Quando si pensa all’arte nello spazio pubblico i primi esempi a cui si è soliti far riferimento sono quelli delle opere che si vedono nelle grandi città, ma l’Italia è un paese caratterizzato da piccoli centri nei quali si sono sviluppate una serie di esperienze di cui tenere conto. La tematica dei borghi e dei territori rurali è recentemente tornata alla ribalta, anche per via degli studi di Rem Koolhas sul countryside e delle affermazioni di Stefano Boeri (che ha sostenuto la necessità di riabitare questi luoghi), ma al di là degli entusiasmi nei confronti di scenari agresti e bucolici è necessario fare i conti con le reali condizioni che la vita in questi territori comporta. In Italia il tema è oggetto di riflessione da tempo, dal 2013 il Ministero per la coesione territoriale ha dato vita alla Strategia nazionale per le Aree Interne (SNAI), ovvero per “quelle aree significativamente distanti dai centri di offerta di servizi essenziali (di istruzione, salute e mobilità), ricche di importanti risorse ambientali e culturali e fortemente diversificate […] Una parte rilevante delle Aree Interne ha subito gradualmente, dal secondo dopoguerra, un processo di marginalizzazione” e di spopolamento.
L’arte pubblica nei borghi italiani, tra itinerari turistici e valorizzazione del patrimonio immateriale
La tematica dei borghi è recentemente tornata nel dibattito culturale. In Italia l’arte contemporanea è stata chiamata ad agire nello spazio pubblico di questi luoghi in più occasioni, ecco in che modo.
Concrete memory. Foto Sara Moiola
Maria Lai, “La strada del rito”, 1992, Museo a cielo aperto Maria Lai. Ph. Tiziano Canu. Courtesy Comune di Ulassai
Kiki Smith, “Yellow Girl”, 2003 -2010. Ceramica, pittura, legno, installazione permanente presso la Rocca di Montestaffoli, San Gimignano. Courtesy dell’artista e dell’Associazione Arte Continua, San Gimignano, Italy. Photo by Pamela Bralia
Jérôme Bel, “Compagnia Compagnia”, 2019, Arena Sinni, Senise (PZ). Courtesy ArtePollino
Bianco-Valente, “Ogni dove”, 2015
Claudia Losi, Voce a Vento, 2018, monte Bulgheria. Courtesy dell’artista e dell’Associazione Jazzi
Cosimo Veneziano, “mORALE”, percorso 9, 2017, Guilmi. Foto Matilde Martino per GuilmiArtProject
Matteo Rubbi, “Ritorno a Solzaland”, 2016, Solza (Bergamo). Foto Maria Zanchi
Maurizio Montagna, SCENERY//Scenari, A cielo aperto, Latronico, 2017
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- Angela Maderna
- 20 maggio 2020
Molte sono state le e ricerche sul tema, dal punto di vista dell’architettura non si dimentichi per esempio l’Arcipelago Italia di Mario Cucinella, e le iniziative culturali, ultimo in termini cronologici è per esempio il progetto Alpe recentemente lanciato dal FAI. Resta forse da chiedersi quale sia stato il contributo degli interventi messi in campo da artisti e organizzazioni legati al mondo dell’arte contemporanea in zone decentrate. Abbozzare una prima breve storia che raggruppi le esperienze di questo tipo evidenzia non solo come l’arte abbia intrinsecamente mutato negli anni il proprio approccio nei confronti dello spazio pubblico, ma anche come in questi territori si sia mossa inizialmente nella direzione della creazione di itinerari turistico-culturali fisici, che “sono diventati uno dei principali strumenti di valorizzazione culturale” (come sostiene Carmen Vitale parlando in particolare delle aree interne), modificando poi gradualmente la propria pratica in direzione, non tanto dell’opera oggetto da lasciare sul territorio, quanto più del coinvolgimento delle comunità e della valorizzazione del patrimonio immateriale.
