Ognuna delle quattro grandi mostre che compongono la struttura della XXIII Triennale è stata allestita da progettisti noti e di generazioni differenti, offrendo così un buon panorama di approcci diversificati. Importante sottolineare come in un contesto così complesso, oltre ai ruoli della curatela, sia fondamentale quello dell’allestimento, che torna ad essere, come dovrebbe sempre essere, un veicolo fondamentale per valorizzare le opere in esposizione e comunicare il loro essere insieme, ordinate temporaneamente, a disposizione del pubblico.
23a Triennale Milano, guida agli allestimenti dell’esposizione internazionale
Gli allestimenti, tra cui quelli firmati dal neo-Pritzker Kéré, ricoprono una importanza fondamentale in questa edizione: ecco chi li ha progettati e come.
Courtesy Triennale Milano
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Padiglione Kenya
Il Corridoio Rosso
Courtesy Triennale Milano
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- Matteo Pirola
- 20 luglio 2022
Per chi si ama design e di architettura, il vedere una mostra offre non solo il piacere di scoprire le opere ma anche il duplice e gratuito piacere di vedere come sono state esposte, per vedere come sono valorizzate e comunicate al meglio nello spazio secondo l’ordinamento indicato dalla loro curatela. E quando si tratta di una mostra che si occupa proprio di design e architettura l’interesse si moltiplica esponenzialmente.
La mostra tematica principale “Unknown Unknowns”, vede un allestimento progettato da Space Caviar, con Joseph Grima che torna nella sua Triennale (è stato tra le altre cose Direttore del Museo del Design) e torna sul tema degli allestimenti riconsiderando alcune sue ipotesi precedenti, proponendo un progetto che ha voluto interpretare le suggestioni iniziali della curatrice. Riferendosi ai nuovi metodi allo studio per le future costruzioni lunari, dove la stampa 3D è usata come modello tecnico utilizzabile con materie extraterrestri, l’allestimento è stato concepito come un laboratorio sperimentale. I supporti principali che hanno geometrie sempre diverse secondo un linguaggio comune, sono stati stampati direttamente nelle sale della Triennale (da WASP, azienda italiana leader mondiale per le stampe tridimensionali), usando dei materiali poveri come argilla miscelata con lolla di riso (in collaborazione con RiceHouse, fresco vincitore con le sue ricerche del Compasso d’Oro 2022) e con l’intenzione di riciclare questi elementi e materiali dopo l’uso. I piani di appoggio sono di vetro trasparente sagomato ad hoc e lasciano intravedere la struttura interna, anch’essa disegnata secondo alcune curvilinee che derivano da una griglia grafica visibile su tutto il pavimento, che scandisce e ridisegna la percezione della galleria espositiva “in curva” secondo una nuova logica formale, deformata e orbitazionale, che gravita intorno al fulcro centrale. Lo spazio risulta così percorribile secondo plurime traiettorie che rallentano il passo in occasione di alcuni volumi circolari e permeabili, racchiusi dentro delle tende sospese fatte di piccoli anelli metallici, in cui opere sonore chiedono al visitatore una pausa orale prima della ripresa del viaggio.
La sistemazione generale dei 20 padiglioni internazionali è stata curata e progettata da Francis Keré (Pritzker Architect 2022) con un linguaggio quasi astratto e ordinatorio secondo una griglia ortogonale di muri bianchi che determina dei lunghi corridoi che affacciano lateralmente su stanze/ambienti poi riallestiti dalle singole nazioni. (L’accesso a questa sezione della Triennale avviene da un ingresso diretto un po’ anonimo dall’atrio del Palazzo dell’Arte o da un accesso secondario che suggeriamo e che passa dal Corridoio Rosso, ambiente allestito da Margherita Palli per la mostra omonima curata da Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa.) La distribuzione e l’ordinamento della sequenza di ambienti vede una collocazione perimetrale destinata alle nazioni internazionali più conosciute, mentre in una sezione centrale sono collocate le partecipazioni africane, in un ideale abbraccio a queste nazioni “emergenti”, alcune delle quali partecipano per la prima volta presentando al mondo la loro visione di arte e cultura. In questa sezione della Triennale, Kéré si è anche occupato personalmente di due progetti di allestimento specifici: una installazione spaziale “Yesterday’s Tomorrow” che fa da fulcro a questi ambienti, in cui il visitatore può circolare esternamente o internamente seguendo una pianta spiraliforme, ammirando una decorazione grafica parietale tipica dei paesi africani e ascoltando voci che come in un racconto ancestrale provano a catturare l’attenzione del pubblico orientandola verso i temi dell’Esposizione; un allestimento del padiglione del Burkina Faso, sua nazione di origine, in cui un lungo muro è stato realizzato con una azione partecipativa, a mano e con materiali poveri e decorato con segni e simboli vernacolari del paese, tentando di infondere uno slancio vitale a questa tradizione di comunicazione visiva e architettonica
La Francia fa coincidere curatela e allestimento assegnando i compiti a un trio di autori e designer (Pablo Bras, Juliette Gelli e Romain Guillet) in cui l’estrema attenzione ai materiali in relazioni alle opere esposte e alla loro narrazione, creano uno spazio reale estremamente materico e odoroso, che si integra con uno spazio virtuale in una piattaforma internet ricca di informazioni. Il team ha voluto scegliere esattamente questo spazio perché è l’unico che può affacciarsi su una vetrata di luce naturale dalla quale proviene l’energia fotovoltaica per alcuni elementi e con la quale uno degli autori in mostra ha realizzato anche una installazione luminosa naturale. L’allestimento risulta monomaterico, fatto di 2024 mattoni realizzati a Milano in terra cruda, materia simbolo dell'impermanenza perché è reversibile nei suoi stati fisici. I mattoni disegnano il pavimento calpestabile ma la loro modularità fa sì che dagli elementi a terra crescano nuovi volumi con altre funzioni: un angolo dedicato alla lettura, uno all’ascolto, un altro alla degustazione, ecc. Ai piedi di ogni oggetto, si trova un segno grafico visivo inciso nei mattoni che rinvia rapidamente a una leggenda serigrafata sulla parete.
