simulano le nuove interazioni sociali e la loro gestione, devono essere collocate altrove.
In un modo o nell'altro, si tratta di una strategia del tutto diversa da quella di Jonathan Ive, basata chiaramente sul desiderio di smorzare gran parte della fisicità dell'interazione.
Little Printer è lontana dalla tagliente critica alle interfacce contemporanee fatta da Bret Victor, che le definisce "immagini sotto vetro", dato che è possibile avere immagini sì, vetro, no.
Nel modo in cui articola supporti e pulsanti ricorda di più la splendida e idiosincratica lampada Tizio di Richard Sapper – con il suo incedere fatto di un perpetuo esercizio di equilibrio e lo schiocco del suo interruttore rosso, un po' goffa ma elegante al tempo stesso – che gli sforzi di raggiungere un minimalismo senza incrinature solitamente perpetrati in modo quasi inconsapevole nei prodotti tecnologici.
In altre iterazioni, le stanghette degli occhiali vengono sostituite dai manici di una forbice che, come sottolinea Schulze, sono a loro volta "oggetti molto familiari, che parlano alle mani allo stesso modo in cui gli occhiali parlano al viso e alle orecchie".
Altri vecchi prototipi mostrano Little Printer in forma di cuneo di legno. In sé hanno un certo fascino ma, come puntualizza Schulze, nonostante abbiano volti e frange, il carattere non emerge. E anche se le gambe appaiono su carta, per far dì che un corpo funzioni come corpo esse diventano indispensabili.
Questi elementi dotati di carattere derivano dall'interazione formale tra BERG e Luckybite, ma anche da Denise Wilson della BERG, abile ideatrice di gran parte della cornice visuale che è stampata su carta da Little Printer. La sua scrivania è circondata da stampe delle facce 'dentro' Little Printer, con più pettinature diverse che in un numero di Grazia. Per quanto rappresenti chiaramente uno degli aspetti dall'impatto più immediato di Little Printer, l'importanza dei capelli va oltre lo stile: ma, in quanto allusione a qualcosa di organico, che cresce, rivela di nuovo quel pensiero alla Tamagotchi che sta dietro al progetto.
Ma è proprio design?
Per chiudere il cerchio, e nel linguaggio del settore, il processo di design di BERG deve comprendere produzione, promozione, vendita, logistica e assistenza. Ma come prodotto connesso in rete, c'è un ulteriore mossa strategica. Con tutto il suo fascino un po' malinconico, Little Printer potrebbe rivelarsi una specie di cavallo di Troia. Il congegno fa affidamento su una connessione BERG Cloud, attraverso una scatolina che si collega al vostro wi-fi e passa dati alla stampante. In modo ingegnoso, questo è inoltre un portale di contenuti che potrebbe collegare anche qualsiasi altro tipo di congegno, permettendoci di guidare i vari tipi di dati che articolano la nostra vita alla sequenza di strumenti collegati in casa, in ufficio o per strada. Da BERG lo descrivono come "un sistema nervoso per prodotti connessi"; ciò si traduce grossomodo in qualcosa che introduce furtivamente l'azienda, in modalità piattaforma, in luoghi interessanti di ogni genere.
Ciò significa che è necessario anche trattare con l'associazione dei contenuti. Little Printer, come iTunes, deve anche avere una piattaforma per pubblicare, distribuire e gestire feed sui contenuti dentro e fuori il congegno, ma anche documentazione leggibile per creatori di contenuti come Twitter, Arup e The Guardian, oltre alla confezione BERG Cloud— un "sistema nervoso per prodotti connessi". (In realtà, Little Printer è un cavallo di Troia, che introduce furtivamente l'azienda, in modalità piattaforma, in luoghi interessanti di ogni genere.)
