Durante il corso di tutta la sua ricerca artistica Thomas Demand ha fatto in modo che mettessimo in discussione la credibilità del mezzo fotografico. La sua pratica infatti prevede la ricostruzione di architetture e ambientazioni (spesso riprese da altre immagini e private delle figure umane) in carta e cartone poi immortalarle attraverso suoi scatti, unica memoria di quei modelli che vengono successivamente distrutti. Per questa nuova mostra però le fragili architetture di carta (“House of Card” è infatti il titolo dell’esposizione, aperta fino al 18 aprile 2021 a Leuven in Belgio) non sono solo quelle realizzate da Demand che, con una nuova serie di lavori dal titolo “Model Studies”, ha infatti scelto di puntare il proprio obiettivo anche sui modellini realizzati da altri artisti, designer e architetti contemporanei. Per questa mostra l’artista chiama in causa una serie collaborazioni come quelle con SANAA, Azzedine Alaïa, Martin Boyce e Rirkrit Tiravanija.
Thomas Demand: “Il modello è una tecnica culturale sottostimata”
Le foto e i modelli del fotografo tedesco che ha firmato le copertine di Domus nel 2020 sono in mostra ora al Museum Leuven, in Belgio, in collaborazione con firme come SANAA e Caruso St John.
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- Angela Maderna
- 23 febbraio 2021
Iniziamo dal titolo della mostra “House of Card”: la carta è sempre stata una componente importante del tuo lavoro, è così?
Sì, assolutamente. È un materiale sublime ma questa non è la ragione per cui la uso, il motivo è che so che usandola condivido con gli osservatori un materiale che chiunque conosce. Ma ciò a cui sono interessato è condividere immagini che la maggior parte di noi riconosce in modo da poter discutere su cosa siano le immagini. Il titolo si riferisce certamente alla serie TV “House of Cards”, anche se io non ho le carte, ho la carta, si trova al confine, ma non è esattamente la stessa cosa. Poi c’è l’edificio costruito con le carte da gioco che è come un modellino. È un modo per provare a spiegare la mia concezione di questa mostra e di parlare dei modelli.
Potresti dirci da dove viene la tua attrazione per i modelli?
Lavoro su questo da molto tempo. Ci sono diverse categorie di modelli come quelli dei bambini, i modellini architettonici, quelli che si possono acquistare in un negozio di souvenir ecc. Per approfondire l’idea di modello: nel corso degli anni ho capito che il modello è una tecnica culturale sottostimata. Perché il modello architettonico ha alcuni difetti, uno dei quali è l’essere piccolo, non mostrare dettagli ma dà, a una persona che desidera realizzare un edificio, l’idea di come sarà. Il modello è importante perché è una specie di comunicazione tra l’architetto A e l’architetto B. Questa è la cosa interessante sui modelli, il fatto che ci sia un’idea che deve essere trasmessa. Ma questo campo è aperto: c’è un plastico della città di Roma in Iowa, quando si va in un museo di storia naturale c’è un modello di planetario moderno e, anche se certamente nessuno l’ha mai visto dal vero, noi riconosciamo cos’è e possiamo trarne delle informazioni. Anche la CGI (computer-generated imagery) è un modello perché è creato dalla geometria e non è una cosa reale, è un modello che serve a dare un’impressione. Tutte le cose che conosciamo possono essere rappresentate da modelli, come il modello economico (della domanda e dell’offerta), il fondo pensionistico è anch’esso un modello, i modelli sono utilizzati in guerra, ci sono modelli in medicina, per esempio, utilizzati per comprendere il corpo o modelli per la simulazione di viaggi spaziali. Si possono trovare modelli ovunque e ho compreso che i modelli sono una tecnica culturale e la ragione per cui hanno qualcosa in comune è che la realtà è molto complessa, è necessario avere un filtro. La memoria è un buon filtro perché trattiene le cose più importanti, i modelli sono filtri perché riducono le informazioni in relazione al tema d’interesse. Altrimenti il mondo sarebbe troppo complesso. Oggi abbiamo solo specialisti quindi i modelli sono una sorta di comunicazione che sta a un meta livello tra differenti parti della società. Il nostro modo di comprendere il mondo è in larga parte basato su modelli. Ecco perché credo che nella modellazione ci sia molto più di quanto le persone credano.
Il concetto di appropriazione è un’idea che hai investigato anche in passato. Cosa ci puoi dire a proposito di questo in relazione questa nuova serie di lavori?
Non si tratta solo di appropriazione. 10 anni fa andai a Losa Angeles, al Getty Research Institute dove c’è il lascito di John Launter, lo trovai molto interessante. Hanno 12 modelli rappresentanti progetti che non finì o non costruì. Pensai che, a differenza del mio lavoro in cui c’è sempre una mancanza di dettagli, lì c’era una ricchezza di dettagli, forme, colori e materiali e cioè qualcosa che non è presente nelle mie immagini con cui ho pensato fosse piuttosto interessante lavorare. Ho pensato che avrei potuto lavorare con i modelli di qualcun altro e mostrare alcune cose che non si trovano nel mio lavoro. Quindi questa è una mostra personale, si tratta di me, ma mi ha fatto piacere invitare altre persone. È così che abbiamo incluso l’opera di Martin Boyce e tutta la serie è proseguita. Sono stato invitato in Giappone da SAANA, ho visto il loro ufficio e l’impressionante oceano di modelli. Appariva come appare il mio studio quando lavoro su un’opera e ho trovato qualcosa a casa di qualcun altro che ho riconosciuto come mio.
Nel corso degli anni ho capito che il modello è una tecnica culturale sottostimata. Perché il modello architettonico ha alcuni difetti, uno dei quali è l’essere piccolo, non mostrare dettagli ma dà, a una persona che desidera realizzare un edificio, l’idea di come sarà.
Col tuo lavoro in passato ci hai parlato del fatto che la fotografia non è così oggettiva come siamo portati a credere. Possiamo dire che la fotografia sia un potentissimo mezzo di falsificazione della realtà?
Sì ma anche un mezzo che crea realtà o una realtà parallela. Ci accorgiamo degli oggetti grazie alla fotografia. Impariamo a conoscere il mondo che era lì anche prima di essere fotografato, ma solo dopo ne apprendiamo l’esistenza, dalla fotografia.
In questa mostra ci sono anche alcuni lavori artistico-architettonici che hai ideato.
Sì c’è un lavoro che feci per un concorso insieme a Caruso St John per una grande piazza a Zurigo, realizzammo un modello in scala uno a uno della facciata che venne esposto alla Biennale di Venezia. Vincemmo il concorso ma alla fine il progetto non venne realizzato, comunque per me il progetto è in qualche modo nella realtà perché è un’opera d’arte ed è in mostra. C’è anche il modello per un padiglione che mi è stato commissionato da Kvadrat che è una sorta di opera d’arte totale perché ho potuto progettare ogni singolo dettaglio. Questa esposizione mostra che provengo da un lavoro di ricostruzione di luoghi della memoria e poi ho guardato ai modelli di altri, è lo studio del modello e un modo per entrare dentro all’architettura, in un certo senso. Quello che cerco, nei miei progetti architettonici è mantenere la logica della carta e trasformarla in forme che possano stare in piedi ed essere utilizzate.
- “House of Card”
- Thomas Demand
- Martin Boyce, Arno Brandlhuber, Caruso St John e Rirkrit Tiravanija
- Valerie Verhack
- Museum Leuven. Leuven, Belgio, Leopold Vanderkelenstraat 28
- dal 9 ottobre 2020, al 18 aprile 2021