La tematica dei borghi e dei territori rurali è recentemente tornata alla ribalta, ma al di là degli entusiasmi nei confronti di scenari agresti e bucolici è necessario fare i conti con le reali condizioni che la vita in questi territori comporta
Per un breve racconto di queste esperienze si può partire dal caso della siciliana Gibellina, per passare a Ulassai in Sardegna, a San Gimignano e limitrofi con l’esperienza di “Arte all’Arte”, dall’Abruzzo con Guilmi Art Project, scendere verso Basilicata e Calabria con ArtePollino, spostarsi a Latronico dove s’incontra “A cielo aperto”, poi nel Cilento con Associazione Jazzi, per concludere infine con l’opera di Matteo Rubbi a Solza a poca distanza da Bergamo.
Non si tratta di operazioni che hanno portato un indotto economico-turistico insostenibile, come accadde per esempio sul lago d’Iseo all’epoca di “The Floating Piers” di Christo, bensì, nei casi più recenti, di pratiche il cui valore dipende soprattutto dalla capacità di inserirsi e legarsi a un tessuto culturale “altro” rispetto a quello con cui l’arte contemporanea è solita misurarsi, facendosi inoltre strumento di valorizzazione del patrimonio immateriale poiché, attraverso il suo sguardo esterno, assume una funzione che si potrebbe definire maieutica.
A seguito del terremoto nella valle del Belice nel 1968 Gibellina venne distrutta e al suo posto nel 1980 Alberto Burri realizzò una delle più imponenti opere di Land art d’Europa, un’immensa colata di cemento che ha congelato dentro al Grande cretto le macerie del vecchio paese. A Gibellina nuova invece (riedificata più a valle) l’allora sindaco Ludovico Corrao (che già aveva invitato Burri) si avventurò in un progetto ambizioso che prevedeva la ricostruzione ad opera di artisti e progettisti contemporanei, chiamò così a lavorare sul territorio artisti come Giuseppe Uncini, Arnaldo Pomodoro, Mimmo Paladino, Alessandro Mendini, Fausto Melotti e molti altri. In alcuni casi i progetti (non solo opere e monumenti, ma anche edifici) rimasero incompleti, come il teatro di Pietro Consagra, e l’intera operazione dovette fare i conti con il fallimento di quell’utopica città ideale.
Nel 1981 Maria Lai realizzava a Ulassai in Sardegna (suo paese d’origine) una delle più incredibili opere d’arte pubblica e relazionale del nostro tempo, “Legarsi alla montagna”. In quell’occasione, coinvolgendo la comunità ulassese, l’artista legò l’intero paese con del nastro di stoffa azzurro. Questa operazione diede avvio al processo, durato poi circa trent’anni, che ha portato alla formazione di ciò che è oggi la Stazione dell’arte (Museo d’Arte Contemporanea che ospita anche molte opere della Lai) e il museo diffuso di Ulassai. Quest’ultimo conta infatti circa una decina di opere di Maria Lai dislocate nello spazio urbano (oltre a lavori di Nivola, Veronesi e Strazza), installazioni che in alcuni casi, come ne “La strada del rito” che si rifà a una festa tradizionale, fanno esplicito riferimento alla storia locale.
Arte all’Arte è stata un’esperienza promossa da Associazione Continua nell’area del senese tra San Gimignano, Colle Val d’Elsa, Poggibonsi, Montalcino, ecc. con l’obiettivo di “far interagire la cultura che si forma nei grandi centri con quella locale”. Si tratta di una manifestazione che si tenne con cadenza annuale dal 1996 al 2005, per ogni edizione una coppia di curatori invitava alcuni artisti a lavorare nello spazio urbano, sono così nate opere permanentemente installate sul territorio ma anche di natura più effimera (come per le performance tra cui quella di Tania Bruguera, piuttosto che di Marina Abramovich, per citarne alcune). Nel corso degli anni Arte all’Arte ha coinvolto 84 artisti e 20 curatori, fra gl’interventi permanenti si ricordano per esempio quelli di Joseph Kosuth e Jannis Kounellis a San Gimignano, quello di Ilya Kabakov a Colle Val d’Elsa e quello di Mimmo Paladino a Poggibonsi.