Quando disegnava gli stereo della Braun, Dieter Rams non aveva bisogno di riconfigurare il settore discografico, di pensare da dove e come la radio, il vinile e le cassette potessero arrivare. Questa, invece, è la premessa di questo tipo di prodotti: che sia possibile, e che probabilmente si debba, tener conto della 'materia' e della "materia oscura" che circonda l'esperienza. Tuttavia, per creare questi prodotti olistici l'attività si deve allargare in qualcosa di più pervasivo, ben oltre il design. Non esiste una parola appropriata per descriverlo. Se la nozione di 'design' vuole preservare un qualsiasi significato, Schulze si chiede se sia possibile parlare di tutto questo in termini di "un processo di design". "Diventa questa vaga idea di 'imprenditoria tecnologica', ma non è solo questo"; "in più", mormora, "rende difficile trovare collaboratori".
In linea con lo stile contemporaneo, BERG rende leggibili anche gli stadi interni al processo di design e produzione. Questo significa che hanno dovuto essere onesti e chiari riguardo ai ritardi di produzione attraverso il sito di Little Printer. Mentre scriviamo sono già stati comunicati due posticipi delle prime date di spedizione, ognuno dei quali ha implicato la necessità di fornire spiegazioni. E mentre tutto ciò suona come un prestito della cultura start-up, spesso orientata verso prodotti software, Little Printer presenta un numero decisamente maggiore di variabili in gioco. Così, se la decisione di BERG sembra istintivamente giusta, si tratta anche di una scelta che presenta potenzialmente dei rischi. Tuttavia Schulze sottolinea come l'architettura di Kickstarter, così influente nella trasformazione del design del prodotto, costringa anche a queste regolari spiegazioni del processo di produzione, il che aiuta a rendere il prodotto più leggibile e accessibile.
BERG rende leggibili anche gli stadi interni al processo di design e produzione, nello stile contemporaneo post-Kickstarter. Questo ha significato che a BERG hanno dovuto essere onesti e chiari riguardo ai due ritardi sulla prima data di spedizione, ciascuno dei quali necessita di una spiegazione dettagliata. Questa strategia, il fatto di essere aperti nei confronti del pubblico, fa affidamento su un particolare tono di voce—aperto, accessibile, umile e costruttivo—che deve esser calibrato perfettamente allo scopo di eliminare responsi negativi e portare i clienti dentro al processo produttivo, almeno un poco. Di nuovo, si tratta in gran parte di qualcosa di nuovo per i product designer. Il "tono di voce" è evidente anche nei video di Little Printer. In questo campo, produrre video è ormai d'obbligo, ma su progetti multipli—come Mag+, Swappu e Making Future Magic—Timo Arnall di BERG ha messo a punto uno stile personale, che distingue l'azienda londinese dai concorrenti, almeno per ora. Al CIID i bambini fanno video per colazione. Sulla loro colazione. Gli irritanti brevi filmati dei prodotti Apple hanno infestato praticamente ogni promozione di prodotto sui social media che sia emerso negli ultimi anni dagli Stati Uniti. Ma attraverso precedenti lavori di ricerca come i video di Arnall hanno dalla loro la tecnica e un chiaro senso della finalità, e si spostano avanti e indietro tra qualche azione in stile "heavy bokeh" sull'oggetto stesso e quindi sul contesto. Il contesto parla di quotidianità, con il prodotto sul tavolo della colazione, sul retro di un taxi, su un mobiletto vicino alla porta d'ingresso.
A dispetto della costruzione di quell'alone quasi mistico che circonda l'immagine di BERG—i nomi dei prodotti, i designer ritratti in toni misurati e la tipica cupezza londinese, in contrasto con il non-luogo THX1138 in cui è proiettata la figura di Jonathan Ive—i prodotti sono mostrati sul tavolo della colazione, sul retro di un taxi, su un mobiletto vicino alla porta d'ingresso.