I Paesi Bassi si fanno mettere in scena dal giovane e promettente Studio Ossidiana (Alessandra Covini e Giovanni Bellotti) italiani basati a Rotterdam, con esperienze formative e professionali internazionali. Entrando in un ambiente unico e compatto, ci si trova di fronte a delle isole materiche, fatte di conglomerati diversi miscelati con materiali in pasta colorati. I perimetri dello spazio sono rivestiti da un lungo drappeggio fatto di più strati di tessuto, che intelligentemente approfittano del materiale per arrotolarsi o scostarsi mostrando dei testi o delle didascalie, o si “squarciano” (fissati con le tecniche del ricamo) aprendosi su piccoli box espositivi. A terra una sonora distesa di piccole conchiglie ci fa sentire il peso di ogni passo.
L’isola di Cipro, anche in questo caso con i curatori che sono anche i designer dello spazio (Christiana Ioannou, Daphne Kokkini, Spyros Nasainas, Christos Papastergiou), è presente con un allestimento tanto astratto quanto architettonico. Secondo la logica del Hortus Conclusus che qui diventa Hortus Ignotus, un “semplice” muro posto di sbieco, enigmatico ed esclusivo, con precise e determinate aperture su scorci visivi reali e virtuali, e una piccola porta semiaperta ma inaccessibile, ci fa sentire fuori da un mondo magico, in cui la rigogliosa natura dei grandi antichi giardini mediterranei fa il suo corso.
Il “Padiglione Italia - La Tradizione del Nuovo”, curato da Marco Sammicheli e che trova eccezionalmente la sua collocazione fuori dall’area dei padiglioni internazionali e si sovrappone curiosamente con il Museo del Design (di cui lo stesso Sammicheli è il direttore), vede un allestimento progettato dall’emergente studio Zaven (dei veneziani Enrica Cavarzan e Marco Zavagno) che ha interpretato i racconti che il curatore ha raccolto nella straordinaria ricchezza della storia del design italiano. Oggetti, opere e documenti, molto numerosi e ben distribuiti, trovano collocazione qua in teatrini e frammenti di architettura e là in posizioni estemporanee che stimolano la curiosità del visitatore. Sono messi in scena per far capire le storie e le persone dietro gli oggetti, in un percorso labirintico e non unidirezionale, tra arcipelaghi sezionali e scorci architettonici con punti di vista e di scoperta dello spazio allestitivo. Le pareti perimetrali curve dialogano con nuovi ambienti aperti, ortogonali e colorati, mentre piani e basamenti in monoblocchi di gasbeton e cinghie attendono e sospendono pannelli o oggetti. L’allestimento di questo Padiglione Italia finisce quasi senza soluzione di continuità inserendosi e integrandosi con un altro allestimento, sempre progettato da Zaven, che ospita la mostra Alchemic Laboratory curata da Ingrid Paoletti.
La mostra collaterale “Mondo Reale”, è stata allestita da Formafantasma, “lo” studio di tendenza del momento, tanto affermato che in contemporanea ha anche realizzato l’allestimento della Biennale Arte di Venezia. Secondo una logica di analisi dell’aspetto effimero di una mostra, tra meraviglia e mistero, i Formafantasma hanno pensato a una idea di “ecologia” come elemento narrativo per un allestimento “gentile ed empatico” con le opere, usando materiali leggeri e poco impattanti, recuperando partizioni della mostra precedente ed elementi di allestimenti riutilizzati, oltre a materiali riciclati e un uso preponderante, sorprendente e raffinato, di fogli di carta che compongono ampi divisori spaziali. Dei semplici riquadri candidi e cartacei, lavorati con estrema attenzione e appesi l’un l’altro, sospesi a soffitto e alzati da terra, filtrano le luci e disegnano delle anse curvilinee che lungo tutto l’allestimento si ampliano e si restringono determinando degli spazi di pertinenza. In un contesto generale rarefatto, dei blocchi di cemento, ricoperti in sommità con una lastra di metallo che ne ricalca i margini, tracciano delle basse barriere o dei luoghi di sosta mentre alcuni pavimenti tessili monocromatici individuano delle aree speciali di osservazione.
Nota finale sull’apparato di coordinamento grafico degli spazi espositivi e del progetto di identità visiva realizzato dallo studio newyorkese 2x4. Il sistema di immagine coordinata si basa su una simbolica e metaforica interpretazione di un fascio di luce che illumina spicchi colorati di pianeti in un universo buio e sconosciuto. Un nuovo carattere tipografico chiamato “Ignoto”, in cui la O risulta un sottile spicchio di luna orientato sempre diversamente, compila tutte le scritte e le intestazioni dei vari spazi e frontespizi.