Arte Pollino è un’associazione costituita nel 2008 con l’obiettivo di “favorire la crescita culturale del territorio del Parco Nazionale del Pollino” e mira “al coinvolgimento delle comunità locali”. Qui si è partiti con la realizzazione di opere di Carsten Holler, Anish Kapoor e Giuseppe Penone che sono rimaste sul territorio, per poi puntare sempre di più su progetti legati al territorio come “Comunità Locali” che hanno visto per esempio nel 2009 l’intervento di Claudia Losi dal titolo “Qui e non altrove. Qui”, un’opera partecipata attraverso cui l’artista ha radunato le memorie personali degli abitanti sul territorio per poi trasformarle, con l’aiuto delle ricamatrici del posto, in oggetti utilizzati durante un’azione conclusiva. In tempi più recenti ArtePollino (con Matera2019) ha dato vita al progetto Ka Art a cura di Katia Anguelova, che si prefiggeva tra l’atro di far emergere le ricchezze dei luoghi in cui ha preso forma e ha visto partecipare artisti come Jérôme Bel e Lucy e Jorge Orta, di questi ultimi è “70x7 the Meal Act” del 2019, cena-performance che ha coinvolto la rete dei produttori del Pollino.
A Latronico, a partire dal 2009, l’Associazione Vincenzo De Luca porta avanti il progetto “A cielo aperto”, curato da Bianco-Valente e Pasquale Campanella. In questo caso si tende alla creazione di un museo diffuso, ma l’operazione ha come intento dichiarato quello di lavorare sulla “relazione e il coinvolgimento non strumentale delle persone che vivono sul territorio […] creando momenti di riflessione sulla storia della comunità e recuperando processi vitali, culturali e comunicativi”. Artisti come Maurizio Montagna, Giovanni Giacoia, Francesco Bertelé e molti altri hanno lavorato con la popolazione locale, fermandosi a Latronico in residenza per diverso tempo e costruendo con gli abitanti narrazioni e processi creativi che hanno poi portato alla realizzazione delle opere installate permanentemente nello spazio urbano.
Nel Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano e Alburni, nel triennio tra il 2016 e il 2019, si è svolta l’attività dell’Associazione Jazzi, il cui progetto è stato portato avanti con consapevolezza rispetto agli studi sulle Aree Interne. In particolare nel 2018 l’artista Claudia Losi è stata invitata a intervenire sul monte Bulgheria e lo ha fatto attraverso una serie di laboratori camminati aperti alla partecipazione di chiunque fosse interessato, per poi giungere, alla fine di questo processo, alla realizzazione di “Voce a Vento” (a cura di Katia Anguelova), un’opera che oltre all’installazione permanente di maniche a vento ideate dall’artista, ha anche visto la messa in scena di una performance le cui protagoniste sono state trenta donne (che facevano parte di cori locali e non) il cui canto polifonico ha inondato il monte (poi raccolto nella prima edizione di “Passo chiama passo”, collana di edizioni d’artista).
Guilmi Art Project (GAP) è un progetto di residenza nato nel 2007 grazie a Federico Bacci e Lucia Giardino, i quali, con cadenza annuale, ospitano un artista invitandolo a soggiornare in paese al fine di dar vita a un’opera che dialoghi con il territorio e che preveda l’intervento della popolazione. È significativo a questo proposito il progetto realizzato da Cosimo Veneziano nel 2017, nell’anniversario dei dieci anni di attività di GAP, dal titolo mORALE, un museo orale e diffuso nelle case dei guilmesi, una comunità che dopo aver partecipato attivamente ai processi artistici degli anni precedenti, in quell’occasione si è raccontata.
A Solza nel 2016 Matteo Rubbi ha realizzato un’opera che si sviluppa per le strade del paese, si tratta di “Ritorno a Solzaland”. In questo caso sono stati installati, sparsi per il centro storico, una serie di mosaici ceramici che riproducono le fotografie ritrovate dall’artista durante la sua residenza in paese, all’interno dell’archivio della biblioteca. Sono immagini di feste popolari, sagre e momenti di convivialità, scattate dagli abitanti del paese stesso, “un monumento diffuso allo spirito più genuino della comunità”.