Le riprese compilano una lista delle attività che si devono mescolare nello studio transdisciplinare contemporaneo, ma dimostrano anche come forse solo il video possa presentare con efficacia interazione, comportamento, narrativa e sistema. Si tratta di un messaggio pubblicitario, non c'è dubbio, ma anche di documentazione e di una modalità d'ingresso nel processo del design. Ho un mezzo sospetto che buona parte dell'influente immagine di BERG sia dovuta a questi filmati. In tal senso, è un'azienda di contenuto. Potrebbe esser troppo, a questo punto della sua relativamente breve carriera, sottolineare un'indicativa somiglianza con Archigram, Superstudio o Archizoom, ma tutto questo è in parte design come fiction, fiction come design.
Tuttavia Little Printer è oggi, non è astrazione. Non è Monumento continuo, ma un prodotto statico. Ci sono migliaia di questi nanerottoli avvolti nella plastica, sepolti dentro a scatole, impilati, sistemati nella stiva di qualche cargo che attraversa lentamente il mar Cinese Meridionale. Come accade a qualsiasi cosa che presenti un aspetto "stranamente Silicon Valley", fa specie pensare a questi congegni che se ne stanno silenziosi dentro a tali caverne di metallo, completamente inerti. Possiedono infatti una forma potenziale di energia sociale, aspettano pazienti il collegamento alla rete elettrica, la stretta di mano col router, l'apertura di un collegamento con un API, di succhiare dei dati e poi, di quando in quando, di trasformare questi flussi quasi impercettibili in motivi disegnati a inchiostro su bobine di carta che si srotolano dolcemente. In ciò, tanto nel loro viaggio dal blocco degli schizzi a Shenzhen e ritorno, quanto nel disegnare il tessuto connettivo della nostra organizzazione sociale contemporanea, sono emblematici dell'oggi.
Questo non vuol dire che Little Printer sia un prodotto da Nuova Estetica: è un po' più lento, più calmo, non insiste. Aspetto e materiali sono un po' datati, e l'estetica che produce su carta è improntata tanto ai pixel degli anni Ottanta quanto a quelli del 2013. (È interessante notare come Nike+ FuelBand, altro prodotto che incarna la contemporaneità, usi a sua volta un'estetica datata come mezzo per introdurre prestazioni più sofisticate).
Alla fine, quando osserviamo il modo in cui si comporta, emerge una fisicità in linea coi tempi: la sua forma, sottolinea Webb, è influenzata dalle nuove interazioni sociali. Ha un aspetto e un feeling senza precedenti. Per quanto possiamo porla sulla linea di prodotti come il telegrafo, il fax, le stampanti e gli smartphone, Little Printer è comunque qualcos'altro. Nel suo essere genuinamente un prodotto ibrido digitale/fisico è pienamente un prodotto di oggi—del resto, come osserva Matt Jones, la differenza non esiste più, non c'è più una separazione "cyberspazio contro IRL". Si potrebbe esaminare Little Printer e abbozzare una serie di traiettorie possibili per prodotti di carattere creati dalla Rete, ma, in realtà, chi può dirlo? Per quanto sia una piccola, umile aggiunta al nuovo paesaggio domestico, Little Printer proviene da un maelström capace di trasformare le forze produttive, mentre l'elettronica e la codifica diventano strumenti creativi ordinari e mentre lo schema di vita e lavoro che internet implica continua a imporsi. Possiamo pensare che sia quindi un abbozzo di quanto verrà, oppure che una generazione più giovane—come i responsabili di BERG, che ormai insegnano al Royal College of Art—produrrà qualcosa di completamente diverso? Di nuovo: chi può dirlo? Anche se abbiamo bisogno di prodotti che aiutino a rendere tangibile il pensiero astratto, può essere che qui sia il processo di design lo spazio maggiormente capace di generare. A patto che si possa continuare a chiamarlo processo di design. Perché la grande domanda che Little Printer solleva è come la pratica stessa del design cambi in conseguenza del network. Dan Hill, CEO, Fabrica (@cityofsound)